Si è concluso domenica l’incontro svoltosi a Ginevra tra le delegazioni statunitense e cinese per discutere della guerra commerciale, in corso ormai da anni tra le due superpotenze ma che ha visto un importante salto di qualità con le misure adottate dalla seconda amministrazione Trump.
Lunedì mattina è stata diffusa una dichiarazione comune, concordata tra le due missioni diplomatiche che ha confermato quello che già era stato annunciato a conclusione del fine settimana di confronto: i dazi reciproci vengono tagliati del 115%, portando quelli imposti da Washington al 30% e quelli decisi da Pechino come risposta al 10%.
Questo alleggerimento delle tariffe entrerà in vigore il 14 maggio e durerà 90 giorni, durante i quali verrà attivato “un meccanismo per proseguire le discussioni sulle relazioni economiche e commerciali”, si legge nella dichiarazione. A gestire le trattative saranno ancora il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent, e il vice premier cinese He Lifeng, entrambi già a capo delle delegazioni di Ginevra.
Entrambi avevano espresso, sul finire della domenica, la soddisfazione per gli importanti progressi fatti nella ricerca di una nuova intesa commerciale. Anche le borse, sia quelle americane sia quelle asiatiche, hanno ricevuto con sollievo il risultato del vertice di Ginevra, con importanti rialzi che segnalano la fiducia degli investitori.
Dall’inizio di aprile, il faccia a faccia tra Washington e Pechino aveva mantenuto toni molto duri, ma alla fine i due governi hanno dovuto cercare un punto di incontro, considerato l’enorme impatto che la guerra commerciale sta avendo sulle loro economie. Il PIL statunitense ha segnato la prima contrazione trimestrale dall’inizio del 2022, e anche la produzione cinese si è ridotta come non succedeva da mesi.
La dipendenza degli USA per quanto riguarda molti prodotti made in China si era palesata in particolar modo con alcune apparecchiature elettroniche, su cui i colossi della tecnologia hanno già cominciato a prendere contromisure per ridefinire le filiere globali. Tuttavia, non si tratta di un affare che può essere risolto nel giro di un paio di mesi, come ha indirettamente esplicitato proprio Bessent.
“Il consenso tra le due delegazioni si basa sul fatto che nessuna delle due parti vuole il disaccoppiamento, e che quanto è accaduto con questi dazi molto elevati è stato equivalente a un embargo, cosa che nessuna delle due parti vuole. Vogliamo il commercio. Vogliamo un maggiore equilibrio commerciale. E penso che entrambe le parti siano impegnate a raggiungere questo obiettivo”.
Le parole del ministro statunitense sembrano già presagire ciò che la squadra di Trump potrebbe voler cercare nei prossimi 90 giorni. La guerra commerciale è ormai un dato di fatto, e le contraddizioni della crisi e della competizione interimperialistica portano alla necessità di un crescente protezionismo.
Però, in questo percorso conflittuale, l’impossibilità immediata del disaccoppiamento tra le due economie potrebbe portare a dei passi intermedi che, per vari motivi, potrebbero essere considerati tatticamente utili da entrambe le parti. Tra i possibili scenari, c’è quello per cui potrebbe essere ripresa la forma di intesa che era già stata trovata nel gennaio 2020, alla fine del primo mandato di Trump.
Allora, la Cina aveva dato l’approvazione all’aumento delle importazioni dagli Stati Uniti per un valore di 200 miliardi rispetto al livello del 2017, in cambio del taglio di alcune tariffe. Gli obiettivi alla fine vennero raggiunti solo in parte, e in poco tempo ciò si tradusse nella introduzione di nuove restrizioni reciproche.
È chiaro che un’opzione del genere sarebbe un momentaneo alleggerimento per la sofferente bilancia commerciale – manifatturiera – degli USA, ma non risolverebbe la contraddizione di fondo tra i due giganti mondiali. Le evoluzioni dei prossimi tre mesi, anche sul piano dei conflitti internazionali, decideranno l’andamento delle trattative.
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