Forse colpita dalle critiche internazionali per la mancata
accoglienza dei rifugiati siriani, l’Arabia Saudita ieri ha risposto
dando i numeri: da quattro anni a questa parte, dall’inizio della guerra
civile in Siria, Riyadh ha accolto 2,5 milioni di profughi. Lo ha
riportato una fonte interna al Ministero degli Affari Esteri.
Numeri che non hanno fondamento: da anni le Nazioni Unite e
numerose altre organizzazioni internazionali monitorano il flusso verso
l’esterno dei siriani in fuga dalle violenze. Chissà come questi 2,5
milioni sono “sfuggiti” al dettagliato conteggio. Secondo la
fonte la ragione va ricercata nel particolare status riconosciuto ai
profughi siriani: non vengono trattari come rifugiati e messi in campi
profughi così da“tutelarne la dignità”. Ovvero sarebbero stati
ben integrati nel paese, una politica di cui – aggiunge – “il regno non
ha voluto parlare perché ha affrontato la questione da una prospettiva
religiosa e umana, evitando la copertura dei media”.
Media che finora, secondo la petrolmonarchia in modo colpevole,
avrebbero riportato solo delle chiusure saudite. O delle originali
proposte, come quella di finanziare la costruzione di 200 moschee in
Germania per garantire ai profughi siriani in fuga un luogo per pregare.
Quindi dove sono questi due milioni e mezzo? Secondo Riyadh,
molti se ne sarebbero già andati, altri – qualche centinaio di migliaia –
sono rimasti ricevendo lo status di residente, utile a
ottenere copertura sanitaria ed educativa. Sarebbero, dice il governo,
100mila gli studenti siriani nelle scuole saudite.
Così si giustifica il paese che più di ogni altro ha
infiammato la guerra civile siriana, finanziando gruppi sunniti
estremisti – a partire, più o meno direttamente, dall’Isis – e
garantendogli libertà di movimento e reperimento di armi. Stesso dicasi
per il resto del Golfo: nessuna delle ricche petrolmonarchie ha firmato
la Convenzione Onu sui Rifugiati, tenendosi le mani libere per manovrare
la guerra contro il nemico Bashar al-Assad.
Le scuse accampate per giustificare la mancata accoglienza sono state
delle più varie: un clima troppo caldo per i profughi, un diverso
ambiente culturale a cui si adatterebbero con difficoltà, un costo della
vita eccessivo che non gli permetterebbe di integrarsi. Scuse che
reggono poco: nel Golfo, prima della guerra civile, vivevano e lavorano
molti siriani, sia come manodopera non specializzata che come esperti e
professionisti. Un normale scambio di domanda di lavoro, tra paesi che
parlano la stessa lingua e che hanno radici culturali e religiose
simili.
Tant’è: secondo il Golfo, gli arabi siriani si troverebbero molto più a loro agio in Europa che in un altro paese arabo. A
smontare le giustificazioni delle ricche petrolmonarchie ci ha pensato
Amnesty Internazional che in un rapporto recente ha mostrato come
Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita e Emirati Arabi non hanno
garantito l’accoglienza a nessuno nonostante un’estrema ricchezza
finanziaria, economica ed energetica. Al contratio, paesi più
poveri come Libano e Giordania sopportano il peso dell’accoglienza della
stragrande maggioranza dei rifugiati siriani, milioni di persone che –
per un paese piccolo come quello dei Cedri – sono un elemento d'instabilità non indifferente.
Fonte
Devono essere andati a lezione da Renzi nel Golfo Persico...
Nessun commento:
Posta un commento