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22/01/2014

Il colonialismo dell'Unione Europea in Africa

L’Unione Europea, anche a motivo della crisi economica, persegue una politica sempre più aggressiva per forzare i paesi Acp (Africa, Caraibi, Pacifico) a firmare gli Epa (Economic Partnership Agreements – Accordi di partenariato economico). Una trattativa questa durata quasi dieci anni; la UE esige che entro il 1 ottobre 2014 gli accordi siano siglati (questo è il primo passo che precede la vera e propria firma che può avvenire anche a diversi mesi di distanza dopo la soluzione di tutti gli aspetti legali).

Le relazioni commerciali tra la Ue e i paesi Acp sono state regolate dalla Convenzione di Lomé (1975-2000) e poi di Cotonou (2000-2020) con la clausola che i prodotti Acp – prevalentemente materie prime – potessero essere esportati nei mercati europei senza essere tassati. Questo però non valeva per i prodotti europei esportati nei paesi Acp, che dovevano invece sottostare a un regime fiscale di tipo protezionistico. Ora, la Ue chiede ai paesi Acp di eliminare le barriere protezionistiche in nome del libero scambio perché così richiede il Wto (l’Organizzazione Mondiale del Commercio) che persegue la politica di totale liberalizzazione del mercato. Con gli Epa infatti le nazioni africane saranno costrette a togliere sia i dazi che le tariffe oltre ad aprire i loro mercati alla concorrenza. La conseguenza sarà drammatica per i paesi Acp: l’agricoltura europea (sorretta da 50 miliardi di euro all’anno) potrà svendere i propri prodotti sui mercati dei paesi impoveriti. I contadini africani, infatti, (l’Africa è un continente al 70% agricolo) non potranno competere con i prezzi degli agricoltori europei che potranno svendere i loro prodotti sussidiati. E l’Africa sarà ancora più strangolata e affamata nel momento in cui pagherà pesantemente i cambiamenti climatici.

La Ue vuole concludere in fretta questo negoziato vista l’importanza strategica dell’accordo soprattutto per il rincaro delle materie prime che fanno molta gola alle potenze emergenti (i Brics ), in particolare Cina, India e Brasile già molto presenti in Africa. Per di più gli Epa aprirebbero nuovi mercati per i prodotti europei, ma anche nuovi spazi per investimenti e servizi.

Il tentativo dell’Unione Europea di siglare gli Epa con i 6 organismi regionali coinvolti – Comunità dei Caraibi (Cariforum), Africa Centrale (Cemac), Comunità dell’Africa Orientale (Eac) e Corno d’Africa, Africa Occidentale (Ecowas), Comunità di sviluppo dell’Africa Australe (Sadc) e infine i paesi del Pacifico – sta conoscendo significativi ostacoli. Al momento, la Ue ha firmato un accordo definitivo solo con i quindici stati dei Caraibi. Le altre aree si sono rifiutate di firmare in blocco e la Ue ha perseguito la politica di firmare Epa provvisori con i singoli paesi: 21 hanno finora siglato gli accordi anche se pochi hanno firmato, dando un chiaro segnale della inaccettabilità degli accordi e della fallibilità diplomatica dell’Ue su questo fronte, che sin dalla Conferenza di Lisbona (2007) si doveva presagire. In questo clima il Coordinamento per i Negoziati Epa, promosso dall’Unione Africana (Ua), ha invitato tutti a non firmare per ora gli accordi Epa, e aspettare dopo il vertice Africa-Ue che si terrà il prossimo aprile.

Noi, donne e uomini impegnati nella lotta per il rispetto dei diritti umani, missionari e laici, riteniamo che gli Epa siano profondamente ingiusti per queste ragioni:

- in un’Africa già così debilitata, questi accordi costituirebbero un colpo mortale per l’agricoltura locale, e in particolare per l’industria della trasformazione e della lavorazione dei prodotti agricoli, che può e deve arrivare a sfamare la propria gente;

- l’eliminazione dei dazi doganali nei paesi Acp, che costituiscono una bella fetta del bilancio degli stati africani, metterebbero in crisi gli stati Acp;

- gli accordi fatti dalla Ue con i singoli stati d’Africa hanno la conseguenza di spaccare le unità economiche regionali, essenziali per una seria crescita del continente;

- non è vero che sia il Wto a esigere gli Epa, che sono invece frutto delle spinte neoliberiste di Bruxelles;

- la Ue deve rendersi conto che l’Africa sta guardando ai Brics , in particolare a Cina, Brasile e India come partner più allettanti dell’Europa.

Noi guardiamo anche con grande preoccupazione ai negoziati di libero scambio(Dctfa) con tre importanti paesi del Nordafrica: Egitto, Tunisia e Marocco, ai quali bisogna aggiungere la Giordania. La Ue vorrebbe negoziare la liberalizzazione dei settori agricoli, manifatturieri, ittici nonché l’apertura dei mercati pubblici alle compagnie europee. A nostro parere questo costituirebbe una minaccia diretta alle aspirazioni sociali e democratiche promosse dalle ‘primavere arabe’. Questi accordi rinchiuderebbero le economie di questi paesi in un modello di crescita rivolta all’esportazione e aprirebbero i mercati di quei paesi alle multinazionali europee.

L’Europa non può permettersi un negoziato del genere dopo il fallimento del Processo di Barcellona, firmato il 28 novembre 1995, con 15 paesi del Mediterraneo che voleva instaurare un’area di libero scambio nel Mare nostrum.

Siamo alla vigilia delle elezioni europee. Noi chiediamo che questi negoziati sia con i paesi Acp sia con i paesi del Mediterraneo diventino soggetto di dibattito pubblico. Non è concepibile che una potenza economica come la UE non abbia una seria politica estera verso i paesi più impoveriti, verso soprattutto il continente a noi più vicino: l’Africa.

Ci appelliamo a tutti quei gruppi, associazioni, reti, istituti missionari che hanno già lavorato sugli Epa a riprendere a martellare i nostri deputati a Bruxelles.
Non possiamo non ascoltare l’immenso grido dei poveri. E’ in ballo la vita di milioni di persone, ma anche il futuro della Ue.

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