di John Bellamy Foster
Nell’ultimo secolo il capitalismo statunitense ha avuto, senza dubbio, la classe dominante più potente e più cosciente della storia mondiale, cavalcando sia l’economia che lo Stato e proiettando la sua egemonia sia a livello nazionale che globale. Al centro del suo dominio c’è un apparato ideologico che sostiene che l’immenso potere economico della classe capitalista non si traduce in governance politica e che, a prescindere dalla polarizzazione della società statunitense in termini economici, rimangono integre le sue rivendicazioni di democrazia. Secondo l’ideologia che ne consegue, gli interessi degli ultra-ricchi che governano il mercato non governano lo Stato: è una separazione fondamentale per l’idea di democrazia liberale. Questa ideologia dominante, tuttavia, si sta ora sgretolando di fronte alla crisi strutturale del capitalismo statunitense e mondiale, e al declino dello stato liberal-democratico, portando a profonde spaccature nella classe dominante e a un nuovo dominio di destra, apertamente capitalista, dello Stato.
Nel suo discorso di addio alla nazione, pochi giorni prima che Donald Trump tornasse trionfalmente alla Casa Bianca, il presidente Joe Biden denunciava che una “oligarchia” basata sul settore high-tech, e che in politica si affida al “dark money”, sta minacciando la democrazia degli Stati Uniti. Contemporaneamente, il senatore Bernie Sanders metteva in guardia dagli effetti della concentrazione di ricchezza e potere in una nuova “classe dominante” egemone, e dall’abbandono di qualsiasi traccia di sostegno alla classe operaia in ognuno dei principali partiti.[1]
L’ascesa, per la seconda volta, di Trump alla Casa Bianca, non vuol dire che l’oligarchia capitalista sia improvvisamente diventata influente nel comandare la politica statunitense, poiché si tratta di una realtà di lunga data. Tuttavia, negli ultimi anni, soprattutto dopo la crisi finanziaria del 2008, l’intero ambiente politico si è spostato a destra, mentre l’oligarchia sta esercitando un’influenza più diretta sullo Stato. Un settore della classe capitalista statunitense si trova palesemente al comando dell’apparato ideologico-statale, in un’amministrazione neofascista in cui l’ex establishment neoliberale sta diventando un junior partner [partner minore]. L’obiettivo di questo cambiamento è la regressiva riorganizzazione degli Stati Uniti in una posizione di guerra permanente, risultante dal declino della sua egemonia e dall’instabilità del capitalismo statunitense, oltre che dalla necessità da parte di una classe capitalista di assicurarsi un controllo più centralizzato dello Stato.
Negli anni della Guerra Fredda successivi alla Seconda Guerra Mondiale, i guardiani dell’ordine liberal-democratico all’interno del mondo accademico e dei media cercarono di minimizzare il ruolo predominante esercitato nell’economia statunitense dai proprietari dell’industria e della finanza, che sarebbero poi stati scalzati dalla “rivoluzione manageriale”, o contenuti dal “contropotere”. In questa visione, i proprietari e i manager, il capitale e il lavoro, si sarebbero regolamentati a vicenda. Successivamente, in una versione leggermente più raffinata di questa prospettiva generale, il concetto di classe capitalista egemone sotto il capitalismo monopolistico si dissolse nella categoria più amorfa dei “corporate rich” [ricchi aziendali].[2]
La democrazia statunitense, si sosteneva, era il prodotto dell’interazione di raggruppamenti pluralisti, o in alcuni casi mediata da un’élite di potere. Non esisteva una funzionale classe dominante egemone né in campo economico, né in quello politico. Anche se si potesse sostenere che nell'economia esisteva una classe capitalista predominante, essa non governava lo Stato, che era indipendente. Tutto ciò è stato trasmesso in vari modi da tutte le opere archetipiche della tradizione pluralista, da La rivoluzione manageriale (1941) di James Burnham, a Capitalismo, socialismo e democrazia (1942) di Joseph A. Schumpeter, a Who Governs? (1961) di Robert Dahl, a Il nuovo stato industriale (1967) di John Kenneth Galbraith, che spaziavano dalle estremità conservatrici a quelle liberali dello spettro.[3] Tutti questi trattati erano concepiti per suggerire che nella politica statunitense prevaleva il pluralismo, o un’élite manageriale/tecnocratica, non una classe capitalista che governava sia il sistema economico che quello politico. Nella visione pluralista della democrazia realmente esistente, introdotta per la prima volta da Schumpeter, i politici erano semplici imprenditori politici in competizione elettorale – al pari degli imprenditori economici nel cosiddetto libero mercato – che creavano un sistema di “leadership competitiva”.[4]
Nella promuovere la finzione secondo cui gli Stati Uniti, nonostante il vasto potere della classe capitalista, rimanevano un’autentica democrazia, l’ideologia comunemente accettata, fu raffinata e rafforzata da analisi provenienti da sinistra che cercavano di riportare la dimensione del potere in una teoria dello Stato, sostituendo le visioni pluraliste allora dominanti, di autori come Dahl, rifiutando, allo stesso tempo, la nozione di classe dominante.
L’opera più importante che rappresentava questo cambiamento fu La élite del potere (1956) di C. Wright Mills, che sosteneva che la concezione di “classe dominante”, associata in particolare al marxismo, dovrebbe essere sostituita dalla nozione di “élite del potere” tripartita, in cui la struttura di potere degli Stati Uniti era vista come dominata da élite provenienti dalle ricche aziende, dai vertici militari e dai politici eletti. Mills si riferiva alla nozione di classe dominante come a una “teoria della scorciatoia” che presupponeva che il dominio economico significasse dominio politico. Sfidando direttamente il concetto di "classe dominante" di Karl Marx, Mills affermava: «Il governo americano non è, né in modo semplice né come fatto strutturale, un comitato della “classe dominante”. È una rete di ‘comitati’, e in questi comitati siedono, oltre ai ricchi delle multinazionali, altri uomini, di altre gerarchie».[5]
Il punto di vista di Mills sulla classe dominante e l’élite del potere fu inizialmente criticata dai teorici radicali, in particolare da Paul M. Sweezy sulla Monthly Review, e dal lavoro di G. William Domhoff, nella prima edizione del suo Who Rules America? (1967). Ma alla fine ottenne una notevole influenza sulla sinistra più ampia.[6] Come avrebbe sostenuto Domhoff nel 1968, nel suo C. Wright Mills and “The Power Elite”, il concetto di élite di potere era comunemente visto come «il ponte tra le posizioni marxiste e quelle pluraliste... È un concetto necessario perché non tutti i leader nazionali sono membri della classe superiore. In questo senso, si tratta di una modifica e di una estensione del concetto di ‘classe dominante'».[7]
La questione della classe dominante e dello Stato era stata al centro del dibattito tra i teorici marxisti Ralph Miliband, autore di The State in Capitalist Society (1969), e Nicos Poulantzas, autore di Potere politico e classi sociali (1968), che rappresentavano i cosiddetti approcci “strumentalisti” e “strutturalisti” allo Stato, nella società capitalista. Il dibattito verteva sulla “relativa autonomia” dello Stato dalla classe dominante capitalista, una questione cruciale per le prospettive di conquista dello Stato da parte di un movimento socialdemocratico.[8]
Il dibattito ha assunto una forma estrema negli Stati Uniti con l’apparizione dell’influente saggio di Fred Block “The Ruling Class Does Not Rule” [La classe dominante non governa] su Socialist Revolution nel 1977, in cui Block si spingeva a sostenere che la classe capitalista non aveva la coscienza di classe necessaria per tradurre il suo potere economico in dominio dello Stato.[9] Tale visione, sosteneva, era necessaria per rendere praticabile la politica socialdemocratica. Dopo la sconfitta di Biden contro Trump nelle elezioni del 2024, l’articolo originale di Block è stato ristampato su Jacobin con una nuova conclusione in cui Block sosteneva che, dato che la classe dominante non governava, Biden aveva la libertà di istituire una politica favorevole alla classe operaia secondo le linee del New Deal, che avrebbe impedito la rielezione di un esponente della destra – «con un’abilità e una spietatezza di gran lunga superiori» di Trump – nel 2024.[10]
Date le contraddizioni
dell’amministrazione Biden e il secondo avvento di Trump, con tredici
miliardari nel suo gabinetto, l’intero lungo dibattito sulla classe
dominante e lo Stato deve essere riesaminato.[11]
La classe dominante e lo Stato
Nella storia della teoria politica, dall’antichità fino ai giorni nostri, si è soliti intendere lo Stato in relazione alla classe sociale. Nella società antica e sotto il feudalesimo, a differenza della società capitalista moderna, non esisteva una chiara distinzione tra società civile (o economia) e Stato. Come scrisse Marx nella sua Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico nel 1843, «l’astrazione dello Stato in quanto tale nacque soltanto nel mondo moderno perché l’astrazione della vita privata è stata creata solo in tempi moderni. L’astrazione dello Stato politico è un prodotto moderno», realizzato pienamente solo con il dominio della borghesia.[12] Questo concetto è stato successivamente ribadito da Karl Polanyi che ha mostrato come un tempo l'economia fosse incorporata nella polis antica e sia stata poi disincorporata dal capitalismo, manifestandosi nella separazione tra la sfera pubblica dello Stato e la sfera privata del mercato.[13] Nell’antichità greca, in cui le condizioni sociali non avevano ancora generato tali astrazioni, non vi era dubbio che fosse la classe dominante a governare la polis e a crearne le leggi. Aristotele nella Politica, come scriveva Ernest Barker in The Political Thought of Plato and Aristotile, sosteneva la posizione secondo cui il dominio di classe spiegava in ultima analisi la polis: «Dimmi quale classe è predominante, si potrebbe dire, e ti dirò qual'è la costituzione».[14]
Nel regime del capitale, al contrario, lo Stato è inteso come separato dalla società civile/dall'economia. A questo proposito, ci si chiede sempre se la classe che domina l’economia, ovvero la classe capitalista, domini anche lo Stato.
Il punto di vista di Marx su questo tema era complesso, non si discostava mai dall'idea che nella società capitalista, lo Stato fosse governato dalla classe capitalista, pur riconoscendo le diverse condizioni storiche che lo modificavano. Da un lato, sosteneva (insieme a Friedrich Engels) nel Manifesto del Partito Comunista che «Il potere politico dello Stato moderno non è che un comitato, il quale amministra gli affari, comuni di tutta quanta la classe borghese».[15] Questa prospettiva suggeriva che lo Stato, o il suo ramo esecutivo, possedeva una relativa autonomia che andava oltre gli interessi dei singoli capitalisti, pur essendo comunque responsabile della gestione degli interessi generali della classe. Ciò poteva, come Marx indicava altrove, condurre a importanti riforme, come l’approvazione, ai suoi tempi, della legislazione sulla giornata lavorativa di dieci ore, che pur sembrando una concessione alla classe operaia e contraria agli interessi capitalistici, era necessaria per garantire il futuro dell’accumulazione di capitale, regolando e assicurando la continua riproduzione della forza lavoro.[16] Dall'altro lato, ne Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte, Marx evidenziava situazioni piuttosto diverse, in cui la classe capitalista non governava direttamente lo Stato, lasciando spazio a un dominio semi-autonomo, purché questo non interferisse con i suoi fini economici e, in ultima istanza, con il suo controllo dello Stato.[17] Egli riconosceva inoltre che lo Stato poteva essere governato da una frazione del capitale rispetto a un’altra. In tutti questi aspetti, Marx sottolineava la relativa autonomia dello Stato dagli interessi capitalistici, un concetto che è stato fondamentale per tutte le teorie marxiste sullo Stato nella società capitalista.
È da tempo noto che la classe capitalista dispone di numerosi mezzi per agire come classe dominante attraverso lo Stato, anche nel caso di un ordine liberaldemocratico. Da un lato, ciò assume la forma di un’investitura abbastanza diretta nell’apparato politico attraverso vari meccanismi, come il controllo economico e politico delle macchine dei partiti politici e l’occupazione diretta da parte dei capitalisti e dei loro rappresentanti di posti chiave nella struttura di comando politica. Oggi negli Stati Uniti gli interessi capitalistici hanno il potere di influenzare in modo decisivo le elezioni. Inoltre, il potere capitalistico sullo Stato si estende ben oltre il momento elettorale. Il controllo della banca centrale, e quindi dell’offerta di moneta, dei tassi di interesse e della regolamentazione del sistema finanziario, è affidato essenzialmente alle banche stesse. Dall'altro lato, la classe capitalista controlla indirettamente lo Stato attraverso il suo vasto potere economico esterno di classe, che comprende pressioni finanziarie dirette, lobbismo, finanziamento di gruppi di pressione e think tank, il fenomeno della "porta girevole" tra i principali attori del governo e del mondo degli affari, e il controllo dell’apparato culturale e comunicativo. In un sistema capitalistico, nessun regime politico può sopravvivere se non serve gli interessi del profitto e dell’accumulazione di capitale, una realtà costante a cui sono sottoposti tutti gli attori politici.
La complessità e l’ambiguità
dell’approccio marxista alla classe dominante e allo Stato furono
espresse da Karl Kautsky nel 1902, quando dichiarò che «la classe
capitalista domina, ma non governa»; poco dopo aggiunse che «si
accontenta di dominare il governo».[18] Come è stato
sottolineato, fu proprio tale questione, vale a dire l’autonomia
relativa dello Stato dalla classe capitalista, a guidare il famoso
dibattito tra quelle che sarebbero state chiamate le teorie
strumentaliste e strutturaliste dello Stato, rappresentate
rispettivamente da Ralph Miliband in Gran Bretagna e da Nicos Poulantzas
in Francia. Le posizioni di Miliband furono fortemente influenzate
dalla fine del Partito Laburista britannico come autentico partito
socialista avvenuta alla fine degli anni Cinquanta, come descritto nel
suo Parlamentary Socialism.[19] Ciò lo
costrinse a confrontarsi con l’enorme potere della classe capitalista in
quanto classe dominante. Successivamente riprese il tema in The State in Capitalist Society nel
1969, in cui scrisse che «se sia... appropriato parlare di ‘classe
dominante’ è uno dei temi principali di questo studio». Anzi, «la più
importante di tutte le questioni sollevate dall’esistenza di questa
classe dominante è se essa costituisca anche una ‘classe governante’».
Miliband cercò di dimostrare che la classe capitalista, pur «non
essendo, propriamente parlando, una ‘classe governante’» nello stesso
senso in cui lo era stata l’aristocrazia, governava comunque in modo
piuttosto diretto (oltre che indiretto) la società capitalista.
Essa
traduceva il proprio potere economico in potere politico in vari modi,
al punto che, affinché la classe operaia potesse sfidare efficacemente
la classe dominante, avrebbe dovuto opporsi alla struttura stessa dello
Stato capitalista.[20]
Fu proprio su questo punto che Poulantzas, che aveva pubblicato Political Power and Social Classes nel 1968, entrò in conflitto con Miliband. Poulantzas attribuiva ancora maggiore importanza all’autonomia relativa dello Stato, trovando alla base dell’approccio di Miliband una concezione troppo diretta del dominio capitalistico, anche se conforme in gran parte agli scritti di Marx sull’argomento.
Poulantzas sottolineava che il dominio
capitalistico sullo Stato fosse più indiretto e strutturale che diretto e
strumentale, lasciando spazio a una maggiore varietà di governi in
termini di composizione di classe, inclusi non solo diverse frazioni
della classe capitalista, ma anche rappresentanti della classe operaia
stessa. «La partecipazione diretta di membri della classe
capitalista nell’apparato statale e nel governo, anche quando esiste»,
scriveva, «non è l’aspetto importante della questione. La relazione tra
la classe borghese e lo Stato è una relazione oggettiva [...] La
partecipazione diretta di membri della classe dominante nell’apparato
statale non è la causa ma l’effetto [...] di questa coincidenza
oggettiva».[21] Sebbene una tale affermazione potesse
sembrare ragionevole nei termini in cui era espressa, essa tendeva
invece a rimuovere il ruolo della classe dominante come soggetto
cosciente di classe. Scrivendo durante l’apice dell’eurocomunismo, lo
strutturalismo di Poulantzas, con il suo accento sul bonapartismo come
indicativo di un alto grado di autonomia relativa dello Stato, sembrava
aprire la strada a una concezione dello Stato inteso come entità in cui
la classe capitalista non governava, anche se lo Stato restava, in
ultima istanza, soggetto a forze oggettive derivanti dal capitalismo.
Tale
visione, ribatteva Miliband, indicava o una visione
“super-determinista” o economicistica dello Stato, caratteristica di una
“deviazione di ultra-sinistra”, o di una “deviazione di destra”, nella
forma della socialdemocrazia, che generalmente negava l’esistenza stessa
di una classe dominante.[22] In entrambi i casi, la
realtà della classe dominante capitalista e i vari processi attraverso i
quali esercitava il suo dominio, che la ricerca empirica di Miliband e
altri aveva ampiamente dimostrato, sembravano essere in cortocircuito,
non più parte dello sviluppo di una strategia di lotta di classe dal
basso. Un decennio dopo, nella sua opera del 1978 State, Power, Socialism,
Poulantzas spostò la sua attenzione sulla difesa del socialismo
parlamentare e della socialdemocrazia (o “socialismo democratico”),
insistendo sulla necessità di mantenere gran parte dell’apparato statale
esistente in ogni transizione al socialismo. Ciò contraddiceva
direttamente il risalto posto da Marx nella Guerra civile in Francia e da Vladimir I. Lenin in Stato e rivoluzione
sulla necessità di sostituire lo stato capitalista della classe
dominante con una nuova struttura di comando politico proveniente dal
basso.[23]
Influenzato da The Power Elite di Wright Mills e dagli articoli di Paul Sweezy The American Ruling Class e Power Elite or Ruling Class?, pubblicati su Monthly Review, William Domhoff, nella prima edizione del suo libro, Who Rules America? (1967), ha sviluppato un’analisi esplicitamente di classe, ma ciononostante indicava di preferire il più neutrale “classe governante” a “classe dominante”, sulla base del fatto che «la nozione di classe dominante» suggeriva una «visione marxista della storia».[24] Tuttavia, quando nel 1978 scrisse The Powers That Be: Processes of Ruling Class Domination in America, Domhoff, influenzato dall’atmosfera radicale del tempo, era passato a sostenere che «una classe dominante è una classe sociale privilegiata che è in grado di mantenere la sua posizione di vertice nella struttura sociale». L’élite di potere fu ridefinita come il «braccio di comando» della classe dominante.[25] Tuttavia, questa esplicita integrazione della classe dominante nell’analisi di Domhoff ebbe vita breve. Nelle edizioni successive di Who Rules America?, fino all’ottava edizione del 2022, si piegò al pragmatismo liberale e abbandonò del tutto il concetto di classe dominante. Invece, seguì Mills nel raggruppare i proprietari (“la classe sociale superiore”) e i dirigenti nella categoria dei “ricchi aziendali”.[26] L’élite di potere era vista come composta da CEO, consigli di amministrazione e consigli di fondazioni, sovrapposti, come in un diagramma di Venn, con la classe sociale superiore (che consisteva anche di personaggi mondani e jet-setter), la comunità aziendale e la rete di pianificazione politica. Ciò costituiva una prospettiva nota come "ricerca sulla struttura del potere". I concetti di classe capitalista e classe dominante non si trovavano più.
Un’opera empirica e teorica più significativa di quella di Domhoff, e per molti versi ancora più pertinente oggi, fu scritta nel 1962-1963 dall’economista sovietico Stanislav Menšikov, e tradotta in inglese nel 1969 con il titolo Millionaires and Managers. Menšikov partecipò a uno scambio formativo di scienziati tra Unione Sovietica e Stati Uniti nel 1962. In quel contesto incontrò «i presidenti, amministratori delegati e vicepresidenti di dozzine di società e di 13 delle 25 banche commerciali» con patrimoni superiori al miliardo di dollari. Tra gli altri, incontrò Henry Ford II, Henry S. Morgan e David Rockefeller.[27] La dettagliata analisi empirica di Menšikov sul controllo finanziario delle società negli Stati Uniti e del gruppo o classe dominante ha fornito una solida valutazione del continuo predominio, all’interno dei super-ricchi, dei capitalisti finanziari. Grazie alla loro egemonia su vari gruppi finanziari, l’oligarchia finanziaria si è differenziata dai manager di alto livello (CEO) delle burocrazie finanziarie aziendali. Sebbene esistesse quello che potrebbe essere chiamato un “blocco di milionari-manager” nel senso dei “ricchi aziendali” di Mills, e una divisione del lavoro all’interno «della classe dirigente stessa», a dominare era «l’oligarchia finanziaria, cioè il gruppo di persone il cui potere economico si basa sulla disponibilità di colossali masse di capitale fittizio ... [e] che è la base di tutti i principali gruppi finanziari», e non i dirigenti aziendali in quanto tali. Inoltre, il potere relativo dell’oligarchia finanziaria continuava a crescere, anziché diminuire.[28] Come nell’analisi di Sweezy su Interest Groups in the American Economy, scritta per il National Resource Committee durante il New Deal, la dettagliata analisi di Menšikov ha fotografato la persistente base dinastico-familiare della ricchezza statunitense.[29]
L’oligarchia finanziaria statunitense costituiva sì una classe dominante, ma in generale non governava né direttamente né senza interferenze.
Il «dominio economico dell’oligarchia finanziaria», scriveva Menšikov, «non equivale al suo dominio politico. Ma quest'ultimo [il dominio politico] senza il primo [il dominio economico] non può essere abbastanza forte, mentre quello economico senza quello politico evidenzia che la fusione tra monopoli e macchina statale non è ancora completa. Anche negli Stati Uniti, dove entrambe queste condizioni sono presenti, la macchina governativa, pur da decenni al servizio dei monopoli, non assicura alla finanza un potere politico indiscusso. L’oligarchia finanziaria, infatti, deve confrontarsi con le restrizioni poste da altre classi sociali e, talvolta, vede effettivamente limitato il proprio potere. Tuttavia, la tendenza generale è che il potere economico si trasformi gradualmente in potere politico.»[30]
Secondo Menšikov, l'oligarchia finanziaria nel suo dominio politico sullo Stato, aveva come alleati minori: i dirigenti d’impresa, i vertici delle forze armate, i politici professionisti (che avevano interiorizzato le esigenze del sistema capitalistico) e l’élite bianca che dominava il sistema di segregazione razziale nel Sud.[31] Ma la forza dominante era sempre l’oligarchia finanziaria. «La lotta dell’oligarchia finanziaria per l'amministrazione diretta dello Stato è una delle tendenze più caratteristiche dell’imperialismo americano degli ultimi decenni», derivante dal suo crescente potere economico e dai bisogni che questo ha generato. Tuttavia, questo non è avvenuto attraverso un processo lineare. I capitalisti finanziari negli Stati Uniti non agiscono “unitariamente” e sono a loro volta divisi in fazioni concorrenti. Inoltre, nei loro tentativi di controllare lo Stato, sono ostacolati dalla complessità stessa del sistema politico statunitense, in cui giocano diversi attori.[32]
«Sembrerebbe», scriveva Menshikov, «che il potere politico dell’oligarchia finanziaria sia, ora, pienamente garantito, ma non è così. La macchina di uno stato capitalista contemporaneo è grande e ingombrante. La conquista di posizioni in una parte di essa non garantisce il controllo dell’intero meccanismo. L’oligarchia finanziaria possiede la macchina della propaganda, è in grado di corrompere i politici e i funzionari governativi del centro e della periferia [del paese], ma non può corrompere il popolo che, nonostante le limitazioni della “democrazia borghese”, elegge il parlamento. Il popolo non ha molta scelta, ma senza abolire formalmente le procedure democratiche, l’oligarchia finanziaria non è completamente protetta in caso di "incidenti" indesiderati.»[33]
Tuttavia, la straordinaria opera di Menšikov, Millionaires and Managers, pubblicata in Unione Sovietica, non influenzò il dibattito sulla classe dominante negli Stati Uniti. La tendenza generale – riflessa nei cambiamenti di Domhoff (e di Poulantzas in Europa) – fu quella di minimizzare o abbandonare del tutto il concetto di classe dominante, persino quello di classe capitalista, sostituendolo con i concetti di corporate rich [ricchi aziendali] e power elite [elite di potere], producendo essenzialmente una versione di elite theory [teoria dell'elite].
L’abbandono del concetto di classe
dominante (o anche di classe governante) nelle opere successive di
Domhoff coincise con la pubblicazione di The Ruling Class Does Not Rule
di Fred Block, che ebbe un impatto significativo nel pensiero radicale
statunitense. Scrivendo in un’epoca in cui l’elezione di Jimmy Carter
sembrava rappresentare, per i liberali e i socialdemocratici, una
leadership decisamente più morale e progressista, Block sosteneva che,
negli Stati Uniti e nel capitalismo in generale, non esisteva una classe
dominante con un potere decisivo sulla sfera politica. Egli attribuiva
ciò al fatto che non solo la classe capitalista, ma anche “frazioni”
separate della classe capitalista (in contrapposizione a Poulantzas)
erano prive di coscienza di classe e quindi erano incapaci di agire per
il proprio interesse nella sfera politica, tanto meno di governare il
corpo politico. Egli adottò invece un approccio “strutturalista” basato
sulla weberiana nozione di razionalizzazione, in cui lo Stato razionalizzava
i ruoli di tre attori in competizione: (1) i capitalisti, (2) i
dirigenti statali e (3) la classe operaia. La relativa autonomia dello
Stato nella società capitalista era una funzione del proprio ruolo di
arbitro neutrale, in cui varie forze si scontravano, ma nessuna
governava.[34]
Attaccando coloro che sostenevano
che la classe capitalista avesse un ruolo dominante all'interno dello
Stato, Block scriveva: «Il modo per formulare una critica allo
strumentalismo senza cadere in contraddizioni è quello di respingere
l’idea di una classe dominante dotata di coscienza di classe», poiché
una classe capitalista cosciente di esserlo, lotterebbe per governare.
Mentre riconosceva che Marx usava la nozione di coscienza di classe
dominante, Block la escludeva come una semplice “scorciatoia politica”
per indicare determinazioni strutturali.
Block diceva chiaramente che quando i radicali come lui scelgono di criticare la nozione di classe dominante, «di solito lo fanno per giustificare la politica socialista riformista». Con questo spirito, egli sosteneva che la classe capitalista non governava intenzionalmente e consapevolmente lo Stato con mezzi interni o esterni. Piuttosto, la limitazione strutturale della “fiducia delle imprese”, esemplificata dagli alti e bassi del mercato azionario, garantiva l'equilibrio tra il sistema politico e l’economia, richiedendo agli attori politici di adottare mezzi razionali per garantire la stabilità economica. La razionalizzazione del capitalismo da parte dello Stato, nella visione “strutturalista” di Block, apriva quindi la strada a una politica socialdemocratica dello Stato.[35]
Ciò che risulta chiaro è che alla fine
degli anni Settanta, i pensatori marxisti occidentali avevano quasi
completamente abbandonato la nozione di classe dominante, concependo lo
Stato non solo come relativamente autonomo, ma di fatto ampiamente autonomo dal potere di classe del capitale. Ciò faceva parte di un generale “ritiro dalla classe”.[36] In Gran Bretagna, Geoff Hodgson scriveva nel 1984 nel suo The Democratic Economy: A New Look at Planning, Markets and Power,
che «l’idea stessa di una classe 'dominante’ dovrebbe essere messa in
discussione. Nella migliore delle ipotesi è una metafora debole e
fuorviante. È possibile parlare di una classe dominante in una società,
ma solo in virtù del predominio di un particolare tipo di struttura
economica. Dire che una classe ‘governa’ significa dire molto di più.
Significa insinuare che sia in qualche modo impiantata nell’apparato di
governo». Era fondamentale, affermava, abbandonare la nozione marxista
che associava «diversi modi di produzione a diverse ‘classi dominanti’».[37]
Come fecero successivamente Poulantzas e Block, Hodgson adottò una
posizione socialdemocratica che non vedeva alcuna contraddizione ultima
tra la democrazia parlamentare, così come era sorta all’interno del
capitalismo, e la transizione al socialismo.
Il neoliberismo e la classe dominante negli Stati Uniti
Se
alla fine degli anni '60 e '70 c'è stato, nel marxismo occidentale, un
progressivo abbandono della nozione di classe dominante, non tutti i
pensatori si sono allineati. Paul Sweezy continuava a sostenere sulla Monthly Review che gli Stati Uniti erano governati da una classe capitalista dominante. Così, Paul A. Baran e Sweezy sostenerono nel loro Il capitalismo monopolistico,
pubblicato nel 1966, che «una minuscola oligarchia che poggia su un
vasto potere economico» ha «il pieno controllo dell'apparato politico e
culturale della società», rendendo fuorviante, nella migliore delle
ipotesi, la nozione degli Stati Uniti come autentica democrazia.[38]
Tranne che in tempi di crisi, il sistema politico normale del capitalismo, sia competitivo che monopolistico, è la democrazia borghese. I voti sono la fonte nominale del potere politico, e il denaro è la fonte reale: il sistema, in altre parole, è democratico nella forma e plutocratico nei contenuti. Questo è ormai così ben noto che difficilmente sembra necessario discuterne. Basti dire che tutte le attività e le funzioni politiche che costituiscono le caratteristiche essenziali del sistema – indottrinare e propagandare il pubblico votante, organizzare e mantenere partiti politici, condurre campagne elettorali – possono essere svolte solo per mezzo del denaro, molto denaro. E poiché nel capitalismo monopolistico le grandi corporazioni sono la fonte di molto denaro, esse sono anche le principali fonti di potere politico.[39]
Per Baran e Sweezy, che scrivevano in quella che è stata definita "l'età d'oro del capitalismo", il potere del predominio della classe dominante sullo stato era dimostrato dai limiti posti all'espansione della spesa pubblica civile (generalmente osteggiata dal capitale in quanto interferente con l'accumulazione privata), che consentivano una spesa militare gigantesca e ampi sussidi alle grandi imprese.[40] Lungi dall'esibire caratteristiche di razionalità weberiana, il "sistema irrazionale" del capitalismo monopolistico, sostenevano i due, era afflitto da problemi di sovraccumulazione che si manifestavano nell'incapacità di assorbire il capitale in eccesso, che non riusciva più a trovare sbocchi di investimento redditizi, indicando la stagnazione economica come lo "stato normale" del capitalismo monopolistico.[41]
A pochi anni dalla pubblicazione de Il capitale monopolistico, nella prima metà degli anni '70, l'economia statunitense entrò in una profonda stagnazione dalla quale non fu in grado di riprendersi completamente nel mezzo secolo successivo, con tassi di crescita economica in calo decennio dopo decennio. Ciò ha costituito una crisi strutturale del capitale nel suo complesso, una contraddizione presente in tutti i principali paesi capitalisti. Questa crisi di lungo periodo dell'accumulazione di capitale ha portato alla ristrutturazione neoliberista dall'alto verso il basso dell'economia e dello stato, a tutti i livelli, istituendo politiche regressive volte a stabilizzare il dominio capitalista, che, alla fine, ha portato alla de-industrializzazione e alla de-sindacalizzazione nel nucleo capitalista e alla globalizzazione e finanziarizzazione dell'economia mondiale.[42]
Nell'agosto del 1971, Lewis F. Powell, pochi mesi prima di accettare la nomina alla Corte Suprema degli Stati Uniti da parte del Presidente Richard Nixon, scrisse il suo famigerato memorandum alla Camera di Commercio degli Stati Uniti con l'obiettivo di organizzare gli Stati Uniti in una crociata neoliberista contro i lavoratori e la sinistra, attribuendo loro l'indebolimento del sistema statunitense della "libera impresa".[43] Quindi, nello stesso momento in cui la sinistra stava abbandonando il concetto di classe dominante statunitense consapevole, l'oligarchia statunitense stava riaffermando il suo potere sullo stato, portando a una ristrutturazione politico-economica all'insegna del neoliberismo che comprendeva sia il partito repubblicano che quello democratico. Negli anni ’80 è stata istituita l’economia dell’offerta o Reaganomics, colloquialmente nota come "Robin Hood al contrario".[44]
John K. Galbraith scriveva in The Affluent Society, pubblicato nel 1958: «I benestanti americani – nella loro convenzionale saggezza conservatrice – sono stati a lungo sensibili alla paura dell'espropriazione, una paura che può essere collegata alla propensione di considerare anche le misure riformiste più blande come presagi della rivoluzione. La depressione e soprattutto il New Deal hanno fatto prendere un serio spavento ai ricchi americani».[45] L'era neoliberista e il riemergere della stagnazione economica, accompagnata dalla resurrezione di tali paure ai vertici, hanno portato a una più forte affermazione di potere della classe dominante ad ogni livello statale, con l'obiettivo di invertire i progressi della classe operaia compiuti durante il New Deal e la Great Society, che sono stati erroneamente incolpati della crisi strutturale del capitale.
Con l'aggravarsi della stagnazione degli investimenti e dell'economia nel suo complesso, e con le spese militari non più sufficienti a risollevare il sistema dalla sua stasi come nella cosiddetta "età dell'oro" – che era stata punteggiata da due grandi guerre regionali in Asia – il capitale aveva bisogno di trovare ulteriori sbocchi per il suo enorme surplus. Nella nuova fase del capitale monopolistico finanziario, questo surplus è confluito nel settore finanziario, o FIRE (finanza, assicurazioni e immobili), e nell'accumulo di asset, reso possibile dalla deregolamentazione governativa della finanza, dall'abbassamento dei tassi di interesse (il famoso "Greenspan put") e dalla riduzione delle tasse sui ricchi e sulle imprese. Ciò ha portato alla creazione di una nuova sovrastruttura finanziaria al di sopra dell'economia produttiva, con una rapida crescita della finanza, parallelamente alla stagnazione della produzione. Ciò è stato reso possibile dall'espropriazione dei flussi di reddito in tutta l'economia – attraverso l'aumento dell'indebitamento delle famiglie, dei costi assicurativi e dei costi dell'assistenza sanitaria – insieme alla riduzione delle pensioni, il tutto a spese della popolazione sottostante.[46]
Nel frattempo, c'è stato un massiccio spostamento della produzione aziendale verso il Sud globale, alla ricerca di costi unitari del lavoro più bassi in un processo noto come arbitraggio globale del lavoro. Ciò è stato reso possibile dalle nuove tecnologie delle comunicazioni e dei trasporti e dall'avvio alla globalizzazione di interi nuovi settori dell'economia mondiale. Il risultato è stata la deindustrializzazione dell'economia statunitense.[47] Tutto questo ha coinciso negli anni '90 con la grande crescita del capitale high-tech che ha accompagnato la digitalizzazione dell'economia e lo sviluppo di nuovi monopoli high-tech. L'effetto cumulativo di questi sviluppi è stato l'aumento della concentrazione e della centralizzazione del capitale, della finanza e della ricchezza. Anche se l'economia è stata sempre più caratterizzata da una crescita lenta, le fortune dei ricchi si sono espanse a passi da gigante: i ricchi sono diventati sempre più ricchi e i poveri sono diventati sempre più poveri, mentre nel XXI secolo l'economia degli Stati Uniti ristagnava, afflitta da contraddizioni. La profondità della crisi strutturale del capitale è stata temporaneamente mascherata dalla globalizzazione, dalla finanziarizzazione e dal breve emergere di un mondo unipolare, il tutto sgonfiato dalla Grande Crisi Finanziaria del 2007-2009.[48]
Mentre l'economia capitalista-monopolistica nel nucleo capitalista diventava sempre più dipendente dall'espansione finanziaria, aumentando le pretese finanziarie sulla ricchezza in un contesto di produzione stagnante, il sistema diventava non solo più diseguale, ma anche più fragile. I mercati finanziari sono intrinsecamente instabili, dipendenti come sono dalle vicissitudini del ciclo del credito. Inoltre, man mano che il settore finanziario diventava preponderante rispetto a quello della produzione, che continuava a ristagnare, l'economia era soggetta a livelli di rischio sempre maggiori. Ciò è stato compensato da un maggiore salasso dell'intera popolazione e da massicce iniezioni di capitale da parte dello stato, spesso organizzate dalle banche centrali.[49]
Non c'è una visibile via d'uscita da questo ciclo all'interno del sistema capitalistico-monopolistico. Quanto più la sovrastruttura finanziaria cresce rispetto al sistema produttivo sottostante (o all’economia reale) e quanto più lunghi sono i periodi di oscillazione verso l’alto del ciclo economico-finanziario, tanto più devastanti possono essere le crisi che ne conseguono. Nel XXI secolo, gli Stati Uniti hanno sperimentato tre periodi di crollo/recessione finanziaria, con il crollo del boom tecnologico nel 2000, la Grande Crisi Finanziaria/Grande Recessione derivante dallo scoppio della bolla dei mutui delle famiglie nel 2007-2009, e la profonda recessione innescata dalla pandemia COVID-19 nel 2020.
La svolta neofascista
La
Grande Crisi Finanziaria ha avuto effetti duraturi sull’oligarchia
finanziaria statunitense e sull’intero corpo politico, portando a
significative trasformazioni nelle matrici di potere della società. La
rapidità con cui il sistema finanziario sembrava dirigersi verso una
“catastrofe nucleare”, in seguito al crollo di Lehman Brothers nel
settembre 2008, ha gettato l’oligarchia capitalista e gran parte della
società in uno stato di shock, con la crisi che si è rapidamente diffusa
in tutto il mondo. Il crollo di Lehman Brothers, che è stato l’evento
più drammatico di una crisi finanziaria che si stava già sviluppando da
un anno, è stato provocato dal rifiuto del governo, in qualità di
prestatore di ultima istanza, di salvare quella che all’epoca era la
quarta più grande banca d’investimento statunitense. Ciò era dovuto alla
preoccupazione dell’amministrazione di George W. Bush per quello che i
conservatori chiamavano il “rischio morale” che poteva derivare
dall’assunzione di investimenti altamente rischiosi da parte di grandi
aziende con l’aspettativa di essere salvate da interventi governativi.
Tuttavia, con l’intero sistema finanziario che traballava in seguito al
crollo di Lehman Brothers, è stato organizzato – principalmente dal
Federal Reserve Board – un massiccio e senza precedenti tentativo di
salvataggio governativo per salvaguardare gli asset di capitale. Questo
includeva l’istituzione del “quantitative easing”, ovvero la stampa di
moneta per stabilizzare il capitale finanziario, con l’iniezione di
trilioni di dollari nel settore delle imprese.
All’interno dell’establishment economico emersero finalmente sia il riconoscimento evidente di decenni di stagnazione secolare – a lungo analizzata dagli economisti marxisti (e redattori di Monthly Review) Harry Magdoff e Paul Sweezy – che il riconoscimento della teoria della “instabilità finanziaria” secondo Hyman Minsky. Le deboli prospettive dell’economia statunitense, che puntavano a una continua stagnazione e finanziarizzazione, sono state riconosciute sia dagli analisti economici ortodossi che da quelli radicali.[50]
Ciò che più spaventava la classe capitalista statunitense durante la Grande crisi finanziaria era il fatto che, mentre l’economia statunitense e quelle di Europa e Giappone erano precipitate in una profonda recessione, l’economia cinese si era momentaneamente fermata per poi riprendersi e raggiungere una crescita prossima alle due cifre. Da quel momento in poi, il destino era chiaro: all’interno dell’economia mondiale l’egemonia statunitense stava rapidamente scemando, di pari passo con l’avanzata apparentemente inarrestabile di quella cinese, minacciando l’egemonia del dollaro e il potere imperiale del capitale monopolistico finanziario statunitense.[51]
La Grande recessione, sebbene abbia portato all’elezione a presidente degli Stati Uniti del democratico Barack Obama, ha visto l’improvvisa esplosione di un movimento politico di estrema destra basato principalmente sulla classe medio-bassa, che si opponeva ai salvataggi dei mutui per le case, ritenendo che questi andassero a beneficio della classe medio-alta e della classe operaia. Le radio conservatrici, che si rivolgevano al pubblico bianco della classe medio-bassa, si erano opposte, fin dall’inizio e durante la crisi, a tutti i salvataggi governativi durante la crisi.[52] Quello che sarebbe poi diventato noto come il movimento di estrema destra “Tea Party”, ha avuto inizio il 19 febbraio 2009. In quella data Rick Santelli, un commentatore della rete economica CNBC, si lanciò in una filippica su come il piano dell’amministrazione Obama per i salvataggi dei mutui per la casa fosse un piano socialista (che paragonò al governo cubano) per costringere le persone a pagare per gli acquisti di case scadenti e per le case di lusso dei loro vicini, violando i principi del libero mercato. Nella sua invettiva, Santelli menzionò il Boston Tea Party e nel giro di pochi giorni gruppi “Tea Party” si organizzarono in diverse zone del paese.[53]
Inizialmente il Tea Party rappresentava una tendenza libertaria finanziata dal grande capitale, in particolare dai grandi interessi petroliferi rappresentati dai fratelli David e Charles Koch – all’epoca tra i primi dieci miliardari degli Stati Uniti – insieme a quella che è nota come la rete Koch di ricchi individui, in gran parte associati al private equity. La sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti del 2010, Citizens United vs Federal Election Commission aveva eliminato la maggior parte delle restrizioni al finanziamento dei candidati politici da parte dei ricchi e delle aziende, consentendo al dark money di dominare la politica statunitense come mai prima d’allora. Ottantasette membri repubblicani del Tea Party sono stati eletti alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, per la maggior parte in distretti Gerrymandering in cui i democratici erano praticamente assenti. Marco Rubio, uno dei favoriti del Tea Party, è stato eletto in Florida al Senato degli Stati Uniti. Ben presto è apparso evidente che il ruolo del Tea Party non era quello di avviare nuovi programmi, ma di impedire il funzionamento del Governo Federale. Il suo più grande risultato è stato il Budget Control Act del 2011, che ha introdotto tetti massimi e sequestri volti a impedire aumenti della spesa federale a beneficio dell’intera popolazione (in contrapposizione ai sussidi alla spesa in conto capitale e militare a sostegno dell’impero), e che portò al blocco, simbolico, delle attività amministrative del 2013. Il Tea Party ha anche introdotto la teoria complottista razzista (nota come birtherism) secondo cui Obama sarebbe un musulmano nato all’estero.[54]
Il Tea Party, che non era tanto un movimento di base quanto, piuttosto, una manipolazione conservatrice basata sui media, ha comunque rivelato che si era creato un momento storico in cui era possibile, per i settori del capitale monopolistico finanziario, mobilitare la classe medio-bassa. Una classe, in maggioranza bianca, che aveva sofferto sotto il neoliberismo ed era – sulla base della propria ideologia connaturata – il settore più nazionalista, razzista, sessista e revanscista della popolazione statunitense. Questo strato era ciò che Mills aveva definito “la retroguardia” del sistema.[55] Composta da manager di basso livello, piccoli imprenditori, piccoli proprietari terrieri rurali, cristiani evangelici bianchi e simili, questa classe/strato medio-basso occupa una collocazione di classe contraddittoria nella società capitalista.[56] Con redditi generalmente ben al di sopra del livello mediano della società, la classe medio-bassa si trova al di sopra della maggioranza della classe operaia e al di sotto della classe medio-alta o dello strato professionale-manageriale. Ha livelli di istruzione inferiori, spesso si identifica con i rappresentanti del grande capitale, ed è caratterizzata dalla “paura di cadere” nel livello della classe operaia.[57] Storicamente, i regimi fascisti sorgono quando la classe capitalista si sente particolarmente minacciata e quando la democrazia liberale non è in grado di affrontare le fondamentali contraddizioni politico-economiche e imperiali della società. Questi movimenti si basano sulla mobilitazione della classe dirigente della classe medio-bassa (o piccola borghesia) insieme ad alcuni dei settori più privilegiati della classe operaia.[58]
Nel 2013, il Tea Party era in declino ma continuava a mantenere un notevole potere a Washington, attraverso l’House Freedom Caucus, istituito nel 2015.[59] Nel 2016, si sarebbe trasformato nel movimento Make America Great Again (MAGA) di Trump, a tutti gli effetti una formazione politica neofascista basata su una stretta alleanza tra settori della classe dominante statunitense e una classe medio-bassa, che ha portato alle vittorie di Trump nelle elezioni del 2016 e del 2024. Nel 2016 Trump ha scelto come compagno di corsa Mike Pence, membro del Tea Party e politico di estrema destra sostenuto da Koch. [60] Nel 2025, Trump avrebbe nominato Rubio, l’eroe del Tea Party, Segretario di Stato. Parlando del Tea Party, Trump ha dichiarato: «Quelle persone sono ancora lì. Non hanno cambiato le loro opinioni. Il Tea Party esiste ancora, solo che ora si chiama Make America Great Again».[61]
Il blocco politico MAGA di Trump non
predica più il conservatorismo fiscale, che per la destra era stato un
mero strumento per minare la democrazia liberale. Tuttavia, il movimento
MAGA mantiene la sua ideologia revanscista, razzista e misogina
orientata alla classe medio-bassa, oltre che a una politica estera
nazionalista e militarista simile a quella dei Democratici. Il nemico
unico che definisce la politica estera di Trump è la Cina in ascesa. Il
neofascismo MAGA vede il riemergere del principio del leader,
secondo cui le azioni del leader sono considerate inviolabili. Questo
principio è stato accompagnato da un maggiore controllo del governo da
parte della classe dominante, attraverso le sue fazioni più reazionarie.
Nel fascismo classico, in Italia e Germania, la privatizzazione delle
istituzioni governative (una nozione sviluppata sotto il nazismo) era
associata a un aumento delle funzioni coercitive dello stato e a
un’intensificazione del militarismo e dell’imperialismo.[62]
In linea con questa logica generale, il neoliberismo ha costituito la
base per l’emergere del neofascismo, e ne è scaturita una sorta di
cooperazione che ha portato, alla fine, a un’alleanza
neofascista-neoliberista che domina lo stato e i media di comunicazione,
ed è radicata nelle più alte sfere della classe monopolista –
capitalista.[63]
Oggi, il dominio diretto di una
parte potente della classe dominante degli Stati Uniti non può più
essere negato. La base familiare-dinastica della ricchezza nei Paesi a
capitalismo avanzato, nonostante i nuovi ingressi nel club dei
miliardari, è stata dimostrata da recenti analisi economiche, in
particolare da Thomas Piketty in Il capitale nel XXI secolo.[64] Coloro che sostenevano che il sistema era gestito da un’élite manageriale o da un amalgama di corporate rich – in cui coloro che accumulavano grandi fortune, le loro famiglie e le
loro reti rimanevano sullo sfondo e la classe capitalista non aveva e
non poteva avere una forte presa sullo stato – hanno avuto torto. La
realtà odierna non è tanto quella della lotta di classe, quanto quella
di una guerra di classe. Come ha dichiarato il miliardario Warren
Buffett, «C’è una guerra di classe, d’accordo, ma è la mia classe, la
classe ricca, che sta facendo la guerra e stiamo vincendo».[65]
La
centralizzazione del surplus globale nella classe
monopolista-capitalista statunitense ha creato un’oligarchia finanziaria
senza pari, e gli oligarchi hanno bisogno dello stato. Ciò è vero
soprattutto per il settore dell’alta tecnologia, che dipende
profondamente dalla spesa militare statunitense e dalla tecnologia
militare sia per i suoi profitti che per la sua stessa crescita
tecnologica. Il sostegno a Trump è arrivato principalmente dai
miliardari che hanno privatizzato le loro società (che non basavano la
loro ricchezza su società pubbliche quotate in borsa e soggette a
regolamentazione governativa), e in generale, dal private equity.[66]
Tra i maggiori finanziatori della sua campagna del 2024 c’erano Tim
Mellon (nipote di Andrew Mellon ed erede della fortuna bancaria dei
Mellon); Ike Perlmutter, ex presidente della Marvel Entertainment; il
miliardario Peter Thiel, cofondatore di PayPal e proprietario di
Palantir, una società di sorveglianza e data mining sostenuta dalla CIA
(il vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance è un protetto di Thiel);
Marc Andreessen e Ben Horowitz, due delle figure di spicco della finanza
della Silicon Valley; Miriam Adelson, moglie di Sheldon Adelson, il
defunto miliardario proprietario di casinò; il magnate delle spedizioni
Richard Uihlein, erede della fortuna della birra Uihlein
Schlitz-Brewing; ed Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo, proprietario
di Tesla, X e SpaceX, che ha fornito più di 250 milioni dollari alla
campagna di Trump. Il dominio del dark money, superiore a tutte
le elezioni precedenti, rende impossibile tracciare l’elenco completo
dei miliardari che sostengono Trump. Tuttavia, è chiaro che gli
oligarchi tecnologici sono stati il fulcro del suo sostegno.[67]
È
importante notare che il sostegno a Trump da parte della classe
capitalista e dagli oligarchi tecnologico-finanziari non proveniva dai
Big Six [i sei monopoli] tecnologici principali: Apple, Amazon, Alphabet
(Google), Meta (Facebook), Microsoft e (più recentemente) il leader
della tecnologia IA, Nvidia. Al contrario, egli è stato il beneficiario
dell’high tech della Silicon Valley, del private equity e delle
compagnie petrolifere. Sebbene sia un miliardario, Trump è un semplice
agente della trasformazione politico-economica della classe dominante
che sta avvenendo dietro il velo di un movimento popolare
nazional-populista. Come ha scritto il giornalista ed economista
scozzese ed ex deputato del Partito Nazionale Scozzese George Kerevan,
Trump è un «demagogo, ma è ancora solo un codice delle vere forze di
classe».[68]
L’amministrazione Biden ha
rappresentato principalmente gli interessi dei settori neoliberisti
della classe capitalista, pur facendo alcune concessioni temporanee alla
classe operaia e ai poveri. Prima della sua elezione aveva promesso a
Wall Street che «nulla sarebbe fondalmentalmente cambiato» se fosse
diventato presidente.[69] È stato quindi profondamente
ironico che Biden abbia annunciato nel suo discorso di addio al Paese
nel gennaio 2025: «Oggi in America sta prendendo forma un’oligarchia di
estrema ricchezza, potere e influenza che minaccia letteralmente la
nostra intera democrazia, i nostri diritti e le nostre libertà
fondamentali e la possibilità per tutti di fare carriera». Questa
“oligarchia”, ha dichiarato Biden, è radicata non solo nella
«concentrazione di potere e ricchezza», ma anche nella «potenziale
ascesa di un complesso tecnologico-industriale». Le fondamenta di questo
potenziale complesso tecnologico-industriale che alimenta la nuova
oligarchia, ha affermato, sono l’ascesa del “dark money” e
dell’Intelligenza Artificiale incontrollata. Riconoscendo che la Corte
Suprema degli Stati Uniti era diventata una roccaforte del controllo
oligarchico, Biden ha proposto un limite di mandato di diciotto anni per
i giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti. Nessun presidente
americano in carica dai tempi di Franklin D. Roosevelt ha sollevato con
tanta forza la questione del controllo diretto della classe dominante
sul governo degli Stati Uniti, ma nel caso di Biden, ciò è avvenuto al
momento della sua partenza dalla Casa Bianca.[70]
Non
è una novità che negli Stati Uniti ci sia un controllo oligarchico
dello stato e che i commenti di Biden siano facili da liquidare, ma sono
senza dubbio indotti dalla sensazione di un grande cambiamento in atto
nello stato americano, con una presa di potere neofascista. La
vicepresidente Kamala Harris, durante la campagna per le elezioni
presidenziali, aveva apertamente descritto Trump come “fascista”.[71]
Non si trattava solo di manovre politiche e del solito continuo cambio
tra i partiti democratico e repubblicano nel duopolio politico
statunitense. Nel 2021, la rivista Forbes ha stimato in 118 milioni di dollari il patrimonio netto dei membri del gabinetto di Biden.[72] Per contro, i vertici di Trump comprendono tredici miliardari, con un patrimonio netto complessivo, secondo Public Citizen, di ben 460 miliardi di dollari,
tra cui Elon Musk con un patrimonio di 400 miliardi di dollari. Anche
senza Musk, il miliardario gabinetto di Trump ha un patrimonio di decine
di miliardi di dollari. L’amministrazione precedente di Trump aveva un
patrimonio di 3,2 miliardi di dollari.[73]
Nel
2016, come ha notato Doug Henwood, i principali capitalisti statunitensi
guardavano a Trump con un certo sospetto; nel 2025 l’amministrazione
Trump è un regime di miliardari. La politica di estrema destra di Trump
ha portato, secondo Forbes, i 400 personaggi più ricchi
d’America all’occupazione diretta di posti di governo, con l’obiettivo
di revisionare l’intero sistema politico statunitense. I tre uomini più
ricchi del mondo si trovavano sull'affollato palco di Trump durante la
sua seconda inaugurazione. Henwood vede questi sviluppi non come la
rappresentazione una leadership più efficace da parte della classe
dominante, ma come un segno del suo “marciume” interno.[74]
Nell’appendice al suo articolo “The Ruling Class Does Not Rule”, ristampato da Jacobin nel 2020, Block raffigurava Biden come un agente politico ampiamente autonomo all'interno del sistema statunitense. Block sosteneva che, a meno che Biden non istituisse una politica socialdemocratica volta a favorire la classe operaia – cosa che Biden aveva già promesso a Wall Street di non fare – alle elezioni del 2024 avrebbe vinto qualcuno peggiore di Trump.[75] Tuttavia, in una società capitalista i politici non sono agenti liberi. Sono responsabili soprattutto nei confronti degli elettori. Come dice il proverbio, «chi paga il pifferaio sceglie la musica». Impediti dai loro grandi donatori di spostarsi, anche solo leggermente, a sinistra durante le elezioni, i democratici, schierando alla presidenza Kamala Harris, la vicepresidente di Biden, hanno perso perchè milioni di elettori della classe operaia – che avevano votato per Biden alle elezioni precedenti ed erano stati abbandonati dalla sua amministrazione – hanno abbandonato a loro volta i Democratici. Piuttosto che sostenere Trump, gli ex elettori democratici hanno soprattutto scelto di aderire al più grande partito politico degli Stati Uniti: il Partito dei Non Voters (non votanti).[76]
Ciò che è emerso è qualcosa di peggiore della semplice ripetizione del precedente mandato presidenziale di Trump. Il demagogico regime MAGA è il caso ampiamente visibile di governo politico della classe dominante, sostenuto dalla mobilitazione di un movimento revanscista, principalmente di classe medio-bassa, che costituisce uno stato neofascista, con un leader che ha dimostrato di poter agire impunemente e di essere in grado di oltrepassare le precedenti barriere costituzionali: una vera e propria presidenza imperiale. Trump e Vance hanno forti legami con la Heritage Foundation e con il suo reazionario Project 2025, che fa parte della nuova agenda MAGA.[77] La questione, ora, è fino a che punto può spingersi questa trasformazione politica della destra, e se sarà istituzionalizzata. Ciò dipenderà dall’alleanza tra classe dominante e MAGA, da un lato, e dalla gramsciana lotta per l’egemonia dal basso, dall’altro.
Il marxismo occidentale e la sinistra occidentale in generale hanno a lungo abbandonato la nozione di classe dominante, ritenendola troppo “dogmatica” o una facile “scorciatoia” per analizzare l’élite di potere. Questi punti di vista, pur conformandosi alle finezze intellettuali e al "camminare sul filo del rasoio" caratteristici del mondo accademico mainstream, trasmettono una mancanza di realismo, che è stata debilitante nella comprensione della necessità di lottare in un’epoca di crisi strutturale del capitale.
In un articolo del 2022 intitolato “The U.S. Has a Ruling Class and Americans Must Stand Up to It” (Gli Stati Uniti hanno una classe dominante e gli americani devono tenerle testa), Sanders ha sottolineato che,
I problemi economici e politici più importanti che questo Paese si trova ad affrontare sono gli straordinari livelli di disuguaglianza di reddito e di ricchezza, la rapida crescita della concentrazione della proprietà... e l’evoluzione di questo Paese verso l’oligarchia...
Oggi la disuguaglianza di reddito e di ricchezza è maggiore che in qualsiasi altro momento degli ultimi cento anni. Nel 2022, tre multimiliardari possiedono più ricchezza della metà inferiore della società americana (160 milioni di americani). Oggi, il 45% di tutti i nuovi redditi va all’1% più ricco e i CEO (amministratori delegati delle grandi aziende) guadagnano una cifra record, 350 volte superiore a quella dei lavoratori...
In termini di potere politico, la situazione è la stessa. Un piccolo numero di miliardari e di CEO, attraverso i loro Super Pac (Comitati per l’azione politica), il dark money e i contributi alle campagne elettorali, giocano un ruolo enorme nel determinare chi viene eletto e chi viene sconfitto. Sono sempre più numerose le campagne in cui i Super Pac spendono più soldi per le campagne elettorali rispetto ai candidati. Questi ultimi diventano così i burattini dei loro ricchi burattinai. Nelle primarie democratiche del 2022, i miliardari hanno speso decine di milioni per cercare di sconfiggere i candidati progressisti che si battevano per le famiglie dei lavoratori.[78]
In
risposta alle elezioni presidenziali del 2024, Sanders ha sostenuto che
l'apparato del Partito Democratico, che ha speso miliardi per perpetrare
«una guerra contro l’intero popolo palestinese» abbandonando la classe
operaia statunitense, ha visto quest'ultima scegliere il Partito dei Non
Votanti. Centocinquanta famiglie miliardarie, ha sostenuto, hanno speso
quasi 2 miliardi di dollari per influenzare le elezioni statunitensi
del 2024. Ciò ha messo al potere, nel governo federale, un'oligarchia
della classe dominante che non finge nemmeno più di rappresentare gli
interessi di tutti. Nel combattere queste tendenze, Sanders ha
dichiarato: «La disperazione non è un’opzione. Non stiamo combattendo
solo per noi stessi. Stiamo combattendo per i nostri figli e per le
generazioni future, e per il benessere del pianeta».[79]
Ma
come combattere? Di fronte alla realtà di un’aristocrazia operaia dei
principali stati monopolisti-capitalisti che si allineava con
l’imperialismo, la soluzione di Lenin fu quella di andare più a fondo nella classe operaia, e allo stesso tempo di ampliarla,
sostenendo la lotta di coloro che in ogni paese del mondo non hanno
nulla da perdere se non le loro catene, e che si oppongono all’attuale
monopolio imperialista.[80] In ultima analisi, il
collegio elettorale dello stato neofascista della classe dominante di
Trump è un esiguo 0,0001%, costituendo quella porzione del corpo
politico degli Stati Uniti che il suo miliardario gabinetto può
ragionevolmente rappresentare.[81]
Note
[1] Trascrizione integrale del discorso di addio del presidente Biden, New York Times,15.01.2025; Bernie Sanders, The US Has a Ruling Class - And Americans Must Stand Up to It, Guardian, 02.09.2022.
[2] James Burnham, The Managerial Revolution, Putnam and Co., Londra 1941; John Kenneth Galbraith, American Capitalism: The Concept of Countervailing Power, Riverside Press, Cambridge, Massachusetts, 1952; C. Wright Mills, The Power Elite, Oxford University Press, Oxford, 1956, pp. 147–70.
[3] Joseph A. Schumpeter, Capitalism, Socialism and Democracy, Harper Brothers, New York, 1942, pp. 269–88; Robert Dahl, Who Governs?: Democracy and Power in an American City, Yale, New Haven, 1961; John Kenneth Galbraith, The New Industrial State, New American Library, New York, 1967, 1971.
[4] C. B. Macpherson, The Life and Times of Liberal Democracy, Oxford University Press, Oxford, 1977, pp. 77–92.
[5] Mills, The Power Elite, p. 170, 277.
[6] Paul M. Sweezy, Modern Capitalism and Other Essays, Monthly Review Press, New York, 1972, pp. 92–109; G. William Domhoff, Who Rules America, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, New Jersey, 1a edizione, 1967, pp. 7–8, 141–42.
[7] G. William Domhoff, The Power Elite and Its Critics, in C. Wright Mills and The Power Elite, a cura di G. William Domhoff e Hoyt B. Ballard, Beacon Press, Boston, 1968, p. 276.
[8] Nicos Poulantzas, Political Power and Social Classes, Verso, Londra, 1975; Ralph Miliband, The State in Capitalist Society, Quartet Books, Londra, 1969.
[9] Fred Block, The Ruling Class Does Not Rule: Notes on the Marxist Theory of the State, in Socialist Revolution, n. 33, maggio/giugno 1977, pp. 6-28. Nel 1978, l'anno successivo alla pubblicazione dell'articolo di Block, il titolo di Socialist Revolution fu cambiato in Socialist Review, riflettendo l'esplicito passaggio della rivista a una visione politica socialdemocratica.
[10] Fred Block, The Ruling Class Does Not Rule, ristampa del 2020 con nuove conclusioni, Jacobin, 24.04.2020.
[11] Peter Charalambous, Laura Romeo, and Soo Rin Kim, “Trump Has Tapped an Unprecedented 13 Billionaires for His Administration. Here’s Who They Are,” ABC News, December 17, 2024.
[12] Karl Marx, Early Writings, Penguin, Londra, 1974, p. 90.
[13] Karl Polanyi, Aristotle Discovers the Economy, in Trade and Market in the Early Empires: Economies in History and Theory, a cura di Karl Polanyi, Conrad M. Arensberg e Harry W. Pearson, The Free Press, Glencoe, Illinois, 1957, pp. 64–96.
[14] Ernest Barker, The Political Thought of Plato and Aristotle, Russell and Russell, New York, 1959, p. 317; John Hoffman, The Problem of the Ruling Class in Classical Marxist Theory, Science and Society 50, n. 3, Fall 1986, pp. 342–63.
[15] Karl Marx e Friedrich Engels, Manifesto del Partito comunista, Editori Riuniti, Roma, 1974, p. 58.
[16] Karl Marx, Il capitale, Libro primo, in Marx Engels, Opere vol. 30, Edizioni Lotta Comunista, Sesto San Giovanni, 2022, pp. 245-250, 301-306.
[17] Karl Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, Editori Riuniti, Roma, 1964
18] Karl Kautsky citato da Miliband, The State in Capitalist Society, p. 51.
[19] Ralph Miliband, Parliamentary Socialism: A Study in the Politics of Labor, Monthly Review Press, New York, 1961.
[20] Miliband, The State in Capitalist Society, pp. 16, 29, 45, 51–52, 55.
[21] Nicos Poulantzas, The Problem of the Capitalist State, in Ideology in Social Science: Readings in Critical Social Theory, a cura di Robin Blackburn, Vintage, New York, 1973, p. 245.
[22] Ralph Miliband, Reply to Nicos Poulantzas,” in Ideology in Social Science, a cura di Blackburn, pp. 259–60.
[23] Nicos Poulantzas, State, Power, Socialism, New Left Books, Londra, 1978; Karl Marx e Friedrich Engels, Writings on the Paris Commune, Monthly Review Press, New York, 1971; V. I. Lenin, Collected Works, Progress Publishers, Mosca, senza data, vol. 25, pp. 345-539. Sul passaggio di Poulantzas alla socialdemocrazia, vedi Ellen Meiksins Wood, The Retreat from Class, Verso, Londra, 1998, pp. 43–46.
[24] Domhoff, Who Rules America?, edizione del 1967, pp. 1–2, 3; Paul M. Sweezy, The Present as History, Monthly Review Press, New York, 1953, pp. 120–38.
[25] G. William Domhoff, The Powers That Be: Processes of Ruling-Class Domination in America, Vintage, New York, 1978, p. 14.
[26] G. William Domhoff, Who Rules America?, Routledge, Londra, 8a edizione, 2022, pp. 85–87. Nell'edizione del 1967 del suo libro, Domhoff aveva criticato il fatto che Mills avesse accorpato i ricchi (i proprietari) e i manager nella categoria dei ricchi d'impresa, cancellando così questioni determinanti. Domhoff, Who Rules America?, edizione del 1967, p. 141. Sul concetto di praticità liberale si veda C. Wright Mills, The Sociological Imagination”, Oxford, New York, 1959, pp. 85–86; John Bellamy Foster, Liberal Practicality and the U.S. Left, in Socialist Register 1990: The Retreat of the Intellectuals, a cura di Ralph Miliband, Leo Panitch e John Saville, Merlin Press, Londra, 1990, pp. 265–89.
[27] Stanislav Menshikov, Millionaires and Managers, Progress Publishers, Mosca, 1969, pp. 5–6.
[28] Menshikov, Millionaires and Managers, p. 7, 321.
[29] Sweezy, The Present as History, pp. 158–88.
[30] Menshikov, Millionaires and Managers, p. 322.
[31] Menshikov, Millionaires and Managers, pp. 324–25.
[32] Menshikov, Millionaires and Managers, pp. 325, 327.
[33] Menshikov, Millionaires and Managers, pp. 323–24.
[34] Block, The Ruling Class Does Not Rule, pp. 6–8, 10, 15, 23; Max Weber, Economy and Society, vol. 2, University of California Press, Berkeley, 1978, pp. 1375-80.
[35] Block, The Ruling Class Does Not Rule, pp. 9–10, 28.
[36] Wood, The Retreat from Class.
[37] Geoff Hodgson, The Democratic Economy: A New Look at Planning, Markets and Power, Penguin, Londra,1984, p. 196.
[38] Paul A. Baran e Paul M. Sweezy, Monopoly Capital, Monthly Review Press, New York, 1966, p. 339.
[39] Baran e Sweezy, Monopoly Capital, p. 155.
[40] Sull'età d'oro del capitalismo vedi Eric Hobsbawm, The Age of Extreme, Vintage, New York, 1996, pp. 257–86; Michael Perelman, Railroading Economics: The Creation of the Free Market Mythology, Monthly Review Press, New York, 2006, pp. 175–98.
[41] Baran e Sweezy, Monopoly Capital, p. 108, 336.
[42] Sulla stagnazione economica, la finanziarizzazione e la ristrutturazione, si veda Harry Magdoff e Paul M. Sweezy, Stagnation and the Financial Explosion, Monthly Review Press, New York, 1986; Joyce Kolko, Restructuring World Economy, Pantheon, New York, 1988; John Bellamy Foster e Robert W. McChesney, The Endless Crisis, Monthly Review Press, New York, 2012.
[43] Lewis F. Powell, Confidential Memorandum: Attack on the American Free Enterprise System, 23.08.1971, Greenpeace, greenpeace.org; John Nichols e Robert W. McChesney, Dollarocracy: How the Money and Media Election Complex Is Destroying America, Nation Books, New York, 2013, pp. 68–84.
[44] Robert Frank, ‘Robin Hood in Reverse’: The History of a Phrase, CNBC, 07.08.2012.
[45] John Kenneth Galbraith, The Affluent Society, New American Library, New York, 1958, pp. 78–79.
[46] See Fred Magdoff e John Bellamy Foster, The Great Financial Crisis, Monthly Review Press, New York, 2009.
[47] John Smith, Imperialism in the Twenty-First Century, Monthly Review Press, New York, 2016; Intan Suwandi, Value Chains: The New Economic Imperialism, Monthly Review Press, New York, 2019. L'applicazione di criteri di finanziarizzazione alle aziende ha alimentato le ondate di fusioni degli anni '80 e '90, con ogni sorta di acquisizioni ostili di aziende “sottoperformanti” o “sottovalutate”, che spesso portavano alla cannibalizzazione dell'azienda e alla vendita di sue parti al miglior offerente.. Si veda Perelman, Railroading Economics, pp. 187–96.
[48] István Mészáros, The Structural Crisis of Capital, Monthly Review Press, New York, 2010.
[49] Vedi Fred Magdoff e John Bellamy Foster, Grand Theft Capital: The Increasing Exploitation and Robbery of the U.S. Working Class, Monthly Review 75, n. 1, maggio 2023, pp. 1–22.
[50] Vedi John Cassidy, How Markets Fail: The Logic of Economic Calamities, Farrar, Straus, and Giroux, New York, 2009; James K. Galbraith, The End of Normal, Simon and Schuster, New York, 2015; Foster e McChesney, The Endless Crisis; Hans G. Despain, Secular Stagnation: Mainstream Versus Marxian Traditions, Monthly Review 67, n. 4, settembre 2015, pp. 39–55.
[51] John Bellamy Foster e Brett Clark, Imperialism in the Indo-Pacific, Monthly Review 76, n. 3, luglio-agosto 2024, pp. 6–13, trad.it. Imperialismo nell'Indo-Pacifico: un'introduzione, Antropocene.org, 26.07.2024.
[52] Matthew Bigg, Conservative Talk Radio Rails against Bailout, Reuters, 26.09.2008.
[53] Geoff Kabaservice, The Forever Grievance: Conservatives Have Traded Periodic Revolts for a Permanent Revolution, Washington Post, 04.12.2020; Michael Ray, The Tea Party Movement, Encyclopedia Britannica, 16.01.2025, britannica.com; Anthony DiMaggio, The Rise of the Tea Party: Political Discontent and Corporate Media in the Age of Obama, Monthly Review Press, New York, 2011.
[54] Kabaservice, The Forever Grievance; Suzanne Goldenberg, Tea Party Movement: Billionaire Koch Brothers Who Helped It Grow, Guardian, 13.10.2010; Doug Henwood, Take Me to Your Leader: The Rot of the American Ruling Class, Jacobin, 27.04.2021.
[55] C. Wright Mills, White Collar, Oxford University Press, New York, 1953, pp. 353–54.
[56] Sul concetto di contraddittorie collocazioni di classe, vedi Erik Olin Wright, Class, Crisis and the State, Verso, Londra, 1978, pp. 74–97.
[57] Barbara Ehrenreich, Fear of Falling: The Inner Life of the Middle Class, HarperCollins, New York, 1990; Nate Silver, The Mythology of Trump’s ‘Working Class’ Support, ABC News, 03.05.2016; Thomas Ogorzalek, Spencer Piston e Luisa Godinez Puig, White Trump Voters Are Richer than They Appear, Washington Post, 12.11.2019.
[58] L'analisi si basa su, John Bellamy Foster, Trump in the White House, Monthly Review Press, New York, 2017.
[59] Kabaservice, The Forever Grievance.
[60] Liza Featherstone, It’s a Little Late for Mike Pence to Pose as a Brave Dissenter to Donald Trump, Jacobin, 08.01.2021.
[61] Trump, citazione in, Kabaservice, The Forever Grievance.
[62] Foster, Trump in the White House, pp. 26–27.
[63] Karl Marx, Herr Vogt: A Spy in the Worker’s Movement, New Park Publications, Londra, 1982, p. 70.
[64] Thomas Piketty, Capital in the Twenty-First Century, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 2014, pp. 391–92.
[65] Warren Buffett, citazione in, Nichols e McChesney, Dollarocracy, p. 31.
[66] Sul crescente ruolo del private equity nell'economia, vedi Allison Heeren Lee, Going Dark: The Growth of Private Markets and the Impact on Investors and the Economy, U.S. Securities and Exchange Commission, 12.10.2021, sec.gov; Brendan Ballou, Plunder: Private Equity’s Plan to Pillage America, Public Affairs, New York, 2023; Gretchen Morgenson e Joshua Rosner, These Are the Plunderers: How Private Equity Runs-and Wrecks-America, Simon and Schuster, New York, 2023.
[67] George Kerevan, The American Ruling Class Is Shifting Towards Trump, Brave New Europe, 19.07.2024, braveneweurope.com; Anna Massoglia, Outside Spending on 2024 Elections Shatters Records, Fueled by Billion-Dollar ‘Dark Money’ Infusion, Open Secrets, 05.11.2024, opensecrets.org.
[68] Kerevan, The American Ruling Class Is Shifting Towards Trump.
[69] Igor Derysh, Joe Biden to Rich Donors: ‘Nothing Would Fundamentally Change’ If He’s Elected, Salon, 19.06.2019.
[70] Biden, Full Transcript of President Biden’s Farewell Address.
[71] Will Weissert e Laurie Kellman, What is Fascism? And Why Does Harris Say Trump is a Fascist?, Associated Press, 24.10.2024.
[72] Dan Alexander e Michela Tindera, The Net Worth of Joe Biden’s Cabinet, Forbes, 29.06.2021.
[73] Rick Claypool, Trump’s Billionaire Cabinet Represents the Top 0.0001%, Public Citizen, 14.01.2025, citizen.org; Peter Charalambous, Laura Romero e Soo Rin Kim, Trump Has Trapped and Uprecedented 13 Billionaires for his Administration. Here’s Who They Are, ABC News, 17.12.2024.
[74] Adriana Gomez
Licon e Alex Connor, Billionaires, Tech Titans, Presidents: A Guide to
Who Stood Where at Trump’s Inauguration, Associated Press, 21.01.2025;
Doug Henwood, Take Me to Your Leader: The Rot of the American Ruling Class, Jacobin, 27.04.2021.
[75] Block, The Ruling Class Does Not Rule, ristampa con nuove conclusioni, 2020.
[76] Domenico Montanaro, Trump Falls Just Below 50% in Popular Vote, But Gets More Than in Past Election, National Public Radio, 03.12.2024, npr.org; Redazione, Notes from the Editors, Monthly Review 76, n. 8, gennaio 2025. Sul significato storico e teorico del "partito dei non votanti", vedi Walter Dean Burnham, The Current Crisis in American Politics, Oxford University Press, Oxford, 1983.
[77] Kerevan, The American Ruling Class Is Shifting Towards Trump; Alice McManus, Robert Benson e Sandana Mandala, Dangers of Project 2025: Global Lessons in Authoritarianism, Center for American Progress, 09.10.2024.
[78] Bernie Sanders, The US Has a Ruling Class-And Americans Must Stand Up to It.
[79] Bernie Sanders, Bernie’s Statement about the Election, Occupy San Francisco, 07.11.2024, occupysf.net; Jake Johnson, Sanders Lays Out Plan to Fight Oligarchy as Wealth of Top Billionaires Passes $10 Trillion, Common Dreams, 31.12.2024.
[80] V. I. Lenin, Collected Works, vol. 23, Progress Publishers, Mosca, senza data, p. 120.
[81] Claypool, Trump’s Billionaire Cabinet Represents the Top 0.0001%.