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13/09/2018

Continuiamo così. Facciamoci del male!

Nei giorni scorsi, dopo l’intervento tenuto dal Primo Ministro, Giuseppe Conte, all’inaugurazione della ottantaduesima Fiera del Levante di Bari – in cui l’8 settembre ’43 veniva preso a pretesto per tracciare un’analogia con il difficile momento attuale che si trova a vivere il nostro paese – e dopo la presunta gaffe commessa dal Vicepremier Di Maio, su Matera (nel corso di una visita nello stesso capoluogo pugliese) sui social, nei programmi di approfondimento e nei Tg, non si è parlato d’altro che dell’incompetenza del governo gialloverde e della profonda ignoranza dei suoi principali esponenti.

Un ritornello di sottofondo che, in fondo, va avanti dal giorno dell’insediamento del dicastero Conte. Com’è spesso accaduto, in questo come in altri casi, le piazze virtuali sono diventate luoghi prediletti di impallinamento dell’avversario politico, fatto oggetto di ironie, a volte bonarie, più spesso cattive, ai limiti dell’insulto, quando non palesemente volgari.

La sinistra non è certo estranea ad un simile comportamento e, anzi, sovente si distingue per infantilismo e arroganza, in questo inutile sport a la page. Arroganza dettata da una presunta superiorità morale e intellettuale, il più delle volte non supportata neanche da una attenta comprensione e valutazione dei fatti. Come, d’altronde, in questo specifico frangente.

Conte non ha confuso l’8 Settembre con il 25 Aprile. Per il premier, infatti, l’armistizio di Cassibile rappresentò esattamente il momento in cui ebbe inizio il riscatto dell’italico orgoglio nazionale. Non è misconoscenza storica. È ideologia patriottarda.

Di Maio – ancorché con tutte le sue lacune culturali e grammaticali – non ha collocato Matera in Puglia. La Puglia ha un ruolo importante nell’organizzazione dell’evento Matera 2019. Con chi avrebbe dovuto parlarne, Di Maio, se non con Emiliano, governatore della Puglia? Emiliano poi, noto battutista, ha ironizzato, non scevro da una certa dose di cattiveria politica e di provocazione personale. Facendo, così, nascere l’equivoco.

Salvini è, senza alcun dubbio, un insopportabile sciovinista e razzista. Ma vogliamo dirlo che l’Onu applica la democrazia a sua insindacabile discrezione e con parametri d’intervento decisamente opinabili, quando non inequivocabilmente in contrasto con lo spirito che dovrebbe animarne funzione e operato?

Continuare, quindi, a sbeffeggiare puerilmente Conte, Salvini e Di Maio, sulla base, perdi più, di scorrette ermeneutiche dei fatti, è non solo stupido ma controproducente.

La verità è che la sinistra – riformista, radical-chic, massimalista: chiamatela come vi pare – ritiene, in un deserto ormai ultradecennale di valide argomentazioni politiche e presenza sociale, di poter colmare la sua vacuità di incidenza politico-culturale, tra gli strati popolari e la gente comune, con il sarcasmo irritante e snob di chi, arrogandosi una presunta superiorità intellettuale, si colloca al di sopra di quegli stessi ceti socialmente più disagiati e di quella stessa classe lavoratrice, i cui diritti e le cui istanze dovrebbe in teoria rappresentare. Ceti e classe lavoratrice che hanno votato, in piena libertà, i loro rappresentanti (illudendosi, certo...). Piacciano o meno alle élite economiche e intellettuali, di questo paese o europee che siano.

Un’arrogante e saccente ostentazione di presunta superiorità, dunque, che “a sinistra” ostenta, oltretutto, inseguendo gli avversari proprio sul terreno della comunicazione più becera e inconsistente; quegli stessi avversari ai quali rimprovera, appunto, rozzezza comunicativa e inconsistenza argomentativa. Quasi che quella rozzezza e quell’inconsistenza acquisissero altra e più nobile connotazione se provenienti dagli aristocratici detentori del sapere, o se partorite dalle menti della migliore borghesia di sinistra.

Il tutto – sottolineiamolo – sulle piazze social. Insomma, un grottesco delirio di autoreferenzialità narcisistica, cui si accompagna una altrettanto penosa incoscienza di decadenza piccolo-borghese.

Quella stessa sinistra, però, riesce a fare anche di peggio. Pensa di incidere nelle realtà marginali con il ricorso alla legalità di quelle istituzioni e/o istituti borghesi – Magistratura, Codici, Trattati Internazionali – percepiti, proprio in quelle realtà sociali, come ostacoli e nemici sulla strada del soddisfacimento dei bisogni primari. Ma anche superflui, visto il sistema consumistico in cui viviamo e che quella sinistra ha contribuito, così alacremente, a creare. E allora, con queste premesse, il Governo Pentaleghista ce lo terremo per trent’anni. Siamone certi. Del resto, Berlusconi docet!

Malgrado tutti i piagnistei, le ironie a buon mercato e i sarcasmi da social, infatti, il vento della temperie – in un’Italia in cui da sempre domina una cultura qualunquista, xenofoba, democristiana, reazionaria – soffia in poppa alla vela del Pentaleghismo. Tra demagogia democraticista e razzismo.

Uno scempio causato, negli ultimi quarant’anni, proprio dal sempre più impalpabile e colpevole peso politico, sociale, teorico, culturale (nel senso di una specificità culturale marxista), conflittuale, assunto dalla sinistra. Da quella istituzionale a quella “radicale”. La prima, impegnata, dai tempi del “compromesso storico” – se non prima – a stringere accordi con il padronato, le élite finanziarie, i comitati d’affari della borghesia, il Capitale globale e il ceto politico che ne rappresenta gli interessi. La seconda, attanagliata, dagli anni ’80, in un asfittico e mefitico senso di sconfitta, ormai irrimediabile.

Nonostante ciò, si insiste a sbeffeggiare e a prendere per il culo avversari e nemici. Che il nostro colto e snobissimo culo, ahimé, ce lo stanno facendo. Continuiamo così. Facciamoci del male!

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