Il veto degli Stati Uniti non serve più a niente: ora le milizie sunnite irachene starebbero volontariamente unendosi a quelle sciite finanziate e armate dall’Iran per liberare le zone occupate dall’Isis. Lo annunciano alcuni comandanti stessi, che in questi giorni stanno facendo confluire i loro reparti nelle fila delle unità di Mobilitazione Popolare, la formazione-ombrello delle forze tribali sciite formata lo scorso anno dal governo iracheno con il diretto sostegno e l’addestramento di Teheran.
Secondo le testimonianze raccolte dal portale Middle East Eye, migliaia di miliziani sunniti si sono già uniti alle fazioni armate sciite che combattono nelle zone a maggioranza sunnita conquistate dal cosiddetto Califfato, l’Anbar e la regione di Niniveh, soprattutto per il tipo di equipaggiamento e addestramento che ricevono immediatamente. Lo ha spiegato bene Khalid Abdullah, comandante del battaglione sunnita di Salahuddin ora parte di Asaib Ahl al-Haq, milizia sciita irachena a lungo sostenuta da Teheran: “Fin dall’inizio – ha detto a Middle East Eye – abbiamo pensato che non c’era modo di liberare le nostre terre se non con l’aiuto degli iracheni, senza appoggiarsi agli Stati Uniti né ad altri paesi, ed è per questo che abbiamo aderito alla Mobilitazione Popolare”.
“All’inizio di quest’anno – continua – abbiamo aderito ad Asaib Ahl al-Haq e da quel momento combattiamo fianco a fianco per liberare le nostre aree: hanno incondizionatamente armato, attrezzato e addestrato i miei 600 uomini”. La compagine delle unità di Mobilitazione Popolare appare assai variegata: dietro allo zoccolo duro costituito dall’Organizzazione Badr, Asaib Ahl al-Haq e Kataib Hezbollah-Iraq, ci sarebbero altre milizie sciite formatesi di recente: al-Nujabaa (fuoriusciti da Asaib), Jund al-Imam (una milizia nata lo scorso anno), Ali al-Akbar Bregaid (nata qualche mese fa), e Kataib Sayyid al-Shuhada (la formazione sciita più giovane). Al loro fianco decine di reparti multicomunitari o solamente sunniti, composti da 250-600 combattenti, che hanno abbandonato momentaneamente la diffidenza nei confronti delle milizie armate da Teheran e dell’esercito iracheno a maggioranza sciita per una guerra più efficace all’Isis.
Messe in pausa le ostilità comunitarie, la situazione appare capovolta: neanche due mesi fa i leader tribali sunniti dell’Anbar chiedevano a gran voce al governo iracheno di non dispiegare le milizie sciite per liberare Ramadi, caduta velocemente sotto il fuoco del Califfato per la disorganizzazione dell’esercito di Baghdad e per il disimpegno degli Stati Uniti, che preferivano bombardare i pozzi petroliferi siriani caduti in mano all’Isis piuttosto che le orde di jihadisti che occupavano l’ennesimo centro abitato iracheno.
Ora però i combattenti non risparmiano le critiche nei confronti di quegli stessi capi tribali che hanno impedito il dispiegamento dei rinforzi sciiti: “Quelle figure sunnite – denuncia Mohammad, comandante sunnita che combatte con i suoi uomini a fianco di Kataib Hezbollah-Iraq nell’Anbar – che giocano la carta settaria e insistono a rifiutare di cooperare con quelle che chiamano le milizie sciite, sono le stesse che attualmente vivono a Irbil e negli hotel di Dubai e Amman, mentre i nostri figli e le nostre donne muoiono ogni giorno nelle tende allestite per loro nel deserto”. “Lasciate – ha aggiunto – che portino le loro famiglie a vivere con le nostre nelle tende e poi ne riparleremo”.
Corruzione nell’esercito, penuria di armamenti e procedure di routine troppo lente sarebbero all’origine della scelta delle milizie piuttosto che dell’esercito iracheno. Ma gli analisti avvertono delle conseguenze che potrebbero nascere se si dividono i sunniti iracheni tra affiliazioni sciite: “L’appoggio incondizionato sciita alle fazioni sunnite – prevede l’analista politico Abduwahid Touma – punta a creare un nuovo blocco politico sunnita che sarebbe fedele agli sciiti in futuro e all’Iran che è indirettamente il fornitore di tale sostegno. Questo blocco si contrapporrebbe alle altre fazioni sunnite più radicali, compresi i Salafiti, i Fratelli Musulmani e il partito Baath”.
Per ora, come spiega Taha Diraa, leader dell’Alleanza Nazionale, il più grande blocco politico sciita iracheno, l’importante è “costruire una reciproca fiducia con loro [i sunniti, ndr] che potrebbe produrre, a lungo termine, un progetto nazionale”. Ma per i sunniti la parola d’ordine ora è annientare i jihadisti nelle proprie terre: “Siamo pronti ad allearci con il diavolo – chiosa Mohammad – se questo significasse liberarsi dell’Isis”.
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