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17/02/2015

Iraq - Hezbollah combatte a Baghdad

Hezbollah è in Iraq, armi in pugno, a combattere l’Isis. Lo ha detto ieri il leader del movimento sciita libanese, Hassan Nasrallah, durante un discorso pubblico a Beirut in occasione della giornata di commemorazione dei martiri. Che i miliziani del Partito di Dio, accanto ai pasdaran iraniani, si trovassero in Iraq era una notizia che girava da tempo tra i media. Ora arriva la conferma ufficiale.

“Abbiamo una presenza limitata in Iraq – ha detto Nasrallah – a causa della fase delicata che sta vivendo oggi il paese”. Riferendosi poi all’appello del leader dell’opposizione libanese, Saad Hariri, che due giorni fa ha chiesto a Hezbollah di ritirarsi dalla Siria (dove da tempo combatte a fianco dell’esercito governativo di Assad), il capo del movimento sciita ha risposto con un secco “Andiamo insieme in Siria”. E anche in Iraq, “ed in ogni luogo in cui possiamo affrontare ciò che minaccia la nazione araba e la nostra regione”.

Secondo analisti internazionali, i miliziani sciiti si troverebbe a Amerli, Diyala e Baghdad. E si trovano, stabili, a sud della Siria, dove hanno guidato l’avanzata contro i qaedisti di al-Nusra verso Quneitra e il Golan. Una presenza ormai radicata che è specchio delle intenzioni dell’asse sciita: garantire l’influenza sulla Siria, impedire che il controllo sia assunto da gruppi che da tempo l’Iran accusa di essere finanziati e gestiti dall’Arabia Saudita, e mantenere una mano sul nuovo governo sciita di Baghdad, nato dalle ceneri del post-Saddam.

Nasrallah, nel discorso di ieri, ha tenuto a precisare in cosa consista secondo Hezbollah la minaccia islamista, equiparando al-Nusra (che rientra sotto l’ala di Al Qaeda seppure non abbia mancato di allearsi strategicamente con l’Isis) e lo Stato Islamico, “una sola realtà, una sola ideologia”. In realtà gli obiettivi finali appaiono diversi: al-Nusra punta alla Siria, allo Stato-nazione; Al-Baghdadi a creare un califfato islamico, un’entità panislamica in Medio Oriente.

Un’entità che si radicalizza in Iraq, dove da giugno il califfo controlla un terzo del paese e la seconda città irachena, Mosul. Ieri il premier al-Abadi è tornato a prospettare il lancio di un’ampia offensiva (già annunciata la scorsa settimana da John Kirby, portavoce del Pentagono) per riprendere Mosul, da organizzare prima della fine dell’anno. Secondo al-Abadi, che ne ha parlato in un’intervista con la Bbc, la città potrebbe essere liberata in pochi mesi, con un numero minimo di vittime.

Per farlo, ha chiesto il sostegno dei peshmerga, dei kurdi di Irbil: nei giorni scorsi il premier ne ha discusso con il presidente del Kurdistan iracheno, Barzani, offrendo in cambio prospettive di maggiore autonomia amministrativa. Servirà anche l’aiuto della coalizione la cui azione però – ha detto il premier – “è un po’ frustrante” perché troppo lenta.

Accanto alle truppe regolari di Baghdad – un esercito nato dopo lo smantellamento di quello creato da Saddam e oggi formato quasi esclusivamente da sciiti – al-Abadi chiama a raccolta anche le milizie sunnite, che negli ultimi mesi hanno preso parte ad azioni sul campo anti-Isis. Una mossa necessaria, secondo il nuovo governo, per mettere una pezza ai settarismi interni che dilaniano il paese e che hanno permesso in parte la repentina avanzata dello Stato Islamico: tra gli affiliati della prima ora del califfo, ci sono state sacche consistenti di ex membri del partito Baath, fedelissimi di Saddam e generali sunniti che hanno visto nell’Isis l’opportunità per riprendersi il paese.

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