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06/02/2012

Di Paola, non solo F35: pressioni anche per un altro aereo patacca

L’Italia che ripudia la guerra, e accetta sacrifici e sobrietà, non rinuncia ai 131 cacciabombardieri F35 di fabbricazione americana: un mutuo nazionale di 14 anni che costa 15 miliardi di euro. Il governo ha tergiversato, promesso e ritrattato, finché l’ammiraglio, ministro per la Difesa, ha rimosso scrupoli e risparmi: “Sbagliato cambiare idea”. Non poteva smentire se stesso, nonostante le incognite tecnologiche che turbano gli americani e le ritirate strategiche di Australia, Norvegia e Danimarca. Il protocollo d’intesa (2002) indica la firma di Di Paola, all’epoca segretario generale al ministero nonché componente Nato.

Non è mai semplice per la Difesa sigillare operazioni miliardarie. E il ministro è protagonista di una seconda vicenda. L’’ex responsabile armamenti Di Paola, che conosceva la pratica per l’incarico che ricopriva (marzo 2001-marzo 2004), ricorderà il putiferio per l’adesione italiana al consorzio europeo – con investimenti totali per 25 miliardi di euro, di cui 8 a carico di Roma – per la costruzione di 175 Airbus A 400 M, un quadrimotore per il trasporto militare. A distanza di 11 anni, oggi, cadono le resistenze diplomatiche e le ritrosie personali, allora si può raccontare perché l’Italia deluse francesi e tedeschi. Quelli che aspettano la consegna del primo esemplare con 6 anni di ritardo, esordio previsto per il 2007 e rimandato al 2013: “Ho avuto impressione che intorno a quell’affare ci fosse un enorme giro di tangenti, io ne fui testimone, e così scrissi una lettera al presidente del Consiglio”, denuncia al Fatto Rocco Buttiglione, ministro per le politiche europee nel governo di Silvio Berlusconi che annusò per primo le maniere sporche.

Torniamo indietro con il calendario: fine 2001, inizio 2002. Il ministro per la Difesa è il professor Antonio Martino, tessera di Forza Italia numero 2. Martino ripercorre l’intricata vicenda nel libro Presidente, ci consenta di Angelo Polimeno: “Divento ministro l’ 11 maggio, il generale Rolando Mosca Moschini mi dice che l’indomani dovevo siglare l’accordo. Non sapevo di cosa si parlasse, e chiesi chiarimenti agli ufficiali che se ne occupavano”. Martino convoca Di Paola (e un generale): “Mi spiegano che si tratta di un aereo particolare per il trasporto, un prodotto di un progetto europeo. Domando: ‘Ci serve?’. Le loro risposte non mi paiono convincenti”. Non si fida, il ministro, e respinge le pressioni. Chiama il capo di Stato maggiore per l’Aeronautica, Sandro Ferraguti: “Generale, qui dentro siamo soli, mi spieghi se l’apparecchio è utile per le nostre esigenze”. Ferraguti è sincero: “Ministro, se me lo regalassero, non saprei cosa farne”.

Il governo annuncia di voler rivedere il progetto: protestano i Democratici di Sinistra, la Margherita, Alleanza Nazionale, un pezzo di Forza Italia e, soprattutto, il ministro Renato Ruggiero (Esteri). Passa un mese di violente polemiche, audizioni in parlamento, interrogazioni urgenti, riunioni segrete. In visita al salone aeronautico di Parigi, dove i francesi mostrano le innovazioni tecnologiche più raffinate, il 20 giugno 2001, l’ammiraglio Di Paola rassicura gli alleati: “Non c’è alcun mistero dietro la mancata firma del governo – riporta l’archivio Ansa – al memorandum di intesa sul nuovo aereo di trasporto militare realizzato da Airbus. Si sapeva che non si sarebbe firmato ora, ma spero che prima possibile, entro settembre, arrivi la firma. Speriamo sia una questione di settimane e non di mesi”. Il responsabile armamenti dimentica, però, che l’Italia aveva già stipulato dei contratti per noleggiare velivoli sostanzialmente identici seppur di vecchia generazione.

Il nervosismo dei ministri ammazza le speranze di Di Paola: il 25 luglio, in Commissione Difesa a Montecitorio, si rifiuta di commentare. Ruggiero parla per mezzo di comunicati ufficiali: “Il ministro difenderà fino in fondo le sue tesi: la partecipazione italiana è necessaria”. L’ex direttore per le relazioni internazionali di Fiat, che simboleggiava la tregua fra l’avvocato Agnelli e il Cavaliere, si dimetterà il 6 gennaio 2002. Dice Martino di Ruggiero: “Non aveva interessi personali, ma intorno a questa operazione c’erano ovviamente molte attese. La famiglia Agnelli avrebbe guadagnato qualcosa come mille miliardi di lire (500 milioni di euro, ndr)”. Servono 11 anni per scoprire perché l’Italia abbandonò quell’operazione, che succhia ancora milioni a 8 paesi europei. Nel Consiglio dei ministri decisivo, Martino indica l’onestà di Buttiglione, e un fallito tentativo di corruzione. Tutti sanno l’origine dei dubbi, nessuno, però, si rivolge ai magistrati. Il vicepresidente di Montecitorio Buttiglione ricostruisce l’episodio: “Una persona notoriamente vicina al governo francese, quando cominciai il mio mandato (e dunque a metà 2001, ndr), aveva iniziato un discorso non proprio impeccabile. Mi faceva intuire che fossero pronte cospicue offerte in denaro se avessimo sostenuto il consorzio per l’Airbus. A quel punto, interruppi il discorso. Ritenni mio dovere avvertire Berlusconi. In quei giorni circolavano voci sui modi poco trasparenti per coinvolgere nel progetto gli altri paesi europei. Ho avuto impressione che intorno a questa commessa ci fosse un enorme giro di tangenti. Quell’affare poteva compromettere i nostri rapporti diplomatici con alcuni alleati europei”. E così l’Italia ha risparmiato 8 miliardi di euro e un investimento pericoloso. Già nel 2002, in Germania, la Corte federale dei Conti giudicò eccessiva e costosa la commessa di 73 A 400 M pagati 8, 3 miliardi di euro. Con il tempo che s’è perso, la Germania con quei soldi potrà ricevere 60 esemplari.

La spesa complessiva supererà i 25 miliardi di euro: per l’esercito tedesco, il primo modello di A 400 M è in fase di collaudo, e ci resterà per tre anni. La commessa è fuori controllo: diminuisce la quantità, crescono i costi. Un problemino che riguarda pure il caccia F 35, che si vendeva a 80 milioni e adesso sfiora i 130. Prima di accendere un mutuo di 15 miliardi, forse Di Paola potrebbe rifletterci ancora un pochino.

Fonte.

Lo scandalo Lockeed è un sempreverde della nostra pseudo democrazia.

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