17/09/2015
Turchia - Tolto l'assedio a Cizre, si contano i morti e i danni
di Luigi D’Alife – Il Manifesto
A partire dalle elezioni politiche del 7 giugno scorso e con l’attentato di Suruç, costato la vita a 33 giovani socialisti che portavano aiuti a Kobane, la Turchia sembra essere ripiombata indietro di vent’anni: da un lato, l’ex primo ministro - ora presidente della Repubblica - Erdogan, da tredici anni al potere, dall’altro il popolo kurdo, sostenuto dalla sinistra del Partito democratico dei Popoli (Hdp).
La popolazione di Cizre, ha dichiarato 15 giorni fa l’autogoverno o come la definisce il co-presidente del municipio «l’autonomia democratica». «Dopo pochi giorni, circa cento mezzi blindati dell’esercito sono entrati in città - ci spiega Faysal Sariyildiz - e un coprifuoco continuo è stato imposto a tutta la popolazione. Corrente elettrica, acqua e servizi di comunicazione sono stati interrotti. Un incubo».
Gli ospedali di Cizre sono stati isolati dai militari turchi, i soccorsi in strada impediti con l’uso delle armi, così come la sepoltura delle vittime. A Cizre, città a maggioranza musulmana, per otto giorni gli imam non hanno cantato. Il bilancio è di cento feriti e 21 morti, tutti civili, tra i quali un bimbo di 35 giorni. Quindici tra le vittime sono state colpite direttamente alla testa dai cecchini. Ora che il coprifuoco è interrotto la gente si riprende le strade in corteo ricordando i civili uccisi. In testa ci sono le madri delle vittime, ovunque si sentono cori, grida, slogan, ovunque si vedono barricate e trincee. Cortei che si ingrossano mentre attraversano vie strette, ancora protette da massi e sacchi di sabbia, dai teli per impedire ai cecchini di uccidere, mentre superano le saracinesche esplose e i muri distrutti.
A Cizre è stata guerra ed è il quartiere di Sur a mostrare le ferite più evidenti. «Siamo stati costretti a restare chiusi in casa per dieci giorni - ci spiega una donna davanti alla porta di casa crivellata di proiettili - eravamo in 22 nello stesso appartamento, bambini ed anziani, senza cibo e sotto il fuoco costante dei cecchini». Suo marito indica i palazzi da dove arrivavano gli spari ed affacciandosi alla finestra mostra un forno distrutto da un carro armato. Un gruppo di bambini si rincorre per strada, giocando davanti ad uno dei mezzi blindati che ancora circondano il quartiere.
«Siamo terrorizzati - urla un signore sulla cinquantina davanti al cancello di ferro divelto della sua casa - il coprifuoco non c’è più, ma non siamo liberi di uscire». La delegazione della Carovana per Kobane, presente in Kurdistan in questi giorni, è diventata il megafono per la gente di Cizre. Cizre è come Kobane: stesse scritte sui muri, stesse macerie per le strade, stessa determinazione del popolo kurdo a resistere.
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