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02/09/2019

Road Map per l’emergenza climatica

di Guido Viale

A un anno dall’inizio dello sciopero solitario di Greta Thunberg possiamo misurare l’enorme risultato che una sola persona, priva di ogni potere, è riuscita a produrre:

- un milione e mezzo di giovani in tutto il mondo si sono svegliati, hanno capito che gli stiamo rubando il futuro, e forse anche la vita, sono scesi in piazza per protestare (e lo rifaranno, più numerosi e forti, tra il 20 e il 27 settembre) e stanno moltiplicando le loro iniziative riempiendo di eventi dirompenti il calendario di molti paesi;

- stampa e Tv, mute fino a pochi mesi fa, hanno cominciato a raccontare quello che sta succedendo al pianeta, compreso spiegare (per es. La Stampa del 29.8) che non c’è più posto per politiche di “crescita”, per quanto virtuose: de profondis per le politiche di tutti i paesi;

- tra la popolazione più informata, trasformata, come tutti, in consumatori, cresce la consapevolezza di dover porre fine a uno stile di vita insostenibile (per chi uno “stile di vita” può permetterselo: poche centinaia di milioni di persone). Innanzitutto molta meno carne, ma sotto tiro ci sono anche viaggi aerei, vacanze esotiche, auto private, condizionatori, abbigliamento, moda, case troppo grandi;

- molte imprese corrono ai ripari verniciandosi di verde: i capibastone dell’industria Usa dichiarano che tra i loro fini non c’è più solo il profitto, anche se non si è mai visto che i profitti diminuiscano se non sotto la pressione di lavoratori sfruttati e consumatori imbrogliati.

I più in ritardo di tutti sono i politici: quelli negazionisti, come Trump e Bolsonaro, non si vantano più delle politiche apertamente distruttive che perseguono. Tutti gli altri, che si riempiono la bocca di ambiente da decenni senza fare niente, sono ancora lì a misurare i decimi di punto di PIL che qualsiasi misura ambientale potrebbe sottrargli. La nuova Presidente delle Commissione europea Ursula Von der Leyden annuncia un fondo per fare fronte ai cambiamenti climatici; ma a chi andranno quei soldi? Se tutti i fondi stanziati per la crisi economica sono finiti in bocca alle banche, quelli per il clima, se mai saranno stanziati, rischiano la stessa fine. Per questo è ormai urgente mettere in chiaro alcuni punti.

Non ci si può limitare alla protesta e alla denuncia. Occorre pensare anche alle cose da fare, muovendosi su due piani: pressione sulle istituzioni e sui media, con rivendicazioni da mettere a punto un po’ per volta; e mobilitazione dal basso per cambiare insieme il nostro stile di vita, facendo cose che si possono fare anche in pochi senza chiedere permesso. Vagonomle ingiunzioni promosse da Extinction Rebellion: “dite la verità, agite subito, convocate il pubblico”, ma nell’ordine inverso: senza momenti collettivi non si infrange il muro di omertà che ha nascosto le cose finora né si può intraprendere iniziative che coinvolgano chi non si è ancora mobilitato. Gli interlocutori principali sono due: i lavoratori di fabbriche e aziende, da contattare sia direttamente che con la mediazione dei sindacati, e i “territori”, o “comunità”, facendo leva sul tessuto associativo: comitati di lotta, società sportive, parrocchie, centri sociali. Le scuole, dove sono nati gli scioperi del venerdì, possono diventare sedi e riferimenti per ogni quartiere. I temi più immediati da affrontare sono quattro.

1) Decarbonizzazione, cioè elettrificazione con fonti rinnovabili. Non tutti dispongono di un tetto da solarizzare (e ci sono anche i senzatetto). Ma in tutti i quartieri gli interventi possibili per produrre energia rinnovabile e risparmio energetico sono centinaia: possono venir individuati e progettati, esigendo dalle amministrazioni locali la formazione e la messa a disposizione di squadre interdisciplinari di tecnici (un lavoro interessante per migliaia e migliaia di giovani laureati e diplomati). La ristrutturazione degli edifici offrirà per anni milioni di posti di lavoro a nativi e migranti a tutti i livelli di qualificazione;

2) Mobilità: si tratta – bisogna avere il coraggio di dirlo – di abbandonare per sempre e in pochi anni l’auto privata, sia tradizionale che elettrica, per sostituirla con trasporti pubblici più efficienti, più comodi, più economici, sia di linea (treni, tram e bus) che personalizzati (taxi singoli e collettivi, car sharing, trasporto a domanda per passeggeri e merci). Una transizione che non può essere affidata solo alle autoritá: va organizzata dal basso con la creazione di mobility manager di quartiere e di caseggiato (e non solo quelli, del tutto inefficienti, che esistono già a livello di azienda) individuando e rivendicando le risorse necessarie: affidare al mercato una demotorizzazione discriminatoria, come ha cercato di far Macron con le tasse sul diesel, è il modo migliore per far fallire tutto. E si è visto.

3) Agricoltura e alimentazione: non basta ridurre la carne; ci vuole un’agricoltura ecologica, di prossimità, gestita da piccole aziende, che consenta il “ritorno alla terra” a decine di migliaia di giovani acculturati che non aspirano ad altro e ad altrettanti migranti già occupati, ma da mettere in regola. La transizione può essere facilitata dai gruppi di consumo solidale (gas) con un rapporto diretto tra chi produce o trasforma il cibo e chi lo consuma.

4) Territorio: per metterlo in sicurezza bisogna demolire gli edifici insicuri ma soprattutto piantumare. Nel mondo c’è ancora posto per mille miliardi di nuovi alberi: quanto basta per riassorbire una parte significativa del CO2 emesso negli ultimi due secoli...

Fonte

Testo interessantissimo e completamente condivisibile, l'unico limite che trovo sta nel fatto di sottostimare la questione del modo di produzione.
All'interno di quello capitalista, tutti questi propositi sono sostanzialmente votati al fallimento, oppure alla normalizzazione come lo stesso percorso "politico" di Greta Thunberg almeno in parte dimostra.

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