Non avevamo fatto in tempo ad anticiparla che, puntualmente, è arrivata
la dichiarazione del segretario del Prc che definisce il neonato governo
pentaleghista come quello più a destra della storia. Se quello
presieduto da Conte è il peggiore di sempre, ci chiediamo allora dove
vadano collocati, in questa speciale hit parade, i governi anticomunisti
di Scelba e Tambroni e degli operai ammazzati nelle piazze. Oppure
quelli che preparavano i golpe e commissionavano le stragi ai servizi e
ai fascisti. O ancora i governi delle leggi
speciali, degli arresti di massa e dei compagni giustiziati a sangue
freddo dai carabinieri di Dalla Chiesa. Oppure quelli della macelleria
sociale e della distruzione del welfare, dell’attacco al salario, della
precarizzazione del lavoro e delle guerre umanitarie in Iraq e
Jugoslavia. O, per finire, quello che ha introdotto il pareggio di
bilancio in Costituzione sterilizzandone così tutti gli articoli che
tutelavano l’equità sociale. E’ davvero difficile riuscire a fare una
classifica nella lunga scia di sangue e sacrifici che ha scadenzato la
lotta di classe in questo paese nel dopoguerra, ma almeno per adesso il
governo nato ieri non si è ancora conquistato il primo posto.
Quello che più ci preme, però, non è fare sterili polemiche
storiografiche, quanto piuttosto rimarcare come questo approccio, non
solo sia inutile, ma, alla lunga, possa rivelarsi addirittura
controproducente. Strillare “al lupo al lupo” può rincuorare i nostri,
convincerli che restiamo dalla parte giusta della storia, ma non sposta
di una virgola un quadro politico in cui il vento del senso comune
soffia da tempo in direzione opposta alla nostra rotta. Occorre
prenderne atto ed elaborare una linea di condotta adeguata alla
situazione. Non è dunque questo il piano su cui va costruita
l’opposizione al governo di Di Maio e Salvini, anche perché, sia detto
per inciso, rischieremmo di trovarci dei compagni di strada ancora
peggiori dei due, come il Pd di Renzi e Martina che proprio ieri è sceso
in piazza per “difendere la Costituzione” che solo un anno fa voleva
affossare. Occorre invece incalzarli sugli elementi apparentemente
“progressivi” che pure sono contenuti nel cosiddetto contratto di
governo, far esplodere le contraddizioni della loro impraticabilità
all’interno dell’architettura economica sancita dai trattati europei,
non permettendogli di cavarsela a buon mercato con la xenofobia, il
giustizialismo e il ricorso alla guerra tra poveri. Probabilmente non ci
vorrà molto perchè questi nodi vengano al pettine: in autunno il
passaggio della Legge di Stabilità ed il suo vaglio da parte della Ue
saranno un primo banco di prova. Allo stesso tempo occorrerà ingaggiare
finalmente una battaglia (che, non illudiamoci, sarà lunga e faticosa)
per l’egemonia su quei settori di classe che oggi ripongono nel
populismo le loro aspirazioni. Fare di ogni erba un “fascioleghista”,
ammassare tutto in un indistinto magma razzistoide tendente al nero,
significa invece regalare ai populisti interi pezzi di società ed
alienarsi la possibilità di ricostruire con questi ultimi ogni canale di
comunicazione.
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