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12/09/2015

La depressione è (anche) una questione politica

Lui scrive:
Ciao Eretica,
quel che ti scrivo vuole essere una sorta di riflessione o commento da condividere con quanti, negli ultimi giorni, hanno scritto di depressione standoci dentro. I miei pensieri nascono dal botta e risposta della coppia prossima all’implosione. Il loro dialogo e le testimonianze successive mi hanno appassionato, non per questioni di tifo, quanto per “analisi”, quella che nessuno più fa su se stesso, su quel che ci circonda e sui modi in cui l’ambiente in cui viviamo influisce sul nostro personale.

Leggendo da qualche settimana il tuo blog ho notato una tendenza generale che accomuna tanto gli autori delle testimonianze quanto la maggioranza dei commenti: tutti scrivono della propria condizione come esclusiva, e soprattutto non ne colgono chiaramente le correlazioni con quel che gli sta intorno.

Inchiostro (e in parte la ragazza che testimoniava il suo spaesamento tra le femministe e gli antagonisti), buttando in faccia ogni 3×2 a noi lettori che il “politico” si annida in tutto, la fallacia insita in quell’approccio che eleva il personale a teoria sistemica l’ha compresa in maniera direi cristallina.

Tutti gli altri, commentatori in primis (in questo senso ha ragione Maria a commentare che tante opinioni fanno inorridire) no, e quindi via con supercazzole più o meno buoniste e da “soggettività sola contro il mondo” che riscopre non si sa bene quale primordiale fuoco e risolleva le proprie sorti.

Al netto di queste baggianate da pensiero comune anni ’90 (guarda caso quello da fine delle ideologie e quindi di ogni analisi e pensiero che si ponesse l’obiettivo di indagare anche oltre i confini impostici e conosciuti) occorrerebbe che tutti riflettessero sul dato storico per cui i progressi e i regressi, nella storia umana, sono sempre stati collettivi e che anche i malesseri di quest’epoca – lo scrivo in particolar modo a quanti si sentono depressi (ed è già tanto ammetterlo a se stessi, altro che sentirsi apostrofati come “nullafacenti borghesi”...) – sono strutturali agli assetti sociali in cui viviamo.

Per farla breve, se siete depressi non è colpa vostra, se non riuscite a infilarvi nello stereotipo di uomo/donna attiv*, di successo, che sale i grandini sociali o più banalmente “produce” (qualsiasi cosa) più velocemente di quanto Bolt corra i 100m piani, non è perché voi siete degli incapaci che non meritano di calpestare lo splendente globo terraqueo disegnato dal pensiero unico (occidentale, sì, per fortuna in altri emisferi qualcuno ancora riesce a mettere in dubbio la centralità di un solo ed unico dogma a cui tutti si devono inchinare).

Se siete in tale condizione di profondo disagio esistenziale è perché il sistema odierno così vi vuole.

Già immagino l’espressione interdetta alla lettura di quanto sopra... per ricondurre a rilassata curva le sopracciglia bisognerebbe aprire una bella parentesi d’analisi materialista sull’odierna fase del capitalismo e su come essa abbia plasmato in peggio e al ribasso le condizioni di vita di tutti noi a partire dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso ad oggi. Siccome non è cosa che s’improvvisa in due righe, tanto per capacità espositive dell’eventuale relatore (sono conscio dei miei limiti), quanto per “basi” di chi eventualmente ascolta, provate a fare un piccolo “atto di fede” (ogni tanto tocca bestemmiare, mi spiace...) e prendete per buono il mio assunto.

A questo punto domandatevi, perché il “sistema” (batate bene a non associare il termine alle supercazzole complottiste tanto in voga oggi...) mi vuole “depresso”?

Come scrivevo poc’anzi, alla risposta non ci potete arrivare senza aver masticato un po’ dell’analisi materialista suddetta, quindi vi tocca nuovamente fidarvi e prendere per buona la mia risposta che suona più o meno così: il sistema ti vuole depresso e “perso nei tuoi guai” (Vasco questo trend già se lo sentiva addosso agli albori di quegli anni ’80 che in troppi ancora oggi rimpiangono) perché non VOLENDO più garantire a te e quelli come te – siete in tanti – una vita dignitosa (realizzazione personale, possibilità concreta di mettere su famiglia senza impazzire tra mutui insostenibili, stato sociale inesistente, precarietà lavorativa totale) ha bisogno che il suo fallimento in quanto sistema, diventi il tuo personale, perché se diventa il tuo, tu lo imputi soltanto a te stesso deprimendoti, sfasciando la tua sfera relazionale ecc.

Se invece, come dovrebbe e come è stato fino a quando la massa era in grado di concepire che i rapporti sociali non sono soltanto amore/odio tra i singoli (vi rimando alla critica di un pezzo da radio di Inchiostro per capire meglio la questione), ma prima di tutto scontro tra interessi sociali opposti, tu odierno depresso, digerita la prima fase di sconcerto per l’improvviso venir meno d’ogni orizzonte di vita, ti organizzeresti con i soggetti finiti loro malgrado nella tua medesima condizione, e magari proveresti a scuotere le fondamenta di quel sistema che causa i tuoi malesseri, probabilmente tentando addirittura di “camminare sulla testa dei Re” (giusto per ricordare che pure Shakespeare non era soltanto autore di drammi sentimentali indimenticabili).

Detto questo, quindi, cosa fare? Nel caso specifico della coppia parlatevi viso a viso, prendete coscienza condivisa dello stato asfittico del vostro rapporto e analizzatelo per quello che è diventato, domandandovi perché ha preso un certo indirizzo e cosa lo ha condizionato. Dialogate nel modo più aperto e privo di reticenze possibile, trovate punti d’analisi del vostro contingente in comune, provate a condividere quelle passioni che occupano il tempo di lui e umiliano il vuoto di lei, affrontate la depressione di lei insieme, anzitutto cambiando specialista, perché uno psicologo che ti dà due dritte new age non sarà di giovamento.

Personalmente, ancor prima di andare da uno psichiatra (a tanti che commentano sarebbe utile informarsi sulle differenze tra le due figure professionali e su quel che concerne il mondo degli psicofarmaci) io cercherei un valido professionista della terapia relazionale, ma soprattutto comprendete che, anche chiusa la porta di casa, il vostro microcosmo resta sempre localizzato in un mondo, un contesto, essenzialmente di merda per chi non sta a determinati livelli sociali (e pure in quelli non è comunque tutto un ben godi) e che il sistema in cui viviamo è strutturalmente concepito per fare in modo che il malessere di tanti diventi la fortuna di pochi (il famoso raffronto 99% vs 1%) e che l’individuazione di soluzioni personali che possono preservarvi dalle tempeste esterne, inserendovi in una bolla tutta vostra, non è più cosa di questi tempi.

Se ci fate caso lo si evince anche dai commenti alle vostre storie, dove in tanti affermano di condividere i vostri malesseri e di non saper come uscirne definitivamente.

In bocca al lupo a chiunque navighi nel buio della depressione, nei meandri del malessere esistenziale, non siete soli nel vuoto ne, tanto meno, nella battaglia per sconfiggere le cause di quei mali e non datevi per vinti fino a quando non vi ritroverete sotto 3 metri di terra.

PS: prima che qualcuno me lo contesti, ovviamente la mia analisi non intende affermare che le patologie depressive odierne sono esclusivamente figlie delle metastasi insite nella strutturazione sociale moderna, ma semmai esortare ad aprire la focale sul problema per inquadrarlo nella sua dimensione complessiva.

T.S. (sono un lui).
A presto
Fonte

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