Premessa 1 – Il modello economico dominante si basa in maniera fondamentale sull’individualismo metodologico. Un agente valuta la sua funzione obiettivo (sia essa il proprio benessere o il proprio profitto) sulla base di considerazioni che riguardano soltanto ed esclusivamente quello che lo riguarda direttamente. Nulla al di fuori della sua individualità contribuisce a determinare la sua funzione obiettivo sottoposta a vincolo. Il modello economico dominante si basa su agenti che sono “benevolmente” egoisti: l’egoismo degli agenti si ferma davanti agli inevitabili paletti istituzionali che il sistema gli mette di fronte a limitare comportamenti illegali (benché il modello dominante possa essere facilmente adattato per l’analisi di comportamenti criminali e opportunistici). L’individualismo metodologico viene insegnato nelle prime lezioni di una qualunque insegnamento di microeconomia e permea di sé tutto il resto del corso (e naturalmente anche il corso successivo di macroeconomia, poiché oramai la macroeconomia ortodossa “deve” essere microfondata: è la somma che fa il totale).
La controrivoluzione degli anni ‘80, che la destra reaganiana/tatcheriana (e, absit iniura verbis, berlusconiana) ha così bene messo in atto, si basava proprio sui concetti di riflusso dalla sbornia dell’impegno sociale degli anni ‘70 e/o di greed is good, la cui specificazione teorica partiva proprio dal concetto di individualismo metodologico.
Come conseguenza di ciò, ogni comportamento individuale che non sia conforme al dettato “democratico e liberale” è o maleducazione o deviante. Buttare una cartaccia in terra è voler male all’ordine, ed è quindi maleducazione, buttare una bottiglia di plastica in mare è voler male all’ambiente, ed è quindi deviante. La dimensione collettiva dell’azione comune si riduce al semplice “non devi fare così (tipo buttare la cartaccia), perché se tutti facessero come te, allora la città sarebbe sommersa di cartacce”. Con il corollario (spesso solo implicito) che se tutti si comportassero “bene” vivremmo nel migliore dei mondi possibili (di fatto vivremmo in un mondo di agenti rappresentativi che si comportano tutti nello stesso modo, o se volete un’interpretazione meno rigida, che si comportano in modo omogeneo al principio del bene individuale che in tal caso diventa poi anche bene collettivo).
Proposizione 1.1 – Sulla base di quanto detto, il ruolo dello Stato si è progressivamente ridotto, passando dall’immaginare scenari di trasformazione strutturale della società basati su una visione del futuro, che in alcuni casi sarebbe stato corretto definire utopica, alla gestione dello stato corrente degli affari basata sull’idea di intervenire solo e soltanto dove gli scambi di mercato non possono avere luogo oppure producono casi limite considerati comunque quantitativamente marginali (con mercati quindi imperfetti o incompleti). Un concetto di laissez faire assoluto, in cui lo stato non ha altro ruolo che quello di garantire la coesione “democratica” basata sull’unico potere reale rimasto: il monopolio della coercizione. Ergo, la riduzione del ruolo dello Stato, intrinsecamente repressivo, è di destra.
Proposizione 1.2 – La coscienza di classe implica invece una visione in cui il singolo conta solo se fa parte in una rivendicazione più grande di lui (che è poi il motivo per cui “ha bisogno” degli altri: il collettivo è attore attivo, soggetto di progetti e di cambiamento, il singolo è oggetto passivo del cambiamento imposto dall’alto). L’idea che soltanto unendo svariate disperazioni si possa costruire un’alternativa ha senso soltanto se queste disperazioni sono unite da una vera coscienza collettiva, cioè di classe, che è l’unica fonte di una strategia organizzata. Altre forme di unione fra disperazioni sono possibili, ma muovendosi senza una vera e propria direzione sono manipolabili ed eterodirigibili. Ad esempio, le contestazioni di piazza, che sono un elemento tipicamente di sinistra (ci uniamo per contare), una volta fatto proprio dalla destra (e non a caso), passano da strumento di rivendicazione a strumento di violenza. Ergo, un movimento collettivo è di sinistra.
Premessa 2 – La pandemia è un fenomeno evolutivo che riguarda la popolazione e non i suoi singoli componenti. La stessa funzione del virus è quella di riprodurre se stesso, non di uccidere una particolare persona. E anche la stessa funzione di un vaccino non è quella di salvare un singolo, ma di creare la cosiddetta immunità di gregge. Un fenomeno di questo tipo interroga la nostra dichiarata individualità e crea un cortocircuito con il principio dell’individualismo metodologico. Non è possibile salvarsi in maniera individuale da una pandemia: l’uomo come animale sociale ha sempre di più incentivato la propria dipendenza da altre persone attraverso la divisione del lavoro. Non esiste più (a parte qualche rarissimo caso isolato) la possibilità di essere autosufficienti. Anzi, sono proprio i modelli economici ad aver determinato/imposto la dipendenza globale dell’uomo dall’uomo.
Proposizione 2.1 – Per quanto possa sembrare bizzarro quindi, una persona si vaccina non tanto per salvare sé stesso, ma per salvare la popolazione. Quella persona si potrà eventualmente salvare in quanto elemento della popolazione “selezionata” positivamente dall’ambiente darwiniano. Ma attenzione, perché se mi va bene, bene, ma se mi va male alla popolazione gliene frega il giusto. Ergo, la popolazione è di sinistra.
Proposizione 2.2 – Big Pharma ha sempre lavorato per il profitto, giustificando brevetti sempre più larghi e profondi proprio in questo senso. La privatizzazione della conoscenza in cambio di prodotti utilizzabili da tutti quelli che sono disposti a pagarne il giusto prezzo. Il brevetto rappresenta il modo con cui il bene pubblico conoscenza, che è disponibile a tutti i cittadini gratuitamente senza rivalità né esclusione, viene reso privatamente disponibile alla singola impresa: l’impresa paga e si appropria della conoscenza prodotta. Il rifiuto di cedere i brevetti gratuitamente e per motivi “filantropici” ai poveri del mondo fuori dal nostro comodo recinto non è quindi per nulla strano, né “cattivo”, né nuovo (si veda quanto successo con l’HIV fra Big Pharma e paesi in via di sviluppo). D’altronde, secondo quanto detto finora, anche la pretesa di salvarsi essendo l’unico (o gli unici) a inocularsi il vaccino non appare molto sensata. Ergo, il brevetto è di destra.
Premessa 3 – Il sistema sanitario privato (e delle spoglie sopravvissute di quello pubblico) sono improntati al concetto di efficienza: semplificando un po’, il sistema sanitario deve operare massimizzando l’output prodotto per unità di input. Un sistema di questo tipo genera opportunità di profitto indipendentemente dall’assetto proprietario, ma ha la controindicazione di non essere in grado di gestire le funzioni per cui è progettato, senza il margine (per definizione inefficienti) per affrontare eventi rari e/o inattesi. Di fronte ad un cigno nero (la pandemia) un sistema efficiente è impreparato.
Il sistema sanitario dovrebbe invece essere efficace. Deve cioè essere in grado di garantire la prestazione sempre e comunque, anche attraverso la duplicazione di servizi e/o macchinari (come d’altronde succede in moltissime imprese private, si pensi alla gestione dell’energia elettrica o dei sistemi di funzionamento di un aeroplano). Solo in questo modo, è possibile garantire una prestazione ottimale in qualunque situazione: anche di fronte ad un cigno nero, un sistema efficace, a differenza di uno efficiente, è in grado di continuare ad operare.
Un servizio sanitario deve quindi consentire di curare tutti senza distinzione in qualunque condizione di servizio. Soltanto in questo modo è possibile svincolare la salute pubblica dall’interesse individuale e trasformarla in una questione di interesse collettivo.
Proposizione 3.1 – Ergo, un sistema sanitario efficiente è di destra.
Proposizione 3.2 – Ergo, un sistema sanitario efficace è di sinistra.
Premessa 4 – Così come la gestione di tutti i principali aspetti su cui una società coniuga il “merito” devono essere verificabili su basi “algoritmiche” anche la gestione della pandemia segue l’inevitabile rotta della trasformazione di criteri complessi, variegati, ed estremamente diversificati e che dovrebbero essere oggetto di attente valutazioni puntuali, in un numero determinabile tramite foglio di calcolo.
Si pensi alla gestione dei fondi universitari (merito!), oppure alla gestione tramite Isee di qualunque rapporto con l’amministrazione che preveda pagamenti differenziali (merito?!), oppure alle multe per eccesso di velocità comminate da un autovelox (demerito!). Ognuna di queste tre attività nega qualunque valutazione di tipo soggettivo-complesso che possa tenere conto di elementi ulteriori che un decisore (che in questo caso non può che essere autorevole e quindi non legato a possibili conflitti di interesse) possa eventualmente considerare.
Il modello applicato alla gestione della pandemia risponde esattamente agli stessi requisiti: spersonalizzare la valutazione per renderla “oggettiva”, quando esiste una letteratura sterminata che mostra come ciò non sia né logicamente né algoritmicamente possibile: la colorazione delle regioni rende plasticamente evidente questa logica.
Proposizione 4.1 – La gestione della pandemia deve essere basata su articolati e “complessi” sistemi di valutazione che possono magari sfuggire al singolo cittadino, ma che devono essere basati su una gestione aperta e condivisa, magari dal basso, delle modalità di valutazione, intervento e verifica. L’idea che sia possibile utilizzare indicatori singoli per censire un fenomeno complesso, è l’idea riduttiva di portare ad un singolo numero (non) valutabile in assoluto con l’illusione di azzerare tramite un intervento tecnico (algoritmico) una discussione democratica su come impostare un’adeguata risposta immunitaria da parte di una popolazione. Ergo, la prima, che considera una pluralità di attori, di indicatori e di possibili loro combinazioni derivanti da un vero dibattito (magari dal basso) è di sinistra, mentre la seconda, che comprime la discussione per imporre (dall’alto) un unico e “vero” parametro, è di destra.
Proposizione 4.2 – Infine, i no vax rivendicano (su basi il cui fondamento sia logico che scientifico non interessa qui discutere) il diritto del singolo a non vaccinarsi rispondono perfettamente all’ideale dell’individualismo metodologico. Ergo sono di destra.
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