Leaders Not Followers è la lapide sui Napalm Death come gruppo con un senso, uno scopo, una ragion d’essere, e l’inizio del Napalm Death karaoke come lo conosciamo da allora in poi: una macchietta ribellista per punkabbestia col cane,
il septum, le toppe dei Totalitar sul giubbotto bisunto e abbastanza
soldi nel Postepay da potersi permettere i biglietti di concerti via via
sempre più esosi in locali col butta e la birra annacquata a 5 euro. Un
generatore di pezzi sempre uguali, dischi sempre uguali con titoli e
copertine sempre uguali e testi alla piove, governo ladro
sempre uguali. La versione standardizzata di tempi e anni irripetibili,
pilota automatico a esclusivo uso e consumo di chi non c’era.
Il periodo “sperimentale” era partito bene (Utopia Banished), proseguito benissimo (Fear, Emptiness, Despair) e andato a finire a schifio con il micidiale trittico Diatribes – Inside the Torn Apart – Words from the Exit Wound,
tre coraggiose porcate da cui a impegnarsi ci si cava fuori un EP
decente: comunque meglio del tristo baraccone ancora in pieno
svolgimento, ben suonato, ok gran tecnica, attitudine inesistente,
affanculo i centri sociali da quando se n’è andato Lee Dorrian,
la stessa scaletta ripetuta all’infinito. Intanto, nel 1999: mollati da
una Earache allo sbando, in evidente stato confusionale alla ricerca
spasmodica di un “nuovo” che passava per gruppacci new metal improponibili,
l’immancabile (disgustoso) Ultraviolence, la nuova tinta del
chitarrista dei Prodigy e una serie di colpi a vuoto in tutte le
direzioni che va avanti tuttora, trovano asilo su un’etichetta che
pubblicava esclusivamente guitar heroes orribili e cacciano fuori questo
Leaders Not Followers per innestare la posizione dogmatica di
gruppo “antagonista” nei ricordi artificiali delle nuove generazioni
sempre più rincoglionite dai nuovi device. Tempo qualche mese e il disco
– assieme a miliardi di altri – sarebbe finito in giro per il mondo in
rip orrendi courtesy of Napster, l’inizio di una nuova era.
Leaders Not Followers è ancora, a venti anni di distanza, tra i migliori cover album di sempre
(anche perché dura meno di un quarto d’ora, riducendo al minimo il
rischio di sbagliare), semplicemente perché le nuove versioni superano
sullo stesso territorio – a volte di gran lunga – gli originali. Non
capita spesso; quasi mai, in realtà. Parte con un regalo italiano: Politicians, decuplicando l’incazzo padano dei mitologici Raw Power
con una botta di incazzo ancora più saturo di gas di scarico dalla
suburra di Birmingham che a fabbriche, aria tossica e malessere
proletario stravince. Perfino meglio con Incinerator, che
dall’originale degli Slaughter canadesi trattiene i riff disintegrando
tutto il resto a partire dalla voce di merda del cantante, diventando a
tutti gli effetti un brano dei Napalm Death dopo il Barney trattamento; e
poi ancora i Pentagram cileni (Demoniac possession), i Repulsion da cui agli esordi rubarono tutto e a cui qui restituiscono qualcosa (Maggots in your coffin), i Death senza contratto (Back from the dead dal demo omonimo, non le pippe ingarbugliate che verranno poi), per finire con un’altra take di Nazi punks fuck off diversa dalla versione contenuta in Virus 100, l’unica a non avvicinarsi neanche lontanamente all’irraggiungibile originale per evidenti limiti del resto del mondo rispetto ai Dead Kennedys.
Cinque minuti di silenzio prima della registrazione di un tizio che
blatera malamente in finto accento gallese e i minuti diventano 19, e
magicamente il disco viene venduto a prezzo pieno: è il 1999 e ancora
non potevamo sapere, ma a posteriori sai che c’è? Per furti legalizzati
come questo, ben venga Napster. Loro avrebbero suonato a novembre in un
locale che è stato demolito con le ruspe nel 2016, di spalla i Konkhra
del bruttissimo Come Down Cold e qualche gruppo italiano che ora non riesco a ricordare; Politicians il momento più intenso, You suffer totalmente a tradimento lo sfregio che ancora porto addosso.
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