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15/11/2019

Il Mose è il Ponte Morandi della Lega


La faccia inebetita del governatore veneto Zaia di fronte all’inservibilità del Mose nel fermare l’allagamento di Venezia, è il segno e lo spartiacque di un'epoca: questa epoca.

La Lega, da sola o insieme a Forza Italia, governa il Veneto da quasi vent'anni (seconda giunta Galan) e il Comune di Venezia dal 2015. Ha avuto tutto il tempo di accelerare, verificare, collaudare l’efficacia del Mose, questa ennesima, costosissima e alla fine inutile grande opera. Eppure non lo ha mai fatto ed oggi, quando Zaia fa il finto tonto chiedendo alle telecamere “come mai sia accaduto quello che è accaduto”, il primo istinto è quello di sollevare la gamba preferita e far partire una pedata nel culo.

Confermando la legge del contrappasso, anche la Natura si è incaricata di svelare l’insipienza e l’imbroglio della “Lega di governo”. Proprio mentre il consiglio regionale a maggioranza leghista respingeva due mozioni dell’opposizione sull’emergenza climatica, con il solito disprezzo verso queste “stupidaggini ecologiste”, l’acqua allagava anche la sede del consiglio regionale costringendolo a sospendere i lavori.

Alla Lega questa volta è andata storta e non potrà scaricare alcuna responsabilità sugli altri, né sugli immigrati né sui competitori. In Veneto è roba della Lega da sempre e Venezia lo è da quattro anni.

La vicenda del Mose a Venezia è un trauma rivelatore della situazione del paese, esattamente come lo è stato il crollo del Ponte Morandi a Genova. O come la distruzione del patrimonio industriale italiano, esemplificato in questi giorni dalle tragedie dell’Ilva e dell’Alitalia.

E questo paragone ci porta ad affrontare l’altro fattore decisivo: quello delle grandi opere e del Partito Trasversale del Pil che tiene insieme Lega e Pd, Forza Italia e fascisti di Fratelli d’Italia, CgilCislUil e Confindustria.

La storia del Mose, per molti aspetti, è simile a quello del Tav in Val di Susa.

Pensato nel 1981, il Mose ha cominciato a materializzarsi tramite la famigerata “Legge Obiettivo” nel 2001. I primi cantieri sono partiti nel 2003. Dovevano concludersi nel 2011. Tra il 2013 e il 2014, intorno a questa grande opera, un’inchiesta della magistratura scopre un giro di tangenti e mazzette di notevoli dimensioni. Finisce in carcere il manager Piergiorgio Baita, che però parla e rivela molto di quello che sarebbe poi diventato lo scandalo Mose.

Il 12 luglio finisce agli arresti domiciliari Giovanni Mazzacurati, direttore generale del Consorzio Venezia Nuova (costituitosi nel lontano 1984, ndr), con l’accusa di turbativa d’asta. Finirà indagato, per finanziamenti illeciti, ma non per corruzione, anche il sindaco di Venezia Orsoni (Pd).

Nel 2014 scatta una seconda ondata di arresti per le tangenti distribuite intorno ai lavori del Mose. Secondo i magistrati si tratta di 33 milioni di euro di fatture false. Il 4 giugno vengono arrestate ben 35 persone, un centinaio gli indagati tra cui Giancarlo Galan (Forza Italia), ex governatore del Veneto dal 1995 fino al 2010, dal 2000 insieme alla Lega che subentrerà al comando della regione con Zaia nel 2010 e fino ad oggi.

Nel 2017, il ministro delle Infrastrutture del governo Renzi, Graziano Delrio, annuncia che i lavori del Mose dovranno essere conclusi nel 2018.

Nel 2018, però, il provveditore alle grandi opere del Triveneto, fa sapere che il costo del Mose sarà di almeno 80 milioni di euro l’anno per funzionamento e manutenzione.

Si scopre però che le cerniere delle barriere, concepite e “pagate” per durare cento anni... in realtà ne possono durare solo 13.

Il Mose, finora è costato direttamente quasi 6 miliardi di euro. Ma i costi sono lievitati a 8 miliardi, se collegati ad altre opere connesse per la tutela della Laguna di Venezia.

Quale lezione si può trarre da questa vicenda?

a) Le grandi opere sono spesso concepite e realizzate non per utilità sociale, ma per movimentare grandi quantità di denaro pubblico (ed anche di lavoro ovviamente) che alimentano interessi privati. O meglio, si individua una necessità, spesso (non sempre) reale ed obiettiva, ma la si piega a questi interessi.

b) Sulle grandi opere, un po’ come sulle spese militari, c’è una convergenza politica del tutto trasversale. Può governare la Lega o il Pd, ma la logica che prevale è quella dell’affarismo. È la base materiale del Partito Trasversale del Pil che vediamo all’opera, ad esempio, anche sul Tav in Val di Susa o sull’Ilva di Taranto, dove sia Lega che Pd sostengono le ragioni della multinazionale ArcelorMittal. La quale ringrazia, ma se ne va lo stesso, chiudendo la fabbrica costruita con soldi pubblici fin dal lontano 1960. Perché alle multinazionali non si comanda...

c) Con la vicenda del Mose finisce la narrazione leghista del loro presunto “buon governo”. Quando governa, la Lega lo fa come esattamente come tutti gli altri. Lo stesso ragionamento è valido per il Pd, sia a livello locale che nazionale. Cambiano le retoriche di accompagnamento (più razzista, meno razzista...), non la sostanza.

Come scrive un lucidissimo articolo di Le Monde Diplomatique, “la sinistra non è nata per moralizzare il mondo ma per cambiarlo”. Ed ancora “barattando i propri obiettivi politici con altri di natura morale i militanti subiscono una metamorfosi: se ieri lottavano, oggi si indignano. Ieri fondavano organizzazioni per prendere il potere; oggi firmano petizioni, intimando al mondo di mostrarsi più mite, tollerante, meno razzista, più verde e paritario”. Parole sante, pesanti come il piombo, ma efficaci come poche per capire come e dove collocarci e cosa fare.

Quando ci chiedono o ci ricattano invocando il “meno peggio”, non possiamo che collocarci fuori e contro tutto questo. Per dire e fare altro, in antagonismo con questo tipo di interessi.

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