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08/08/2023

Il “lodo De Angelis” per riscrivere la Storia

Su certe cose è bene essere seri ed evitare di ammucchiarsi con i commentatori di mestiere, che di tutto parlano senza nulla sapere.

Il “fatto politico” in questo momento è l’uscita di Marcello De Angelis – ultimo incarico: portavoce del presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca – tesa a scagionare i neofascisti Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini dall’accusa di essere gli autori materiali della strage alla stazione di Bologna, il 2 agosto del 1980.

De Angelis ricopre un ruolo importante in una istituzione molto rilevante – la Regione Lazio ha un bilancio superiore a quello di diversi paesi europei – e certamente le sue parole sbattono in modo totale con le affermazioni di Sergio Mattarella, fatte in occasione dell’anniversario della strage: “La matrice neofascista della strage è stata accertata nei processi e sono venute alla luce coperture e ignobili depistaggi, cui hanno partecipato associazioni segrete e agenti infedeli di apparati dello Stato”. Così “infedeli” da venir premiati con splendide carriere, spesso... ma vabbè, non è di questo che parliamo oggi.

Prevedibili sia le reazioni politiche che le parti in commedia, con Giorgia Meloni silente, l’ex sindaco di Roma (!) Gianni Alemanno solidale, il governo in imbarazzo e le opposizioni parlamentari sulle barricate delle chiacchiere.

La vicenda in sé è abbastanza semplice e chiara – i fascisti (dichiarati o in via di “ripulitura”) vogliono riscrivere la storia ufficiale sancita dalle sentenze giudiziarie e in primo luogo scaricarsi di dosso le responsabilità per la strage di Bologna. La più grave, la più densa di depistaggi, “la più” in molti sensi.

Difficile, in altri termini, diventare credibili come “statisti” e “governanti” con questo fardello sulle spalle.

Non stupisce neppure che il ruolo di “testa d’ariete” sia stato assunto da Marcello De Angelis, un “fascista vero ma serio” (poco a che fare con gente come Gasparri et similia), di quelli che hanno usato le mani e non solo, facendosi anche qualche anno di latitanza e poi di galera.

Fratello di un altro membro di Terza Posizione, “Nanni”, morto in carcere in seguito al violento pestaggio subito nella questura di Roma, ma trovato impiccato nella sua cella di Rebibbia, pochi giorni dopo.

Il che sembrerebbe piuttosto inusuale, vista la storica “vicinanza” tra fascisti e le varie forze di polizia.

La “vicenda semplice” – il desiderio di riscrivere la storia – si svolge insomma su una storia molto complessa e con aspetti che vanno esaminati singolarmente, per evitare confusioni che tornerebbero a vantaggio dei soli fascisti.

I fratelli De Angelis in Terza Posizione

Sia Marcello che Nazareno (“Nanni”) furono inizialmente tra gli accusati per la strage alla stazione di Bologna. Entrambi si diedero alla latitanza, contemporaneamente a Luigi Ciavardini. Nanni fu arrestato in piazza Barberini, a Roma, il 3 ottobre del 1980.

Le cronache – e le denunce successive alla morte – riferiscono che i poliziotti lo scambiarono proprio per Ciavardini, riconosciuto come autore dell’omicidio del vicebrigadiere Francesco Evangelista, detto “Serpico”, davanti al liceo Giulio Cesare, a fine maggio.

La vendetta dei poliziotti si sarebbe insomma consumata sulla persona sbagliata e la successiva impiccagione in cella, frettolosamente rubricata come “suicidio”, sarebbe servita a coprire la gravità delle ferite riportate nel pestaggio (ma refertate da un certificato medico in soli sette giorni di prognosi).

Per chi conosce storie e pratiche questurino-carcerarie tutto è abbastanza chiaro, ma difficile da provare in un’aula di tribunale.

C’è quindi da tener presente che Marcello De Angelis abbia una ragione personale non banale per essere ostile alle ricostruzioni storiche ufficiali sulla strage di Bologna. Tanto più che Ciavardini è anche suo cognato, avendone sposato la sorella.

“Stragi di Stato” o “stragi fasciste”?

Fin dalla strage di Piazza Fontana (12 dicembre 1969), o addirittura da quella a Portella della Ginestra (1 maggio 1947), la storia italiana è stata piena di stragi “misteriose” il cui significato politico – e il cui mandante – era invece chiarissimo: fermare l’ascesa del movimento operaio e di una possibile “alternativa politica” che si presentava anche come “alternativa di sistema”.

Da piazza Fontana in poi, non a caso, si cominciò a parlare esplicitamente di “stragi di Stato” evidenziando – con tanto di prove, a volte poi anche riprese nelle inchieste giudiziarie – che si trattava di atti terroristici “commissionati” dallo Stato – e dai servizi statunitensi – ma eseguiti materialmente da fascisti.

In alcuni casi il collegamento tra fascisti e Stato fu esplicito. Per la strage di Peteano (31 maggio 1972), per esempio, c’è stata la confessione volontaria di uno degli esecutori, Vincenzo Vinciguerra, membro di Ordine Nuovo.

In quel caso i depistaggi furono piuttosto grossolani (i servizi provarono inizialmente a indirizzare le indagini verso la sinistra extraparlamentare, giocando sul fatto che le vittime erano tre carabinieri), e non mancò neanche l’intervento materiale di Giorgio Almirante (allora segretario del Movimento Sociale Italiano), sospettato di aver favorito l’espatrio di un altro degli esecutori materiali, Carlo Cicuttini.

Per quella di piazza Fontana, invece, seppure in fortissimo ritardo, fu provata la partecipazione come “artificiere” di Carlo Digilio, contemporaneamente membro di Ordine Nuovo, agente dei servizi segreti italiani e “uomo di mano” della Cia (impiegato poi anche come reclutatore di esuli cubani anticastristi).

Oggi – per esaurimento della sinistra radicale vera e propria – la dizione di “stragi fasciste” si è imposta come narrazione dominante che copre proprio le responsabilità dirette dello Stato italiano e dei suoi “alleati” euro-atlantici. Ma è assolutamente certo che tutte le stragi sono state “di Stato”. Eseguite – questo sì – da fascisti.

L’omicidio di Valerio Verbano

I fratelli De Angelis sono entrati, con ruoli diversi, anche nelle indagini per l’assassinio di Valerio, in casa sua, il 22 febbraio 1980.

Nanni era rimasto ferito nell’ottobre del 1978, durante uno scontro in piazza Annibaliano (nel quartiere Trieste-Africano, “territorio” di Terza Posizione), proprio da Valerio Verbano.

Come si usava a quei tempi, in questi scontri casuali – “a vista” – si rimaneva contusi o feriti in molti, ma si ricorreva al pronto soccorso (e alle registrazioni amministrative relative) solo in caso di ferite abbastanza serie.

In quell’occasione Valerio aveva però perso il suo zainetto, con dentro anche i documenti. I sospetti sui De Angelis, dopo la sua uccisione, furono originati proprio da quell’episodio, collegando la perdita dei documenti, quindi le informazioni indispensabili per organizzare una “vendetta” e l’interesse diretto dei fratelli De Angelis.

Marcello sciolse tutti i sospetti presentandosi, anni dopo, direttamente a Carla Verbano per chiederle se lo riconosceva come uno dei tre assassini di suo figlio. Risposta negativa e fine delle speculazioni.

L’omicidio di Valerio e la Roma dell’epoca sono stati magistralmente ricostruiti nel libro di Valerio Lazzaretti, Valerio Verbano. Ucciso da chi, come e perché, Odradek.

Depistaggi fascisti e non solo sulla strage di Bologna

Anche i condannati per la strage – Fioravanti e Mambro – una volta scarcerati si sono dati da fare per inventare “altre piste”, tutte rigorosamente fasulle. La più nota è quella “tedesco-palestinese”, su cui più volte questo giornale ha scritto o pubblicato interventi molto rigorosi e ai quali rimandiamo (Vedi qui, qui, qui, qui ecc.).

Non sono mancati neanche i tentativi di far passare un compagno rimasto vittima della strage come “responsabile”, arrivando persino a strumentalizzare il dolore dei familiari da cui avevano ottenuto una sorta di “perdono”...

Il gioco della “ripulitura” dei fascisti ha insomma una lunga storia. Ma oggi sono al governo e ritengono giunto il momento per far passare il proprio interesse.

Una carriera senza ostacoli

Marcello De Angelis, dopo aver scontato la sua pena al rientro dalla latitanza in Gran Bretagna – vi era andato per avvertire i “capi” di Terza Posizione, Roberto Fiore e Massimo Morsello, del possibile loro arresto, peraltro mai avvenuto – entra nei ranghi di Alleanza Nazionale, diventando prima senatore e poi anche deputato alla Camera, addirittura membro della Commissione Difesa (tra le altre).

Quindi diventa direttore de Il Secolo d’Italia (storico giornale fascista-missino), poi di Area (testata della “corrente” di Alemanno e Storace).

Non disdegna neanche la collaborazione con Maurice Bignami, ex leader pentito di Prima Linea, forse in omaggio all’antica convinzione di Terza Posizione di porsi come “ponte” con la sinistra extraparlamentare.

Contrariamente ai forcaioli di ogni risma, è nostra convinzione che chi ha scontato la sua pena sia libero in tutti i sensi. E quindi possa fare qualsiasi mestiere sia in grado di fare. E anche “politica”, magari diventando parlamentare.

Quello che ci indigna sempre è un’altra cosa.

Se questo accade a un fascista, nessuno ci fa caso. Se per caso un compagno osa soltanto “prendere parola” tutti – soprattutto tra i sedicenti “democratici” – si sgolano gridando allo scandalo.

C’è un senso, non avviene per sbadataggine...

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