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01/02/2012

La 'ndrangheta, problema del Nord

Nel libro "Le mani sulla città" (Chiarelettere 2011), Lei e Gianni Barbacetto sostenete che, contrariamente al luogo comune secondo cui la mafia è una cosa del Sud, anche a Milano c'è un problema di criminalità organizzata...
Sì, c'è una presenza inquietante della malavita organizzata.

Infiltrazioni?
Non si può parlare più solo di infiltrazioni. La 'ndrangheta è una presenza che si è sedimentata negli anni, e dal 2008 a oggi è anche all'interno del tessuto legale.

Come è possibile?
I padrini della 'ndrangheta arrivano in Lombardia negli anni '70. Fino ai grandi processi degli anni '90, l'organizzazione rimane prettamente criminale: fa sequestri omicidi, traffico di droga - soprattutto di eroina prima e di cocaina in seguito...

E poi?
Dalla fine dei '90 in poi, molti di loro sono stati arrestati e ci sono stati pure degli ergastoli. Ma molti sono rimasti fuori. La 'ndrangheta si è "inabissata", ha allargato le braccia e posto le sue strutture per dare avvio alla fase successiva: quella della penetrazione nel tessuto locale. Lo raccontano le inchieste dal 2008.

Cosa significa di preciso?
Che moltissimi politici lombardi hanno avuto contatti con la Calabria e i suoi malavitosi. Nel libro facciamo i loro nomi.

I politici padani sono conniventi?
A esser buoni, si può dire che ci sia stata una sottovalutazione del problema. Ma le carte e le intercettazioni raccontano che spesso c'è stata connivenza: certi consiglieri comunali o regionali - vedi il caso di Massimo Ponzoni - sapevano benissimo quali persone portavano loro i voti.

E le imprese?
Difficile parlare di sottovalutazione, ancor più se si parla di imprenditori. Saprebbero chi occorre tenere lontano, ma poi collaborano o cedono. Un po' per i metodi mafiosi e le intimidazioni che subiscono, ma anche perché un imprenditore pulito sa che, per gli appalti, chi ha dietro clan come quelli dei Papalia, o dei Barbaro, ha la strada spianata. Invece, proprio come al Sud, sono pochissimi a denunciare.
Ivan Lobello di Confindustria Sicilia mi ha raccontato che parlare di mafia a Palermo, negli anni '80 e '90, significava per molti diffamare il territorio. Oggi, se si dice che a Buccinasco c'è la malavita organizzata, per esempio, si ha la stessa reazione: ci si sente rispondere che la mafia non c'è.

E invece c'è?
Sì, la cosa che avveniva in Meridione, la rivediamo in Lombardia. Il paradosso è che per consapevolezza del problema, la regione è indietro, rispetto alla Sicilia e alla Calabria.

Cosa si può fare per cambiare le cose?
Occorre prendere atto del problema. Poi, dall'altro lato, occorre che Assolombarda prenda decisioni ferme: anche gli imprenditori che non denunciano le 'ndrine, i suoi membri e i suoi boss, vanno sanzionati. La vicenda dell'imprenditore Maurizio Luraghi, in questo senso, è esemplare...

Cosa gli è successo?
È stato condannato per associazione mafiosa. Ma in realtà è una vittima che si è trasformata in complice: il vizio sta nel fatto che non ha denunciato di esser stato sotto scacco. La sua è una storia esemplare, ma ciononostante non c'è la fila di imprenditori che denunciano i malavitosi.

Cosa dovrebbero fare i politici?
Alla politica dobbiamo chiedere uno scatto in più. Se ci sono contatti diretti con malavitosi, per esempio, anche se non ci sono gli estremi per un'azione penale, va valutata la responsabilità di un cittadino che ha un ruolo pubblico.

Come vede la creazione della Commissione antimafia della giunta di Giuliano Pisapia?
Sulla carta è una cosa positiva. Ma bisogna ascoltare quel che dicono i magistrati, anzitutto: una colonizzazione di questa portata non può essere fermata solo dalle commissioni.

Qual è l'urgenza maggiore?
L'Expo (l'esposizione universale del 2015 che si terrà a Milano, ndr), perchè ci sono molti soldi e interessi intorno. Lo sviluppo dell'azione della 'ndrangheta sarà enorme: dal 2008 a oggi abbiamo visto solo il 2- 3% di quello che succederà.

Non è possibile tenere fuori le 'ndrine?
Difficile. Le faccio un esempio: uno dei primi appalti per l'Expo è stato vinto da una cooperativa emiliana che già aveva ottenuto quello per la costruzione della Fiera di Rho, intorno al 2005. In quell'occasione, fu accertato che per gli emiliani lavoravano i camion delle cosche. È quasi inevitabile che vada così.

Perché?
Perché chi vince gli appalti in Lombardia, spesso non usa mezzi o strumenti propri - camion, ruspe... - ma si serve di quelli che trova in loco. E questi strumenti li mettono a disposizione aziende colluse. Non si scappa.

Fonte.

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