Rémy Herrera, economista e ricercatore al Centro di Economia della Sorbona (CNRS), e Zhiming Long, economista e professore all’Università Tshinghua di Pechino, sono autori di un testo molto interessante sul socialismo con caratteristiche cinesi: “La Cina è capitalista?”.
Questo libro, pubblicato in Italia da Marx21, affronta questioni contemporanee cruciali, tra cui la rinascita della Cina come una delle principali potenze del sistema internazionale, le cause di questa rinascita e dove essa si sta dirigendo. È un libro olistico e una lettura consigliata a chiunque sia interessato a questi temi. La principale questione sollevata dagli autori, che mette in discussione le teorie prevalenti in questo ambito, è che, nel contesto della crescita economica cinese, non va trascurato il ruolo della Cina maoista nel periodo 1949-1978. Gli autori sono innovativi nel modo in cui rompono con le correnti dominanti e nelle informazioni che aggiungono, avendo creato serie temporali di grafici per sostenere le proprie tesi.
Va ricordato che per quanto riguarda i dati statistici sulla Cina popolare non c’è nessun consenso o dato ufficiale sul periodo storico analizzato.
Il lavoro si articola in tre capitoli: in un primo capitolo, intitolato “Caratteristiche generali, elementi storici e confronti internazionali”, gli autori intendono familiarizzare i lettori con alcuni dati, informazioni e contestualizzazioni riguardanti la Cina contemporanea. In quanto tali, menzionano il fatto che la Cina è un paese geograficamente esteso, che ospita la più grande popolazione del mondo.
Rémy Herrera e Zhiming Long effettuano diversi confronti per presentare in profondità le caratteristiche principali di questo paese, riferendosi anche alla quantità e diversità delle risorse naturali di cui dispone la Repubblica Popolare Cinese, alle disparità tra le regioni interne e costiere e molti altri dati al fine di caratterizzarlo geograficamente.
Inoltre, gli autori contestualizzano questo Paese storicamente, in modo succinto e cogliendo i principali eventi che hanno spinto la Cina a realizzare una trasformazione economica senza precedenti nella storia dell'umanità. Trovano due ragioni essenziali per cui il popolo cinese si è sentito obbligato a portare avanti questo cambiamento: primo, il radicato sentimento di umiliazione nazionale, evidente nel XIX secolo e nelle guerre dell'oppio; secondo, lo scoppio della rivoluzione bolscevica del 1917 e la successiva penetrazione del marxismo-leninismo in Cina. Nel 1949 i comunisti vincono la guerra civile che, per gli autori, è la tappa fondamentale che permetterà a questo Paese di iniziare il suo percorso di sviluppo economico. Da quella data in poi la Repubblica Popolare Cinese è cambiata drasticamente. Sono stati elaborati i primi piani quinquennali, è avvenuto l'accentramento del potere nelle mani dello Stato-partito che ha prodotto un aumento della burocratizzazione. Si ricorda inoltre che il percorso inizialmente tracciato da Mao Zedong fu parzialmente interrotto con l'ascesa al potere di Deng Xiaoping. I segni di esaurimento per quanto riguarda l'economia pianificata erano evidenti e molti dei problemi che esistevano prima del 1949 continuarono a sussistere dopo la Rivoluzione. È in questo contesto che Deng Xiaoping cambierà lo scenario, e nel libro si dice che da allora il socialismo in Cina è gravemente arretrato.
Infine, per concludere questo primo capitolo, gli autori ci introducono a quella che è la tesi principale del libro: l'attuale potere e dinamismo della Repubblica Popolare Cinese non sono semplicemente il risultato della sua apertura alla globalizzazione e alla sua integrazione nel sistema mondiale capitalista. Per corroborare questa proposta per il dibattito economico sulla Cina contemporanea, hanno utilizzato diversi grafici comparativi che consentono di comprendere il dinamismo dell'economia cinese dal 1949, riferendosi al periodo successivo alla Rivoluzione, nel contesto delle economie socialiste, superiore a quanto tradizionalmente indicato dagli scienziati economici. Riguardo alla questione agraria, gli autori riferiscono che questo paese era e continua ad essere uno dei pochi paesi che garantisce l'accesso alla terra alla maggioranza delle sue masse contadine e, quindi, nell'analizzare la Cina, bisogna porre i contadini al centro del proprio studio. Si fanno anche dei confronti per quanto riguarda l'aspettativa di vita media con diversi paesi, come l'India, gli Stati Uniti d'America e l'Europa, ed è percepibile l'enorme sforzo profuso dalla Repubblica Popolare Cinese in questa materia, avendo un'aspettativa di vita media nel periodo 1950-1955 di 40 anni che passa a 74 anni nel 2010-2015.
La seconda parte di questo libro si intitola “L'enigma della crescita economica cinese”. Rémy Herrera e Zhiming Long, in questo capitolo, cercano di demistificare alcuni luoghi comuni sulla crescita economica cinese.
Secondo gli autori si parla di enigma perché il fenomeno della crescita economica di questo Paese è frutto di seri dibattiti all'interno del mondo accademico, da destra a sinistra, ed è un argomento sul quale non c'è consenso. Una delle idee, però, maggiormente accreditate su questo tema, soprattutto in Occidente, è il fatto che lo sviluppo cinese ha preso forza alla fine degli anni '70 come conseguenza dell'apertura del Paese all'esterno. Tuttavia, per gli autori, l'evoluzione della Cina in materia economica è in gran parte dovuta ai risultati raggiunti durante il periodo maoista, prima degli anni '70 e dell'ingresso della Cina nel sistema economico internazionale. Accettando la visione occidentale, secondo gli autori, accettiamo implicitamente che l'economia cinese sarebbe stata stagnante durante il periodo maoista e che avrebbe iniziato il suo processo di decollo solo dopo il 1978. Gli autori menzionano anche che l'accettazione di tale tesi escluderebbe tre realtà fondamentali: in primo luogo, che la Repubblica Popolare Cinese ha una storia millenaria, quindi è falso il dibattito che vede l’emergere sullo scenario internazionale di questo paese solamente 40 anni fa; secondo, che quando la Repubblica Popolare Cinese iniziò a superare la soglia della crescita del 10% del PIL negli anni '80, le istituzioni e le strutture essenziali del socialismo esistevano ancora; terzo, che il PIL cinese durante il periodo di Mao Zedong stava generalmente crescendo a un ritmo vertiginoso. Gli autori riferiscono che tra il 1970 e il 1980 il PIL cinese ha raggiunto il +6,8%, ovvero più del doppio di quello degli Stati Uniti nello stesso periodo. Gli autori analizzano anche diversi dati dell'Istituto Nazionale di Statistica di questo Paese (nel periodo 1952-2015), che dimostrano, ancora una volta, il ritmo accelerato con cui l'economia cinese stava già crescendo durante l'era maoista.
Oltre alla crescita del PIL in quest'epoca, gli autori hanno creato serie temporali di stock di capitale fisico e hanno scoperto che i tassi medi di crescita dello stock di capitale erano molto simili nei sottoperiodi 1952–1978 e 1979–2015. È quindi ancora una volta chiaro che l'accumulazione di capitale fisico non è un fenomeno recente nella Repubblica Popolare Cinese. Un altro dato di cui dobbiamo tenere conto, secondo gli autori, per quanto riguarda l'ascesa di questo Paese, sono le spese per l'istruzione e la ricerca. Sono state inoltre create serie storiche lunghe (1949-2015), poiché i dati statistici esistenti non consentono la determinazione precisa di queste problematiche. Pertanto, si ricorda che nel periodo 1949-1978 lo stock totale di risorse educative era del 4,19%, mentre nel periodo 1979-2015 era del 4,22%. Si può osservare, quindi, che questi valori sono molto vicini in questi due sottoperiodi, e che i primi sforzi in questo campo, che miravano alla massificazione dell'istruzione, sono stati determinanti per raggiungere i livelli di scolarizzazione presenti nella popolazione cinese oggi. Inoltre, per quanto riguarda le spese per ricerca e sviluppo, sebbene la Cina abbia integrato il sistema contabile internazionale per le attività di R&S solo nel 1986, ciò non significa che questo paese non le abbia fatte prima di tale data. Pertanto, in considerazione dei vincoli della mancanza di dati statistici, Rémy Herrera e Zhiming Long hanno ricompilato serie storiche originali e selezionato diverse masse di bilancio, provenienti da istituzioni pubbliche ed enti economici privati.
Secondo i calcoli degli autori, i tassi di crescita delle spese di R&S sono di circa il 14,5% nel periodo 1949–2015, con un ritmo medio di queste spese più elevato nel sottoperiodo 1949–1978. Lo sforzo iniziale, per costruire una base tecnologica, ha permesso alla Repubblica Popolare Cinese di diventare leader in diversi settori nell'ambito della quarta rivoluzione industriale nel mondo di oggi. Gli autori, in questo capitolo, individuano anche alcuni periodi di crisi dell'economia cinese. Molti di questi periodi sono giustificati da shock esterni, come l'anno 1962, quando l'economia cinese ha subito un calo del -9,2%, associato alle conseguenze della rottura dei rapporti con l'URSS, o la crisi dei mutui subprime (2007 - 2008).
L'ultimo capitolo del libro è intitolato “Sulla natura del sistema politico-economico cinese”. In primo luogo, gli autori contestualizzano l'opinione di alcuni marxisti su questo sistema. Alcuni lo chiamano neoliberismo con caratteristiche cinesi, altri affermano che le élite cinesi usano il mercato come strumento di governo. Tuttavia, con ampio consenso, diversi autori riferiscono che il sistema cinese rientra nella categoria del capitalismo di Stato.
Tuttavia, per Rémy Herrera e Zhiming Long, il sistema politico-economico cinese è un “socialismo di mercato”, e gli autori individuano 10 pilastri essenziali a sostegno di questa teoria: la persistenza di una pianificazione potente e modernizzata; una forma di democrazia politica; l'esistenza di servizi pubblici molto estesi; la proprietà della terra e delle risorse naturali che rimangono di dominio pubblico; forme diversificate di proprietà; una politica generale per aumentare le retribuzioni del lavoro; la dichiarata volontà di ricercare la giustizia sociale; una priorità data alla conservazione dell'ambiente; una concezione delle relazioni economiche tra Stati basata sul principio del vantaggio reciproco (win-win) e delle relazioni politiche tra Stati basate sul perseguimento sistematico della pace. Per avvalorare questi punti, gli autori li analizzano in modo più approfondito, come il ruolo delle aziende pubbliche nell'economia, enumerando alcuni aspetti positivi come il fatto che possono distribuire di più ai propri dipendenti o il fatto che le autorità hanno la possibilità di includerle più facilmente in progetti collettivi. A differenza delle società occidentali, quotate in borsa e orientate alla massimizzazione della distribuzione di dividendi ai loro proprietari privati, la maggior parte delle società pubbliche cinesi sono redditizie perché stimolano il resto dell'economia, ad esempio generando economie di scala che riducono i costi a tutti i livelli e che forniscono input a buon mercato garantendo condizioni di produzione competitive alle PMI cinesi, e sono orientate da interessi strategici superiori. Questo punto serve per smentire una bufala clamorosa, ovvero, quella secondo cui il successo delle esportazioni cinesi sarebbe trainato dal costo molto basso della manodopera locale. In realtà questi costi incidono su una percentuale molto piccola del totale dei prezzi dei prodotti cinesi esportati. I due studioso parlano di una media del 10%. Questi salari, indubbiamente bassi rispetto alla manodopera dei paesi capitalisticamente maturi, non compensano i costi per il trasporto verso i Paesi importatori. La vera carta vincente sono i minori costi dei fattori produttivi forniti dalle grandi imprese statali al resto dell'economia a prezzi bassi perché fissati amministrativamente o comunque sono fortemente controllati dallo Stato, come nel caso dei carburanti. Infine, all'interno di queste imprese statali è consentita la partecipazione, seppur limitata, dei dipendenti alla gestione attraverso il Consiglio di Vigilanza e il Congresso dei Lavoratori.
Inoltre, questo capitolo mette in evidenza anche un altro aspetto importante: il ruolo dei servizi pubblici estesi e della pianificazione economica. La stragrande maggioranza dei servizi sociali è nelle mani dello Stato cinese, in particolare beni considerati strategici come energia e infrastrutture. Anche la pianificazione, che, sebbene sia cambiata negli anni, è ancora molto pervasiva nella società cinese e nel sistema politico cinese, gioca un ruolo essenziale. Gli obiettivi sono stabiliti in anticipo e, successivamente, la loro materializzazione e attuazione vengono discusse. Questa realtà è per lo più controllata dal Partito Comunista Cinese, che fa queste scelte per conto dei cittadini cinesi, sebbene si applichi il principio della consultazione.
Per concludere si fa menzione del controllo del sistema bancario e dei mercati finanziari da parte dello Stato cinese. Gli autori sostengono che questi settori dovrebbero continuare ad essere contraddistinti, in futuro, da un carattere statale e pubblico. Rémy Herrera e Zhiming Long concludono il loro lavoro affermando che il regime del “socialismo di mercato” ha permesso alla Cina di riemergere nel sistema internazionale e che il periodo maoista è stato fondamentale per lo sviluppo economico della Cina. Per gli autori, la Cina è un paese non capitalista, ma con la presenza di capitalisti.
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