Si chiama “Piano Muscat” e prende il nome dalla capitale dell’Oman, lo Stato che finora ha fatto da silente mediatore tra gli Stati Uniti e l’Iran. Una diplomazia nascosta ma produttiva, perché ha evitato che diversi ‘incidenti’ diventassero guerra aperta. Il modo che avevano scelto gli ayatollah di Teheran e ‘il grande Satana’ di Washington, per continuare a parlarsi, cercando di evitare guai peggiori.
La caduta del “Piano Muscat”
Questo succedeva fino a un anno fa. C’era la volontà reciproca di trovare un aggiustamento sulla brutta storia del trattato nucleare, prima firmato da tutti e poi rinnegato da Trump. Quale lobby aveva esercitato pressioni, sull’ex Presidente repubblicano, per indurlo a rimangiarsi quanto era stato firmato da Obama? Forse un giorno lo sapremo. Ma intanto, a Vienna, la ripresa dei negoziati, non dava i frutti sperati. In fondo, stracciare il patto era stato un gran favore fatto all’Iran, che ne stava approfittando, accelerando con l’arricchimento dell’uranio. D’altro canto, però, le sanzioni economiche applicate al Paese, lo stavano mettendo in ginocchio e bisognava scendere a patti.
Reciproca ‘cointeressenza’
Così, vista la reciproca ‘cointeressenza’, nonostante la faccia truce, Biden aveva cercato, dietro le quinte, di ritrovare un minimo accordo. Ma le circostanze erano cambiate e, soprattutto, gli israeliani non si fidavano più “di carte scritte”. E poi è arrivato il 7 ottobre, con tutto il resto. In tal modo, l’approccio diplomatico sotterraneo dell’Iran, con gli americani, è stato molto ridimensionato. Ci si è decisi di rivolgersi alla mediazione omanita, solo per evitare “miscalculations”, errori che portassero a una guerra aperta non voluta.
Il ministro iraniano in Oman ad avvertire
Ed è quello che ha appena finito di fare il Ministro degli Esteri di Teheran, Abbas Araghchi, che si è recato in Oman per dare però un annuncio non proprio conciliante: l’Iran, in questo momento, riconosce che non ci sono le condizioni per continuare un dialogo, sia pure “mediato”, con gli Stati Uniti. Il “Piano Muscat” deve quindi essere considerato “congelato”, se non proprio morto e sepolto. Attenzione: dato che il round di colloqui era nato, principalmente, per arrivare a un accordo sul nucleare, quella di Araghchi può essere una cattiva notizia trasversale per Biden. E cioè, se il Piano Muscat è annullato, l’Iran potrebbe aver deciso di andare avanti con il suo programma di arricchimento dell’uranio.
Se il nucleare iraniano diventa atomico
In parole povere e vista la tragica situazione geopolitica creatasi nel Golfo Persico, quella di costruirsi la “bomba” oggi sembra un’opzione realistica. La presa di posizione del ministro iraniano è arrivata, con tutti i crismi dell’ufficialità, durante la conferenza stampa congiunta col collega omanita Badr bin Hamad al-Busaidi. La rottura delle relazioni, sia pure condotte ‘di sponda’, degli ayatollah con la Casa Bianca è un pessimo segnale. Potrebbe voler dire che la fazione degli “intransigenti” del regime si accinge a giocare duro. Se è il caso, sfruttando il prevedibile risentimento popolare per un attacco israeliano, si potrebbe arrivare persino a una guerra generalizzata.
Biden con troppo Netanyahu
Inutile dire che la telefonata di 30 minuti tra Biden e Netanyahu, nel corso della quale si è discusso delle modalità del prossimo bombardamento dell’Iran, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Gli Stati Uniti vengono percepiti da Teheran come parte in causa. Sono ritenuti eventualmente “complici” dell’aviazione di Netanyahu. Già solo il fatto di accordarsi sugli obiettivi, fa vedere Biden nel ruolo di un suggeritore interessato, per motivi principalmente elettorali. Deve evitare che vengano colpite installazioni petrolifere (o siti nucleari), azioni che potrebbero scatenare i pasdaran, inducendoli a bloccare lo Stretto di Hormuz. O, addirittura, capaci di ostacolare la navigazione nel Mar Rosso verso il Canale di Suez, grazie alle incursioni degli Houthi.
L’Iran rispetto ai problemi americani
Biden è costantemente pressato dai regimi sunniti moderati della regione. Tutti temono che una reazione israeliana spropositata, possa scatenare una rappresaglia diffusa degli iraniani contro le “facilities” energetiche della Penisola arabica e del Golfo Persico. Mancano, in ogni caso, informazioni affidabili sull’esistenza di una precisa agenda strategica da parte della teocrazia persiana.
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