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01/07/2015

"La divisione coloniale ha prodotto l'estremismo"

di Chiara Cruciati – Il Manifesto

«L’estremismo reli­gioso è un feno­meno che cre­sce e si raf­forza in tutto il Medio Oriente. Per com­pren­derlo è neces­sa­rio che abban­do­niate stru­menti di ana­lisi occi­den­tali. Soprat­tutto per­ché l’Occidente non è mero osser­va­tore, ma un fat­tore diret­ta­mente coinvolto».

Da al Qaeda allo Stato Isla­mico le opi­nioni pub­bli­che occi­den­tali hanno tra­scorso gli ultimi 15 anni nel brodo di cot­tura dell’islamofobia e del cosid­detto “scon­tro di civiltà”. Un feno­meno peri­co­loso per­ché privo di pro­fon­dità sto­rica e ana­lisi socio-economica. Ne è con­vinto l’analista pale­sti­nese Nas­sar Ibra­him con cui abbiamo discusso della cre­scita repen­tina dell’Isis: «Tale feno­meno è figlio dalla com­bi­na­zione di fat­tori esterni, il colo­nia­li­smo, e interni, la stru­men­ta­liz­za­zione della religione».

In tal senso qual è stato il ruolo del colo­nia­li­smo euro­peo in Medio Oriente e in Africa?

Ogni pro­getto colo­niale usa una pre­cisa stra­te­gia per inde­bo­lire la popo­la­zione indi­gena. Ne stu­dia i costumi, le fedi, le strut­ture poli­ti­che e eco­no­mi­che. Ha in mente tre obiet­tivi: la divi­sione inna­tu­rale della società tra mino­ranze e mag­gio­ranze, tra etnie, tra reli­gioni; la divi­sione geo­gra­fica del ter­ri­to­rio; e la fram­men­ta­zione della civi­liz­za­zione. È quello che è suc­cesso nel mondo arabo: da cen­ti­naia di anni il colo­nia­li­smo euro­peo ha come tar­get la divi­sione geo­gra­fica (che ha por­tato avanti con la crea­zione di con­fini nuovi, come suc­cesso con Sykes-Picot, e di paesi nuovi come Israele); lo sfrut­ta­mento della reli­gione come ele­mento divi­sivo; e infine la fram­men­ta­zione della civi­liz­za­zione araba creando sotto-culture (la gior­dana, l’egiziana, la pale­sti­nese ecc). Il fine è chiaro: la distru­zione della nazione araba, di un popolo di 360 milioni di per­sone. Dagli Ommaidi agli Abbas­sidi fino agli Otto­mani, il mondo arabo era unito. Oggi è sosti­tuito dal nazio­na­li­smo indi­vi­duale e dall’invenzione delle cul­ture nazionali.

Come si inse­ri­sce lo Stato Isla­mico in tale con­te­sto? Il calif­fato ha un pro­getto trans­na­zio­nale, che va oltre i con­fini dise­gnati da fran­cesi e inglesi nel ‘900.

Se prima a distrug­gere la sto­ria della civi­liz­za­zione araba era il colo­nia­li­smo euro­peo, oggi a farlo è l’Isis. L’Islam in 1400 anni non ha mai vio­lato, distrutto o negato la sto­ria antica del mondo arabo. Per­ché l’Isis distrugge Hatra e Nim­rud, per­ché minac­cia Pal­mira? Vuole can­cel­lare la memo­ria dei popoli, la loro appar­te­nenza cul­tu­rale e sosti­tuirla con una sola iden­tità, quella reli­giosa. L’Isis è la scon­fitta del pana­ra­bi­smo. Il pana­ra­bi­smo, che si regge sui due pila­stri della sto­ria antica e delle reli­gioni mono­tei­ste, ha sem­pre inteso l’Islam come cul­tura, prima che come reli­gione: dall’arte alla let­te­ra­tura, dal lin­guag­gio ai costumi, la reli­gione defi­ni­sce un popolo come in Europa fa il cri­stia­ne­simo. Que­sta è la dif­fe­renza tra pana­ra­bi­smo che parla di nazione araba e Fra­tel­lanza Musul­mana (e in maniera molto più radi­cale l’Isis) che fa rife­ri­mento alla nazione isla­mica. Nella visione dell’Islam poli­tico, crolla il con­cetto di nazione intesa come popolo che con­di­vide sì la reli­gione ma soprat­tutto la cul­tura, la sto­ria, la lin­gua, le rela­zioni socioe­co­no­mi­che. Que­sta è la ragione del fal­li­mento dei Fra­telli Musul­mani in Tur­chia e in Egitto: hanno ten­tato di sof­fo­care l’identità araba sosti­tuen­dola con quella islamica.

Eppure l’Islam con­ser­va­tore ha una sto­ria più antica dell’Isis.

Lo è per­ché in ogni periodo sto­rico la reli­gione si radi­ca­lizza quando diventa stru­mento poli­tico nelle mani di una fazione o un’autorità. Tre­cento anni fa un reli­gioso, Muham­mad ibn Abd al-Wahhab, ha get­tato le basi dell’attuale estre­mi­smo reli­gioso a cui al Qaeda e l’Isis fanno rife­ri­mento. Nello stesso periodo la fami­glia Saud ini­ziò a muo­versi per assu­mere il con­trollo di quella che è oggi l’Arabia Sau­dita. Gli ser­viva un’ideologia su cui fon­dare un paese povero, scar­sa­mente civi­liz­zato, diviso in tribù (al con­tra­rio del vicino Yemen, vera culla della cul­tura araba). Così sono nati il sala­fi­smo e il wah­ha­bi­smo: da allora Riyadh ha lavo­rato per imporre que­sta inter­pre­ta­zione con­ser­va­trice dell’Islam, attra­verso l’occupazione delle isti­tu­zioni reli­giose e di quelle edu­ca­tive per garan­tirsi con­trollo stra­te­gico del mondo arabo.

Si può defi­nire il ruolo dell’Arabia Sau­dita come un fat­tore interno, ma sto­rico. Oggi è ancora foco­laio degli estremismi?

Esat­ta­mente in que­sto punto i fat­tori esterni si com­bi­nano con quelli interni. Il palese fal­li­mento dei regimi con­ser­va­tori nel garan­tire i biso­gni sociali, eco­no­mici e cul­tu­rali dei popoli, nel garan­tire diritti basi­lari, ha spinto le dit­ta­ture arabe a porsi sotto l’ombrello occi­den­tale. È la comu­nità inter­na­zio­nale che fa soprav­vi­vere certe dit­ta­ture. Ma le con­trad­di­zioni sono esplose: la crisi ha pro­vo­cato fru­stra­zione e spinto alla ricerca di un’alternativa, che per molti è stata l’Islam poli­tico. Oggi è chiaro che Stati Uniti e regimi arabi siano die­tro, diret­ta­mente e indi­ret­ta­mente, gruppi come al-Nusra e l’Isis. Washing­ton e Riyadh hanno da sem­pre uti­liz­zato que­sti gruppi come stru­mento, dallo scon­tro con i sovie­tici in Afgha­ni­stan fino al con­trollo del gas natu­rale medio­rien­tale. Li hanno uti­liz­zati, ma oggi il genio della lam­pada si è ribellato.

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