Da quando, cinque giorni or sono, lo stato d’assedio posto alla città kurda di Cizre è terminato, la popolazione ha recuperato l’uso delle strade, sebbene ovunque restino i segni della battaglia: fori di proiettili sui muri, bruciature, chiazze in terra e macerie, perché soldati e agenti hanno devastato luoghi pubblici e privati. Eppure nei luoghi dove sedici vittime sono cadute in terra con testa e petto squarciati dai cecchini è istintivo guardare in alto, sugli edifici. Tensione e paura sono tuttora diffuse, perché ciò che è accaduto per nove giorni filati la cittadina non lo viveva dall’inizio degli anni Novanta, epoca di un’altra terribile aggressione militare. Ma la lotta al terrorismo - ordinata nei giorni scorsi dal neo ministro dell’Interno ed ex capo della polizia di Istanbul, Selami Altinok e direttamente dal premier Davutoğlu - ha assunto toni di violenza cieca e sterminio generalizzati. E ciò che la co-sindaco Leyla İmret non può più affermare, perché esautorata dall’incarico direttamente dal ministro-poliziotto a causa delle proteste contro l’intervento dell’esercito sul suo territorio, è stato ribadito con sdegno da varie associazioni di diritti umani.
A esso s’è aggiunto l’irritazione dei medici che hanno ricordato come durante l’assedio le Forze Armate turche abbiano impedito l’accesso in città agli operatori delle strutture sia per verificare gli accadimenti, sia per portare soccorso ai feriti. Del resto le stesse ventidue vittime, soprattutto civili, sono state tenute in alcune celle frigorifero e nella moschea perché i soldati ne impedivano la sepoltura. La linea dura governativa è diventata espressamente crudele, perciò associazioni e politici kurdi chiedono che la comunità internazionale alzi la voce nei confronti di Ankara. Ora il vicepresidente dell’Associazione diritti umani di Dıyarbakır Raci Bilici, che spera in una marcia indietro dell’esecutivo sull’uso indiscriminato della violenza, ha auspicato un ritorno al dialogo fra le parti, cosa che parecchi politici dell’Hdp considerano un miracolo. Nel partito filo kurdo non c’è alcuna intenzione di sorvolare sulle pesantissime accuse rivolte dalla gente ai ministri dell’Interno Altinok e della Difesa Gönül che hanno soggiogato e vessato un’intera comunità.
“Dovevamo star chiusi in casa, privati per punizione di acqua ed energia elettrica, siamo stati anche senza cibo perché uscire significava essere bersagliati dai cecchini” è l’angoscioso ricordo ripetuto da centinaia di cittadini, pur fra coloro che non aderivano alla protesta. Dunque nei giorni neri di Cizre a poco è servita la presenza nel governo ponte che prepara le elezioni di novembre dei deputati kurdi Konka (Affari Europei) e Dogan (Sviluppo). I due sono inseriti per regolamento, e certamente inascoltati sulla linea di lotta al terrorismo rilanciata da Edoğan e Davutoğlu che annovera fra i fiancheggiatori dei guerriglieri del Pkk ogni esponente del Partito Democratico del Popolo, non escludendo probabilmente i ministri incaricati. Comunque il conflitto armato non si placa, negli ultimi tre giorni altri venticinque soldati e quattro agenti di polizia, sono stati uccisi in azioni di guerriglia diffuse nel sud-est. Ad Hakkari, Zap, Dıyarbakır i colpi più duri, a Şirnak, Muş, Bingöl distruzioni di mezzi e attentati a caserme. Anche i guerriglieri lamentano la perdita d’un combattente: Delil Koçer il suo nome di battaglia. Era di Siirt, ha lasciato i suoi compagni nei dintorni di Dıyarbakır.
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