di Guido Salerno Aletta
C'era chi aveva scommesso, una ventina di anni fa, quando la Cina fu ammessa al WTO sia pure con i vantaggi derivanti dalla qualifica di "Paese in via di sviluppo", che lo sviluppo caotico derivante dall'apertura al commercio mondiale e la gigantesca mole di investimenti industriali avrebbero destabilizzato il Paese, con la perdita di controllo degli aggregati monetari e finanziari.
L'inflazione elevatissima che ne sarebbe conseguita ed i conti bancari in disordine per via dei crediti irrecuperabili a causa dei default delle imprese, messe in ginocchio dai tassi di interesse alle stelle per contrastare l'aumento dei prezzi avrebbero fatto collassare il regime comunista: chissà se erano previsioni fondate su calcoli razionali, o se si trattava delle mai celate speranze che, alla fine, il mercato avrebbe messo al tappeto chi pensa di poterne dominare le dinamiche.
Fatto sta che la Cina non solo ha superato a pienissimi voti il lungo rodaggio di questi anni, ma che ora ha risultati assai migliori rispetto a quelli dei Paesi occidentali.
In primo luogo, in questo ultimo anno non ha svalutato lo Yuan a differenza di quanto è accaduto per quasi tutte le altre valute, come l'euro che ha perso il venti per cento di valore sul dollaro. Non c'è stata la fuga di capitali che pure era temuta e che si era verificata in anni precedenti: questo perché l'elevata inflazione americana ha comunque penalizzato in termini reali gli interessi pagati sui bond emessi in dollari.
La assai più bassa inflazione cinese, scesa al 2,5% in ragione d'anno ad agosto rispetto al 2,7% di luglio, e le peggiori performance tendenziali dell'economia americana rispetto a quella cinese che comunque è accreditata di un +2,5%, sono un motivo più che sufficiente per tenere i capitali in Cina.
Non avendo svalutato lo Yuan, la Cina non imbarca neppure inflazione per via dell'aumento dei prezzi all'importazione: quelli alla produzione sono cresciuti in un anno del 2,4% ad agosto, in riduzione rispetto al 4,2% di luglio. Una inezia rispetto al +7,9% dei prezzi al consumo in Germania in agosto ed allo stratosferico +37,2% dei prezzi alla produzione registrato a luglio, cui corrispondeva il +19,5% di aumento dei prezzi all'ingrosso.
Sul versante del commercio estero, l'export della Cina sta riflettendo l'andamento sempre più debole della domanda internazionale: l'incremento rispetto all'anno precedente si è infatti ridotto dal +18% di luglio al +7,1% di agosto. Le importazioni sono ferme, essendo cresciute solo dello 0,3% rispetto al +2,3% di luglio.
Il saldo commerciale cinese continua ad essere fortemente attivo, mentre in Europa tanto la Germania quanto l'Italia hanno virato in negativo per via dell'enorme aumento dei costi dell'import, in particolare di quello energetico. Inutile rammentare che gli Usa continuano ad avere il saldo commerciale strutturalmente in passivo.
La Cina si sta preparando ad uno shock delle economie occidentali, reflazionando la domanda interna: la Banca del Popolo cinese ha abbassato i tassi di interesse, aumentato la disponibilità di prestiti per le banche e ridotto la quota di detenzione di valuta straniera a copertura.
Mentre in Occidente le banche centrali combattono contro una inflazione a due cifre, alzando i tassi di interesse che piombano l'economia, la Cina si concede la prospettiva opposta di una politica monetaria espansiva.
In Occidente, Banche centrali e Governi hanno perso il controllo delle dinamiche monetarie: il mercato fa come crede e strapazza tutti, cittadini ed imprese.
Insomma, la Cina che avrebbe dovuto collassare per incapacità nel dominare le dinamiche economiche, si sta dimostrando in grado di evitare i collassi sempre possibili in un sistema globale caratterizzato da interdipendenze enormi e da variabilità imprevedibili.
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