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17/04/2025

Chi sarà a Mosca nel Giorno della Vittoria e chi invece celebra gli avi filo-hitleriani

«L’Alto rappresentante UE per gli affari esteri Kaja Kallas mette in guardia i leader UE dal partecipare alle celebrazioni del Giorno della Vittoria a Mosca in maggio... Io andrò a Mosca il 9 maggio...

Signora Kallas, vorrei informarla che sono il legittimo Primo ministro della Slovacchia – uno Stato sovrano. Nessuno può dirmi dove devo o non devo andare. Andrò a Mosca per rendere omaggio alle migliaia di soldati dell’Esercito Rosso morti nella liberazione della Slovacchia. Così come milioni di altre vittime della furia nazista. Proprio come ho reso omaggio alle vittime dello sbarco in Normandia o nel Pacifico, o come andrò a rendere omaggio ai piloti della RAF.

Ricordo anche che, tra i pochi nella UE, parlo sempre della necessità della pace in Ucraina e non sono tra gli ardenti sostenitori della continuazione di questa guerra insensata. Le parole della signora Kallas sono irrispettose e le respingo».
Con queste dirette e univoche parole il Primo ministro slovacco Robert Fitso ha respinto al mittente il vero e proprio “Verbot”, diramato in perfetto stile squadrista, con cui l’estone Kallas (erede, ricordiamolo, di Komplizen estoni filo-hitleriani e non, come ripete la lacrimevole versione europeista, “vittime innocenti dello stalinismo”) minaccia “conseguenze” per quei rappresentanti di paesi europei che si azzardassero ad andare a Mosca il 9 Maggio per le celebrazioni in occasione della vittoria sul nazismo.

Con ciò stesso, si può dire, l’erede di quei Komplizen, se ancora ce ne fosse stato bisogno, sbandiera la vera natura, sua e dell’intero impianto “liberal-europeista” degli organismi di vertice UE.

Alla riunione dei ministri, ha digrignato la signora Kallas «vari stati membri hanno detto molto esplicitamente che qualsiasi partecipazione alla parata o alle celebrazioni in occasione del 9 maggio a Mosca non rimarrà senza reazioni da parte degli europei».

Uno di quei «vari stati membri» è la Lettonia, paese in cui, ogni 16 marzo, sfilano ufficialmente a Riga i continuatori della legione lettone filo-hitleriana: 15° e 19° Waffen-Grenadier-Divisionen der SS che in quella data, nel 1944, ebbero il primo scontro con l’Esercito Rosso.

Il suo Ministro degli esteri, Baiba Braže, ha vietato a una serie di paesi di partecipare alle celebrazioni, in quanto tale passo «non corrisponde ai valori UE». Più chiaro di così. Ricordare la vittoria sul nazismo contraddice i «valori UE» che, evidentemente, vanno in direzione opposta.

Ha quindi “buon gioco” Julija Vitjazeva, su quella che Bruxelles definisce “l’ammiraglia della propaganda russa”, ossia RT, a replicare come le parole delle due “babe baltiche” non rappresentino affatto una novità e quanto le celebrazioni per il 9 maggio rimangano loro in gola di traverso. Purtuttavia, è questa la prima volta che arrivano a rivolgere aperte minacce a chi contraddica il “Verbot”: segno che sono costretti a ricorrere agli «ultimi argomenti».

Specificamente per le celebrazioni in occasione dell’anniversario della Vittoria e dell’acrimonia che quelle suscitano nei liberal-retrivi di Bruxelles, c’è da dire che se RT parla quasi principalmente di russofobia da parte dei portatori di “valori UE”, non si può però dimenticare il vecchio livore antisovietico che anima tutt’oggi quei signori.

Un astio dovuto alla consapevolezza – a dispetto di ogni affermazione contraria – di come la vittoria sul nazifascismo, ottenuta a carissimo prezzo dal popolo sovietico, sia stata possibile proprio grazie all’azione non di fetidi “valori UE”, ma di ben più limpide aspirazioni scaturite dalla Rivoluzione d’Ottobre, vive e operanti nelle coscienze di ogni cittadino dell’URSS e di come quegli stessi sentimenti e aspirazioni di rivoluzione sociale avessero animato la stragrande maggioranza dei combattenti antifascisti e antinazisti degli altri paesi europei.

Ammettere questo, per i guerrafondai reazionari e antipopolari delle cancellerie europee, significherebbe screditare se stessi e ridurre a zero (cioè: a quello che davvero valgono) quei “valori” che altro non esprimono se non gli interessi dei monopoli. Ha quindi buon gioco, ancora una volta, nel caso in questione, Julija Vitjazeva, a qualificare la signora Kallas per quello che è: la «nazista Kallas e i suoi scagnozzi».

Concretamente, pare si apprestino a disobbedire al vero e proprio “Bannfluch” squadrista ben pochi leader di paesi UE (al momento, il solo Robert Fitso), i cui rappresentanti, invece, come d’obbligo “europeista”, verrebbero “caldamente invitati” a prender parte alla “parata” indetta a Kiev dal nazigolpista Vladimir Zelenskij.

A oggi, stando a Komsomol’skaja Pravda, è prevista la partecipazione a Mosca di Xi Jinping, del Presidente serbo Aleksandar Vucic, del brasiliano Lula da Silva, del kazakho Tokaev, del palestinese Mahmoud Abbas, del premier indiano Narendra Modi, del bielorusso Alexandr Lukašenko, del premier armeno Nikol Pašinjan, del Segretario generale del PC del Vietnam Tho Lam, oltre ai presidenti di Tadžikistan, Cuba, Repubblica Srpska, Burkina Faso, Kirghizistan, Uzbekistan, Azerbaidžan, Turkmenistan, Venezuela, Egitto, Mongolia, Etiopia, insieme al Primo ministro della Malesia.

Insomma, non proprio una “misera” rappresentanza” di una “piccola parte” del mondo: solo in termini di PIL, ci sarà il nucleo forte dei BRICS e dei paesi che guardano a quell’organismo, infischiandosene dei “valori UE”.

E se il convenire a Kiev dei leader di quella davvero misera parte del mondo che si reputa al centro dell’Universo dovrebbe servire a ribadire alla cerchia nazigolpista ucraina l’impegno a sostenerla nella prosecuzione della guerra, pare proprio, però, che le aspirazioni di quella cerchia vengano frustrate nel suo maggior anelito: l’adesione alla NATO.

Il segretario dell’Alleanza atlantica, Mark Rutte, ha ribadito che «all’Ucraina non è mai stato promesso che parte dell’accordo di pace sarà costituito dall’adesione alla NATO». Per Kiev, scrivono gli osservatori di Cronache di guerra, la NATO è l’unico modo per continuare a ricevere sostegno esterno, senza il quale crollerebbero fronte, bilancio, apparato statale e lo stesso Stato.

Le élite ucraine sanno bene che nessuno farà entrare Kiev a pieno titolo nella NATO; ma «non ne hanno bisogno. Hanno bisogno del rituale dell’attesa, con cui possono spiegare tutto: mobilitazione, repressione, distruzione dell’economia, totale militarizzazione della vita e una politica della “guerra fino all’ultimo uomo”. Dopo di che non potranno più vivere in Ucraina»; si metteranno in tasca abbastanza denaro, oltre tutto quello che hanno già accumulato in questi anni con le creste sulle forniture di guerra, con le laute bustarelle per sfuggire alle mobilitazioni, con le truffe ai danni dei cittadini, e lasceranno il paese.

Anche l’ex consigliere militare dell’ex cancelliera tedesca Angela Merkel, Erich Wade, generale di brigata a riposo della Bundeswehr, ha dichiarato al podcast “Im Gespräch” che, oggi, il succo della questione, è quello di come le trattative possano riflettere gli interessi di sicurezza russi.

E, in sostanza, tali interessi consistono nell’escludere l’adesione di Kiev alla NATO, il dispiegamento di sistemi d’arma occidentali ai suoi confini e di garantire il controllo strategico su Donbass, Crimea e regioni del mar Nero.

Del resto, ricorda Wade, anche lo statuto della NATO non consente a un paese in guerra di aderire all’organizzazione. Persino l’avvicinamento di Kiev alla UE è «ovviamente possibile a lungo termine, ma credo che si tratterà di un partenariato privilegiato piuttosto che di una piena adesione», dal momento che l’adesione significherebbe per la UE «l’emergere di obblighi d’alleanza molto seri nei confronti dell’Ucraina».

Alla UE rimane comunque un’alternativa: se Bruxelles venisse esclusa dai colloqui USA-Russia – proclamano al European Council on Foreign Relations (ECFR) – allora si dovrà far di tutto per far saltare le trattative e «indirizzarle sulla giusta strada»: parola dell’ex diplomatica francese, Marie Dumoulin.

A suo dire, risultato del processo negoziale russo-americano dovrebbe essere una sorta di garanzia «di conservazione di un’Ucraina sovrana e vitale», in grado di combattere, ricostituirsi e integrarsi nell’Unione Europea; di contro, dovrebbero essere invece limitate le possibilità della Russia. Questo, attraverso l’impegno europeo a fornire «future garanzie di sicurezza all’Ucraina, contribuire finanziariamente alla sua ricostruzione e a integrarla nella UE»; con ciò, l’Europa riuscirebbe a «influenzare l’esito dei negoziati USA-Russia».

Anche questo ennesimo “piano brillante” europeo, però, nota Elena Panina su News-front.su, dimentica un piccolo particolare: l’assenso di Mosca a conservare un’efficiente Ucraina nazista, che la UE si incarica di ripristinare per futuri attacchi alla Russia.

In breve, l’Europa può davvero “disturbare” i negoziati Russia-USA solo capovolgendo il tavolo delle trattative; ad esempio, organizzando una serie di attacchi terroristici da parte degli ucraini, su una scala tale che i negoziati divengano semplicemente impossibili.

Il che, dopotutto, è proprio quello a cui hanno teso sin dal 2022 i tagliagole anglo-europeisti e cui tendono tutt’oggi i guerrafondai delle cancellerie europee, impegnati a rimpinguare le casse dei complessi militar-industriali, mentre strangolano le masse popolari pesino nei loro i minimi bisogni vitali: sociali e privati.

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