“Abbiamo una presenza limitata in Iraq –
ha detto Nasrallah – a causa della fase delicata che sta vivendo oggi
il paese”. Riferendosi poi all’appello del leader dell’opposizione
libanese, Saad Hariri, che due giorni fa ha chiesto a Hezbollah di
ritirarsi dalla Siria (dove da tempo combatte a fianco dell’esercito
governativo di Assad), il capo del movimento sciita ha risposto con un
secco “Andiamo insieme in Siria”. E anche in Iraq, “ed in ogni luogo in
cui possiamo affrontare ciò che minaccia la nazione araba e la nostra
regione”.
Secondo analisti internazionali, i miliziani sciiti si troverebbe a Amerli, Diyala e Baghdad. E si trovano, stabili, a sud della Siria,
dove hanno guidato l’avanzata contro i qaedisti di al-Nusra verso
Quneitra e il Golan. Una presenza ormai radicata che è specchio delle
intenzioni dell’asse sciita: garantire l’influenza sulla Siria, impedire
che il controllo sia assunto da gruppi che da tempo l’Iran accusa di
essere finanziati e gestiti dall’Arabia Saudita, e mantenere una mano
sul nuovo governo sciita di Baghdad, nato dalle ceneri del post-Saddam.
Nasrallah, nel discorso di ieri, ha tenuto a precisare in cosa consista secondo Hezbollah la minaccia islamista, equiparando
al-Nusra (che rientra sotto l’ala di Al Qaeda seppure non abbia mancato
di allearsi strategicamente con l’Isis) e lo Stato Islamico,
“una sola realtà, una sola ideologia”. In realtà gli obiettivi finali
appaiono diversi: al-Nusra punta alla Siria, allo Stato-nazione;
Al-Baghdadi a creare un califfato islamico, un’entità panislamica in
Medio Oriente.
Un’entità che si radicalizza in Iraq,
dove da giugno il califfo controlla un terzo del paese e la seconda
città irachena, Mosul. Ieri il premier al-Abadi è tornato a prospettare
il lancio di un’ampia offensiva (già annunciata la scorsa settimana da
John Kirby, portavoce del Pentagono) per riprendere Mosul, da
organizzare prima della fine dell’anno. Secondo al-Abadi, che ne ha
parlato in un’intervista con la Bbc, la città potrebbe essere liberata
in pochi mesi, con un numero minimo di vittime.
Per farlo, ha chiesto il sostegno dei
peshmerga, dei kurdi di Irbil: nei giorni scorsi il premier ne ha
discusso con il presidente del Kurdistan iracheno, Barzani, offrendo in
cambio prospettive di maggiore autonomia amministrativa. Servirà anche
l’aiuto della coalizione la cui azione però – ha detto il premier – “è
un po’ frustrante” perché troppo lenta.
Accanto alle truppe regolari di Baghdad – un esercito nato dopo lo smantellamento di quello creato da Saddam e oggi formato quasi esclusivamente da sciiti – al-Abadi chiama a raccolta anche le milizie sunnite,
che negli ultimi mesi hanno preso parte ad azioni sul campo anti-Isis.
Una mossa necessaria, secondo il nuovo governo, per mettere una pezza ai
settarismi interni che dilaniano il paese e che hanno permesso in parte
la repentina avanzata dello Stato Islamico: tra gli affiliati della
prima ora del califfo, ci sono state sacche consistenti di ex membri del
partito Baath, fedelissimi di Saddam e generali sunniti che hanno visto
nell’Isis l’opportunità per riprendersi il paese.
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