di Enrico Grazzini
La quasi totalità
degli intellettuali italiani ha sepolto nel silenzio la formidabile
eredità scientifica, politica e morale di Luciano Gallino, scomparso
l’otto novembre di quattro anni fa. Gallino è stato senza alcun dubbio
lo scienziato sociale più profondo, coerente e critico della sinistra
italiana: ma è rimasto inascoltato – anche presso la stessa sinistra
politica (che non a caso in Italia è praticamente scomparsa) e sindacale
(che non a caso è in gravissima e crescente difficoltà).
Il
problema è che i suoi messaggi, specialmente nell’ultimo periodo della
sua vita, erano troppo intellettualmente e politicamente chiari e
radicali per la cultura confusa, ambigua, sempre disponibile al
compromesso che domina oggi in Italia in (quasi) tutti gli ambiti e in
tutte le parti politiche. Le sue proposte sulla moneta, sull’euro,
sull’eurozona e l’Unione Europea, sulle riforme monetarie e bancarie
necessarie per uscire dalla crisi provocata dal finanzcapitalismo, erano
e sono considerate troppo anticonvenzionali e innovative per essere
accettate (o almeno discusse) dai timidi e paurosi intellettuali e
politici italiani. Ho collaborato con lui e nell’ultimo periodo della
sua vita: e posso dire che, nonostante la sua indiscussa autorevolezza,
il maggiore studioso della sinistra era rimasto praticamente isolato.
Gallino non si è limitato a studiare come sociologo l’organizzazione
industriale del lavoro, il lavoro della conoscenza, gli impatti
dell’informatica sul lavoro, le crescenti diseguaglianze, le istituzioni
sociali e politiche. L’autore del bellissimo libro su “La scomparsa dell’Italia industriale”
negli ultimi anni della sua vita ha analizzato in maniera approfondita
la crisi finanziaria, il finanzcapitalismo, la moneta, l’euro ed era
arrivato alla conclusione – scandalosa per i paurosi e inconcludenti
intellettuali della sinistra italiana – che, per vincere il
finanzcapitalismo e superare la grave e crescente crisi nazionale,
bisognava riformare alla radice il sistema monetario e trovare tutte le
vie possibili per superare i vincoli dell’euro, eventualmente anche a
costo di preparare l’uscita da una eurozona perennemente in crisi.
Il suo ultimo scritto inedito, pubblicato post mortem da Laterza (2016), si intitola significativamente: Modesta proposta per uscire dall’euro (ma non dall’Unione Europea).
Gallino ha avvertito fin dall’inizio che l’austerità imposta dai
mercati finanziari, dall’Unione Europea e dalla Germania avrebbe
rovinato non solo l’economia italiana, ma anche la società e la
democrazia: ha denunciato con forza e da subito l’insostenibilità del
Fiscal Compact, l’ignominia anti-keynesiana del pareggio di bilancio
messo in Costituzione da un ceto politico complessivamente pavido e
ignorante, incapace di tutelare l’interesse nazionale. Gallino aveva
denunciato come “crimine contro l’umanità” (Repubblica, 15 marzo 2014)
la scellerata politica di saccheggio della Grecia da parte della Troika
(BCE, UE, FMI). E ha appoggiato la proposta di creare in Italia una
moneta complementare (non alternativa) all’euro. Questo studioso, membro
prestigioso dell’Accademia dei Lincei, dava fastidio per il suo
anticonformismo e per il suo rigore, per il suo impegno intransigente,
politico e morale a favore della giustizia sociale.
Gallino ci
ha insegnato che l’euro non è una moneta neutrale, un semplice “mezzo di
scambio”: l’euro è una moneta forte, una moneta deflazionistica che
difende gli interessi degli stati più forti e ricchi del nord Europa a
scapito dei Paesi deboli del Mediterraneo. “L’euro non funziona e
non funzionerà mai. ... Così com’è l’euro è una camicia di forza che
rende la vita impossibile a tutti, tranne che alla Germania”. La citazione è presa da un’intervista di Luciano Gallino al Manifesto
(7 luglio 2015). Gallino sapeva che l’euro è una moneta che divide e
sottomette, che provoca diseguaglianza sociale, non una moneta che
unisce l’Europa. E non nutriva molte illusioni sulla possibilità di
riformare l’euro e il Trattato di Maastricht che ha fondato la moneta
unica europea. “I trattati europei, non sono modificabili, se non
all’unanimità. È il segno dell’impossibilità pratica di intervenire:
come si fa a far votare 28 paesi insieme? Questo è il funzionamento di
un’unione nata male, fondata sulle necessità economiche e non su quelle
democratiche, dove la partecipazione non conta nulla”.
Occorre sottolineare che purtroppo la sinistra di questo Paese non ha
avuto il coraggio e la competenza necessari per dibattere e accogliere
le tesi di Gallino sull’euro, sull’Unione Europea e sul dominio
pressoché assoluto della finanza speculativa nell’eurozona. Dominio
garantito dalle istituzioni e dalle politiche della UE. La sinistra,
anche quella sedicente radicale e alternativa, in effetti ha mal
sopportato la radicalità di Gallino. La sinistra di Fausto Bertinotti –
al tempo presidente di tutta la sinistra europea – e Alfonso Gianni
(autori di un libro come “L’Europa delle Passioni Forti”) fin
dall’inizio ha affrontato la questione dell’Unione Europea e dell’euro
con una carica di forte idealismo, con una passione priva di riscontri
nella dura realtà: la cieca illusione federalista, lo slancio e
l’innamoramento poetico verso gli Stati Uniti d'Europa, presunti
portatori di pace e solidarietà (???), alla fine si sono dimostrati del
tutto fallimentari.
La strategia cieca e velleitaria pro-UE
della sinistra italiana ha portato alla sua (quasi) scomparsa,
paradossalmente proprio quando si è manifestata palesemente la crisi
sistemica del capitalismo preconizzata da Marx: la “sinistra letteraria”
italiana è apparsa inconcludente agli occhi della gente comune e dei
lavoratori, e spesso anche collusa con le élite del potere. Purtroppo la
sinistra italiana, a causa della sua cieca e acritica filosofia pro UE,
ha una parte importante di responsabilità per il fatto che la destra
populista e fascistoide ha avuto campo libero nel conquistare consensi,
soprattutto presso l’elettorato popolare. La destra con la sua demagogia
è infatti apparsa come l’unica difesa reale contro l’Europa
dell’austerità, “l’Europa della finanza, delle banche e dei burocrati”.
Gallino – che peraltro non è mai stato, e neppure ovviamente si è mai
dichiarato, marxista – era uno studioso riservato e discreto: ma ha
capito della lotta di classe più dei sedicenti marxisti. Ha spiegato
come e perché oggi il dominio capitalista sugli stati nazionali e sul
lavoro passa per le reti globali della finanza parassitaria e per il
dominio della moneta. E ha indicato anche delle possibili soluzioni.
Il professore torinese ha lasciato una eredità scientifica di grande
valore e originalità e di grande attualità. L’ultimo libro di Gallino, “Il denaro, il debito e la doppia crisi spiegati ai nostri nipoti”,
Einaudi, 2015, è centrato sulla “doppia crisi” che sta sconvolgendo il
mondo: quella ecologica e quella economica e finanziaria. Mi concentro
su quest’ultimo argomento, sul quale ho avuto il piacere e l’onore di
collaborare con lui.
Lo stato deve riacquistare potere sulla moneta
Nell’ultimo periodo della sua vita Gallino si è dedicato allo studio
dei perversi meccanismi del finanzcapitalismo. In continuità con le tesi
sulla “moneta endogena” di economisti insigni, come J. M. Keynes e
Hyman Minsky e, in Italia, Augusto Graziani, Gallino ha individuato come
problema centrale della crisi finanziaria il fatto che gli stati hanno
concesso alle banche private il privilegio esclusivo di creare moneta
dal nulla per profitto privato. E quindi gli stati nazionali si sono
sottomessi ai “padroni della moneta”, ai mercati finanziari. Le banche
creano moneta quando concedono un prestito dietro interesse. A sostegno e
prova della sua tesi, Gallino amava citare niente di meno che la Banca
d’Inghilterra: “un fraintendimento comune ritiene che le banche
agiscono semplicemente come intermediari dando prestiti in base ai
depositi dei risparmiatori... Nella realtà dell’economia moderna le
banche commerciali sono invece le creatrici del denaro depositato. È
l’atto di prestare che crea i depositi. Questo processo è il contrario
della sequenza normalmente descritta nei manuali”. La moneta
bancaria viene emessa fin dall’inizio come debito e quindi aumenta i
debiti dell’economia: cresce a dismisura quando c’è boom economico e si
contrae improvvisamente ai primi segni di crisi. La moneta bancaria in
cerca di profitto è quindi strutturalmente pro-ciclica. Perciò
l’intervento “esterno” dello stato diventa indispensabile quando
scoppiano le crisi.
Inoltre dagli anni ‘80 in poi le grandi
banche si sono trasformate in operatori speculativi, in trader,
scommettendo (con i soldi degli altri) su rischiosissime operazioni
finanziarie per ottenere profitti immediati ed enormi. Grazie a
società-veicolo fuori bilancio le maggiori banche internazionali
organizzano (tuttora) un immenso sistema bancario-ombra che crea un
gigantesco mercato opaco di prodotti finanziari cosiddetti derivati,
fuori dai mercati ufficiali e da ogni regola pubblica. Il valore dei
titoli scambiati in questo casinò capitalista, è immenso: si stima che i
derivati valgano oltre dieci volte il PIL mondiale, ovvero decine di
migliaia di milioni di dollari o di euro. Dalla speculazione sui
derivati viene la crisi della finanza in Europa: la crisi di un colosso
come Deutsche Bank è solo l’ultimo esempio. Quando un anello di questo
sistema malato cede sotto il peso dei debiti, trascina nel baratro tutta
l’economia. Una bomba atomica nel cuore dell’economia mondiale, ed
europea, pronta ancora oggi a deflagrare. Un potenziale di crisi che la
UE si è ben guardata dal regolamentare.
Per Gallino il
privilegio esclusivo delle banche private di creare moneta assicura al
sistema finanziario un potere enorme che soverchia il potere della
democrazia e della politica. Gli stati democratici devono ricorrere al
mercato finanziario, sottomettersi alle speculazioni dei mercati per
finanziare le loro politiche pubbliche. Gallino denunciò il fatto che da
oltre 25 anni lo stato italiano – nonostante l’avanzo primario di
bilancio, cioè nonostante gli italiani paghino più tasse di quanto
lo stato spende per loro – deve ricorrere al deficit pubblico solo per
pagare gli interessi sul debito, mentre il debito pubblico continua
inesorabilmente a crescere. Una situazione insostenibile, da cui
certamente non si esce con politiche convenzionali!
Per Gallino
è necessario che lo stato democratico riacquisti sovranità monetaria:
la moneta privata dovrebbe diventare moneta pubblica per uscire dalla
crisi e tentare di attuare politiche a favore del lavoro,
dell’occupazione, delle energie alternative, del welfare. Secondo
l’economista Gallino occorrerebbe anche ritornare a quelle forme di
regolamentazione finanziaria già in vigore nel periodo di grande
sviluppo del benessere che ha caratterizzato i trenta anni successivi
alla seconda guerra mondiale. Allora i movimenti di capitale erano
strettamente controllati; le banche commerciali avevano funzioni
distinte dalle banche d’affari; e la finanza supportava l’economia reale
e non aveva come fine principale quello di speculare!
L’euro non funziona e non funzionerà mai
Gallino era un convinto europeista ma anche un critico radicale
dell’euro, che ha come dogma la libera e selvaggia circolazione dei
capitali. Per lui l’austerità non era solo e tanto una scelta politica
scellerata ma il risultato conseguente all’architettura intrinsecamente
liberista della moneta unica e della Banca Centrale Europea, così come
decisa con il trattato di Maastricht. “È necessario ridiscutere il
trattato istitutivo dell’Unione Europea e lo statuto della Bce... La Bce
non può prestare moneta agli stati, ma può finanziare solo le banche.
Una cosa inaudita per una banca centrale”.
L’economista
Gallino – come altri eminenti economisti, tra i quali Joseph Stiglitz e
Amartya Sen – aveva perfettamente compreso, a differenza di quasi tutti
gli economisti italiani, il carattere strutturalmente liberista e
deflattivo dell’euro, la moneta che genera crisi. Nell’intervista di
Davide Turrini apparsa sul Fatto Quotidiano del 24 settembre 2015,
Gallino denunciava con forza: “L’euro è una camicia di forza
peggiore anche del ‘gold standard’. Ha giovato solo alla Germania,
perfino la Francia ha perso punti nelle esportazioni e aumentato la
disoccupazione. Così com’è l’euro non può più funzionare”. Tuttavia Gallino non era così ingenuo da credere che si potesse uscire semplicemente e unilateralmente dall’euro.
“Sia chiaro che uscire dall’oggi al domani non si può, sarebbe un
disastro per i depositi bancari, la fuga dei capitali, la forte
svalutazione della moneta sul mercato internazionale. Ma bisognerà
affrontare presto la questione del “se e come uscirne”, perché ciò vuol
dire molti mesi di preparazione. Oppure possiamo tentare di temperare
questa uscita in qualche modo: affiancare all’euro una moneta parallela
che permetta ai governi di avere libertà di bilancio, mentre con gli
euro si continua a sottostare al giogo dei creditori internazionali.
Purtroppo con la Germania al comando e l’inanità del nostro e degli
altri governi non c’è molto da sperare”. Gallino voleva un’Europa
più giusta: non a caso si impegnò coraggiosamente per la lista Tsipras
alle elezioni europee del 2014, contro il massacro della Grecia ad opera
della cosiddetta Troika (UE, BCE, FMI).
L’alternativa della (quasi) moneta fiscale
Gallino non evidenziava solo i problemi ma cercava anche soluzioni.
Sosteneva che fosse indispensabile ridare potestà monetaria allo stato
perché senza moneta lo stato è impotente. Non a caso Gallino è stato
l’unico grande intellettuale italiano che ha avuto il coraggio e
l’intelligenza di promuovere il fiscal money, cioè un titolo
emesso dallo stato e valido per “pagare le tasse” (quindi un titolo
molto liquido, subito convertibile in euro, cosiddetto in gergo
“quasi-moneta”). La quasi-moneta fiscale è stata sostenuta e promossa da
Gallino in uno dei suoi ultimissimi scritti: la prefazione all’eBook “Per una moneta fiscale gratuita”,
pubblicato on line nel giugno 2015 da Micromega. Appoggiò convintamente
la proposta che, insieme ad altri studiosi, ho avanzato per uscire
dalla trappola della liquidità che sta strangolando l’Italia e
l’eurozona.
La proposta prevede che lo stato – senza chiedere denaro ai mercati finanziari, cioè senza indebitarsi – emetta dei Titoli di Sconto Fiscale convertibili in euro
per aumentare la domanda aggregata e trainare così la ripresa
dell’economia. I TSF non sono moneta ma titoli che, proprio come i Bot e
i Btp, si possono negoziare sul mercato e trasformare subito in euro,
cioè in moneta legale da spendere sul mercato. Questi titoli
quasi-moneta potrebbero essere distribuiti gratuitamente con criteri di
equità ed efficienza a famiglie, enti pubblici e imprese: così
riprenderebbero gli investimenti, i consumi e la spesa pubblica. Alla
loro scadenza, dopo tre anni dall’emissione – cioè al quarto anno –
grazie al moltiplicatore del reddito e alla crescita dell’inflazione, i
TSF non provocherebbero un buco fiscale ma si auto-ripagherebbero.
Quindi niente aumento del deficit pubblico, e niente spread.
I TSF darebbero un grosso impulso allo sviluppo, alla crescita
dell’occupazione e dei redditi; così l’Italia e gli altri paesi
dell’euro potrebbero uscire dalla crisi pur restando nell’eurozona e
rispettando le sue (stupide) regole.
Fonte
Al netto del fatto che tanto Gallino quanto Grazzini siano dei – preparatissimi e onesti – e onesti riformisti, non si capisce per quale motivo questi argomenti non siano minimamente considerati a sinistra.
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