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19/02/2015

La moneta del Califfato: il Dinaro. Va bene, ma che c’è sotto?

Nel mese di novembre l’Isis (o se preferite, il Califfato) ha annunciato la comparsa della sua moneta ufficiale, che riprende la denominazione dell’antica moneta araba, il Dinaro (donde il nostro termine “denaro”).

Come quella, sarà una moneta non cartacea, in sette tagli di oro, argento e rame (o forse bronzo), il cui valore equivarrà, nel taglio massimo (5 dinari, pari a 21,25 grammi oro), a 694 dollari o 640 euro attuali, e, nel taglio minimo (10 centesimi per 10 grammi di rame), a 7 centesimi di dollaro o 5 centesimi di euro.

Non c’è dubbio che l’operazione ha un indubbio valore simbolico, volendo significare che l’Isis ha tutte le intenzioni di mettere radici come stato in piena regola, dotato anche di una sua moneta. Ma perché una monetazione solo metallica (e di metallo prezioso) e non cartacea o di metallo vile? E’ stato spiegato dagli stessi jihadisti che in questo modo vogliono affrancare il mondo islamico dalla moneta di Statana (il dollaro) e tornare alla purezza islamica delle origini, quando le monete erano solo d’oro o d’argento. Dunque, una sorta di ritorno al gold standard, quando il valore della moneta – anche cartacea – corrispondeva alla quantità di oro o argento posseduta dalla banca di emissione. E con ciò anche una mossa di contrasto alle tendenze monetarie.

Infatti, a partire dalla denuncia degli accordi di Bretton woods, nel 1971, il denaro è andato via via affrancandosi dalla sua base metallica e, con la comparsa delle carte di credito, lo stesso contante cartaceo tende a scomparire, sostituito dall’attuale denaro bancario che, di fatto, soppianta quello statale. Dunque tendenze dalla smaterializzazione del denaro che diventa un’astratta capacità di spesa corrispondente da una cifra segnata su un conto bancario. Rispetto a queste tendenze l’Isis propone il ritorno alla rude “concretezza” di un denaro-oggetto, che ha un valore intrinseco.

Ma che probabilità ha di imporsi sul mercato questa moneta? Quasi nessuna come reale moneta di scambio. Sul mercato internazionale, non essendo riconosciuto il Califfato da nessun altro Stato, la moneta non sarà convertibile ed, al massimo potrà servire a qualche transazione con gli analoghi “stati di fatto” in Nigeria e Libia, sempre che ciò realmente accada. Sul piano interno è assai dubbio che essa inizi effettivamente a circolare per la difficoltà di disporre del metallo necessario.

Il problema non si pone tanto per l’oro: difficilmente una moneta equivalente a circa 700 dollari sarà in possesso e spesa fra i sudditi del Califfato se non per particolarissime transazioni per le quali basterebbe un numero limitato di pezzi per i quali l’Isis avrebbe l’oro necessario. In fondo, anche a noi quante banconote da 500 euro è capitato di vedere ed usare in 11 anni di vita dell’euro? Qualche problema in più potrebbe esserci per l’argento, ma i problemi peggiori ci sarebbero per il rame: calcolando che la popolazione del Califfato possa aggirarsi sui 4 milioni di persone (calcolo molto approssimativo a causa della mobilità dei confini e delle fughe di massa in atto) ipotizziamo, molto prudenzialmente, una massa di circolante pari a circa 200 milioni di euro (circa 800 euro pro capite). E’ logico che la moneta più diffusa, per gli scambi quotidiani, sarebbe quella in rame di taglio minimo.

Considerando che, per fare 12.800 monete di rame da 10 centesimi, per arrivare a 5 dinari, occorrerebbero 128 chili di rame per produrle. Dunque, per produrre l’equivalente della metà del circolante necessario, 100 milioni di euro, pari a 156.250 monete da 5 dinar, occorrerebbe coniare circa 2 milioni di pezzi, pari a 20 t di rame da procurarsi e far passare attraverso le frontiere, cosa decisamente non semplice. E resta il problema del resto della monetazione, senza calcolare che, una eventuale estensione del territorio – come sperano gli jihadisti – o un aumento della popolazione renderebbe del tutto insufficiente questa massa di circolante. E senza calcolare i problemi di conio e distribuzione della moneta.

Dunque anche sul mercato interno è del tutto discutibile che la moneta entri realmente in circolazione. Dunque, solo propaganda?

Non necessariamente. L’operazione, infatti, potrebbe rivelarsi un clamoroso affare per gli jihadisti del Califfato che, sin qui, hanno dimostrato di avere buon fiuto per gli affari. La moneta, proprio per la sua rarità potrebbe diventare assai appetita da collezionisti disposta a pagarla ben più del suo valore facciale. E, nel momento in cui il Califfato dovesse essere debellato da forze armate ostili, il valore del dinaro potrebbe aumentare sensibilmente. Calcoli difficili da fare, perché non sappiamo quante monete conierà il Califfato e tantomeno come sarà certificata l’effettiva emissione, tuttavia ci sarebbe sempre il valore intrinseco del metallo ad incoraggiare l’investimento. Nel giro di alcuni anni, il possesso di una discreta quantità di oro monetato dall’Isis potrebbe addirittura entrare nell’asset di enti finanziari ed, in ogni caso, sarebbe anche un’ottima moneta di scambio per la criminalità organizzata. Dunque, il Califfato ha ottime possibilità di coniare una certa quantità di oro per rivenderlo a prezzi sensibilmente superiori, magari del 60-70 o anche 100%.

E qualche opportuno accordo con la grande criminalità organizzata (se non anche con la “finanza grigia”) potrebbe risolvere il problema della sua diffusione.

Un ottimo affare, non c’è dubbio.

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