L’accordo tra l’esercito sudanese e le opposizioni, organizzate in
questi mesi in un movimento popolare di massa, è arrivato accompagnato
dal sangue. Ieri il Consiglio militare di transizione (Tmc) e le
forze di opposizione hanno annunciato il raggiungimento dell’intesa per
una transizione lunga tre anni dopo la deposizione e l’arresto
del presidente dittatore Omar al-Bashir, caduto sotto la pressione di
manifestazioni ininterrotte dal 19 dicembre scorso.
Nascerà il Consiglio sovrano di cui faranno parte i militari,
con poteri simbolici, e un governo civile con potere esecutivo che
guiderà il Sudan per il prossimo triennio. Un’amministrazione
completamente civile, fa sapere alla stampa il generale Yasser al-Atta, che vedrà la luce entro 24 ore. Nessuno
stato di emergenza e un parlamento che sarà composto da 300 membri, di
cui il 67% da rappresentanti dell’Alliance for Freedom and Change,
la federazione delle opposizioni che ha guidato i negoziati con le
forze armate. Durante i primi sei mesi, compito del governo sarà la
pacificazione e il raggiungimento di accordi con i gruppi armati attivi
nel paese.
L’accordo, lungamente negoziato e dato per morto numerose volte in
queste settimane, è stato annunciato dopo un massacro. Le opposizioni
avevano chiesto alla gente di proseguire nelle proteste e di non
abbandonare le piazze e in particolare il sit-in che dall’inizio di
aprile non lascia le strade di fronte alla sede dell’esercito a
Khartoum.
“Elementi non identificati”, ma che secondo i testimoni
indossavano delle uniformi, hanno aperto il fuoco sui manifestanti nella
notte tra lunedì e martedì, uccidendo almeno sei persone e ferendone
decine. L’accordo di transizione prevede anche l’apertura di
un’inchiesta che indaghi sull’ultimo massacro. I maggiori sospetti
ruotano intorno alle Rsd, le Rapid Support Forces, corpo paramilitare
presente nelle strade con ronde e tentativi violenti di disperdere i
manifestanti.
Nonostante ciò, la gente non ha lasciato le piazze ma ha innalzato
altre barricate, organizzato turni per il sit-in permanente, bloccato un
numero sempre maggiore di strade e vie di comunicazione.
Ad essere indagati saranno anche i crimini commessi da Bashir: lunedì, poche ore prima del raggiungimento dell’intesa, la
procura sudanese ha ufficialmente messo sotto inchiesta l’ex presidente
per “incitamento e partecipazione” all’uccisione di manifestanti,
almeno cento, in questi mesi di protesta. Sarà sottoposto a
processo mentre è detenuto nel carcere di Kober, prigione di massima
sicurezza in cui è stato trasferito il mese scorso. All’inizio di marzo
il procuratore generale aveva aperto un altro fascicolo per terrorismo e
riciclaggio di denaro.
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