Il ministro e vicepresidente del
consiglio Luigi Di Maio ha definito il suo primo decreto, quello
ribattezzato “dignità” per provare a scatenare un po’ di effetto
annuncio, come un provvedimento che “dà un colpo mortale al precariato,
licenziando il Jobs act”, e che restituisce “diritti” mentre combatte la
“precarietà, la burocrazia, l’azzardo e la delocalizzazione”. E
vediamolo, allora, questo decreto da combattimento.
Il nostro giudizio qui non è certo
infarcito dei numerosi “si vedrà” di solito formulati da chi non sa bene
di quale materia si sta parlando o, in alternativa, vuol buttare la
palla in angolo. Infatti il nostro giudizio è, invece, netto: il decreto Di Maio, lasciamo ad altri l’uso dell’etichetta paternalistica della dignità, serve più ad allungare gli effetti annuncio pentastellati su Twitter e Facebook che alla società italiana.
Sempre prendendo sul serio il vicepresidente del consiglio quando
annuncia che i riders, i cui diritti dovevano entrare nel decreto, non
sono qui oggetto di intervento legislativo perché tra due mesi avranno
un contratto.
– Cominciamo dai diritti dei lavoratori soggetti a partita iva,
un’area vasta del precariato del nostro paese. Una delle misure
ritenute vessatorie da questa categoria, lo spesometro, era stata
annunciata come abolita proprio da questo decreto. Invece lo spesometro rimane
e, a questo punto, c’è da chiedersi se la sua abolizione, prevista da
precedenti dispositivi di legge per il 2019, avvenga davvero.
E’ stato invece abolito, da subito, lo split-payment.
Cosa è? E’ un meccanismo di pagamento diretto dell’Iva da parte della
pubblica amministrazione. Ritenuto efficace per combattere le numerose
frodi legate all’Iva nel nostro paese (si veda https://www.guidafisco.it/split-payment-iva-pa-1242).
E’ stato abolito subito e non si capisce, francamente, quale altro
dispositivo di legge possa sostituirlo nella lotta all’evasione fiscale e
alle truffe legate all’Iva.
– Veniamo quindi alla cosiddetta lotta al precariato,
che secondo Di Maio avrebbe subito una Waterloo in questo decreto. Il
dispositivo introdotto dal vicepresidente del consiglio mostra due
immediate potenzialità: la prima contribuire a far aumentare il
lavoro nero e il turnover dei lavoratori, la secondo alimentare il
precariato.
Sulla prima potenzialità è presto detto: diminuendo i
mesi consecutivi consentiti di contratto a tempo determinato (da 36 a
24), le aziende tenderanno a massimizzare il turnover e a ottimizzare
l’assunzione di lavoratori in sostituzione di quelli non confermati. Oppure confermando i lavoratori in produzione semplicemente passando al nero. Col decreto sarà più conveniente fare così che stabilizzare
e, si sa, le aziende non regalano.
La seconda è legata alla prima: non
c’è convenienza economica nel passaggio da tempo determinato a tempo
indeterminato (comunque sotto jobs act), dopo i mesi di precariato perché il tempo indeterminato continua ad essere meno conveniente del tempo determinato.
Infatti il
decreto, anche se non è chiaro perché, aumenta la tassazione su
indeterminato e determinato mantenendo quest’ultimo più conveniente. E
se si aumenta la tassazione, oggi, si incentiva il lavoro nero.
E così, in un colpo solo, Di Maio ha aumentato le possibilità che ci siano maggior lavoro nero e maggior precariato in questo paese. Oltretutto se Di Maio voleva dare un colpo mortale al Jobs Act, bastava abolirlo. Ma così non è stato. Certo in un colpo solo tra
abolizione dello split payment e norme sul tempo determinato,
un’impresa, da oggi, ha maggior possibilità di giocarsela sull’Iva e sul
nero. E tutto questo dai paladini della legalità.
Oltretutto il più grande settore di produzione di precariato in Italia, la pubblica amministrazione, è esentato dagli effetti di legge nel decreto Di Maio.
Segno EVIDENTE che il settore pubblico può, e vuole, andare avanti col
precariato. La tanto declamata dignità si ferma quindi ai confini del
settore pubblico. Ma fermiamoci qui, lasciamo ai meetup di turno il
compito di credere all’esistenza degli unicorni e Di Maio che combatte
il precariato. E ai soliti boccaloni lasciamo il mito della parte di
sinistra del governo che si fa valere.
– Veniamo alle sanzioni sulla delocalizzazione. Intento condivisibile, ma gli effetti del decreto, a parte che nella fantasia scatenata dei meetup, saranno limitati. Perché non si intravede, almeno nelle bozze pubblicate fino a questo momento, uno straccio di imitazione di una legge francese, la Loi Florange, che obbliga l’eventuale delocalizzatore a cercarsi un acquirente per un dato periodo di tempo. Leggendo le bozze del decreto Di Maio il rischio è che le aziende, per delocalizzare senza pagare sanzioni, semplicemente si mettano in stato di fallimento.
Infine, cosa dire del divieto di pubblicità per scommesse e giochi
d’azzardo? Certo, aiuta la lotta alla ludopatia, bellissimo. Solo che,
fatto in questo modo, senza alternative di finanziamento, rischia di
azzoppare lo sport italiano in generale, e il calcio in particolare, che
vivono di sponsorizzazioni legate al mondo delle scommesse. E qui si
parla di una importante, strategica, industria nazionale.
Un decreto quindi nocivo – su Iva, nero e
precariato – come innocuo sulle delocalizzazioni. Infine demenziale,
sullo sport, anche nell’abolizione dell’iperammortamento
sull’innovazione digitale. Da mani nei capelli, insomma.
Per non finire di stupire, Di Maio ha
parlato, sempre in queste ore, di 13 milioni di posti di lavoro da
creare, bontà sua, in sei-sette anni. Non è dato capire se è più una
promessa o una minaccia. Vista l’età avanzata degli italiani, vedi mai
che a qualche pensionato, toccasse tornare a lavorare. Giusto per
contribuire al riequilibrio del bilancio dello Stato.
In sostanza, se questa è l’arma del M5S
per riequilibrare la partita di sparate giocate da Salvini, i due
partiti sono sulla stessa linea, ma entrambi stanno facendo enormi danni
da quando sono al governo, uno con le sue inutili urla, l’altro con
provvedimenti folli, che non faranno ripartire questo paese, ma anzi lo
affonderanno ancora di più.
p.s.
Consigliamo questo link per la lucida analisi del decreto dignità.
Questa l’analisi di Viola Carofalo (capo politico di Potere al Popolo)
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