Democracy Internazional, organizzazione statunitense, ha annunciato
che non ci saranno i suoi osservatori durante le parlamentari egiziane,
iniziate oggi con l’apertura dei seggi all’estero in 139 ambasciate.
L’Egitto non ha un Parlamento da giugno del 2012.
L’organizzazione accreditata a monitorare sulla correttezza della
operazioni di voto dalla Commissione elettorale egiziana, ha lamentato
difficoltà nell’ottenimento dei visti per gli osservatori. E per
alcuni si tratta di una forma di pressione del governo del Cairo per
evitare che occhi scomodi osservino la tornata elettorale da cui,
ritengono i più, uscirà un Parlamento allineato con il presidente Abdel
Fattah al-Sisi.
D’altronde, nelle liste dei candidati mancano i Fratelli Musulmani,
messi fuori legge e soggetti a una dura repressione dopo il golpe del
luglio 2013, che ha deposto l’ex presidente Morsi, e non ci sarà neanche
il partito islamico di Abdel Moneim Aboul Fotouh, ex
esponente della Fratellanza e candidato indipendente alle scorse
presidenziali, considerato un moderato. Nel 2012 ha fondato il partito
Forte Egitto. Almeno cinque membri del partito sono in carcere accusati
di aver organizzato una campagna contro il referendum costituzionale nel
2014. Aboul Fotouh ha chiamato al boicottaggio del voto, denunciando minacce ai suoi esponenti.
Domani e dopodomani, ed anche al secondo turno, il 22 e il 23 novembre, non ci saranno neanche gli osservatori del Carter Center,
altra organizzazione statunitense che l’anno scorso ha chiuso i suoi
uffici al Cairo e ha spiegato che non monitorerà le parlamentari perché
queste elezioni non porteranno a una genuina transizione democratica.
Le parlamentari, infatti, sono una tappa di quella road map disegnata
da Al Sisi all’indomani del golpe militare che lo ha portato alla guida
del Paese. Sono uno dei tasselli della transizione democratica promossa
dal presidente, ma in cui ormai pochi credono. Al Sisi governa
con il pugno di ferro, in mancanza di un Parlamento ha avocato a sé il
potere legislativo e lo ha utilizzato, agitando ragioni di sicurezza
nazionale, per limitare o eliminare ogni spazio di discussione politica,
sbarazzandosi degli oppositori. In primis i Fratelli
Musulmani, rivali temibili per il consenso popolare che raccolgono, ma
anche i laici e i giovani che avevano alimentato la cosiddetta primavera
egiziana. Le carceri egiziane traboccano di detenuti politici e nei
tribunali si comminano centinaia di condanne a morte.
Questa tornata elettorale non dovrebbe dunque riservare sorprese per Al Sisi. Gli
egiziani sono chiamati a votare per 596 membri della Camera dei
rappresentanti: 448 saranno eletti nelle liste indipendenti e 120 in
quelle di partito. Gli altri 28 parlamentari saranno nominati dal
presidente.
Una volta eletto, il Parlamento dovrà votare tutte le leggi emanate
in sua assenza da Al Sisi e avrà anche il potere di contestare la
decisione del presidente di prendere parte alla guerra in Yemen al
fianco dei sauditi. È improbabile che la nuova Assemblea metta
in discussione l’operato di Al Sisi che, intanto, nelle ultime settimane
ha ottenuto un prestito di tre miliardi di dollari dalla Banca Mondiale
per le casse in deficit del Paese. Non è chiaro se il prestito, e
soprattutto le condizioni poste dalla Banca Mondiale per accordarlo,
saranno soggetto al voto del Parlamento o meno.
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