Mancano ormai solo una quarantina di giorni alla ripresa dell’attività scolastica, ma mancano soprattutto certezze su come essa avverrà.
Si moltiplicano voci e polemiche sulla distanza che i ragazzi dovranno mantenere, vale a dire il metro “statico” o “dinamico”, senza tenere conto che soprattutto i più piccoli non sapranno rispettare tale indicazione, e sulla precisazione che la “zona cattedra”, cosa da anni trenta, dovrà essere invece di due metri, mentre sembra invece ormai acquisito che la distanza si dovrà calcolare tra le “rime buccali”.
L’Alto Adige pensa, per aiutare il distanziamento fisico, di collocare delle piante nelle aule, mentre si discute della possibilità di utilizzare gli studenti dei corsi di laurea di educazione primaria come insegnanti a gettone, usa e getta, in caso di bisogno.
Il commissario Arcuri dichiara che provvederà a che tutti gli alunni siano dotati dalle scuole di mascherina sanitaria, e dice che ne ordinerà dieci milioni per ogni giorno di scuola, ma soprattutto si appresta a bandire un concorso per tre milioni di banchi-gabbietta di “nuova generazione”, che costano circa 300 euro l’uno, circa sei-sette volte un banco tradizionale, ma che non sembra siano particolarmente richiesti dalle scuole. Rimarranno nei magazzini?
Ancora più inquietante la questione dei test sierologici al personale della scuola; la Ministra dice che si devono fare ma, essendo la medicina preventiva scolastica ormai un lontano ricordo, non si sa chi dovrà praticare il prelievo a docenti e ATA, operazione non irrilevante, dato che si parla di oltre un milione di persone. E tutto si dovrebbe organizzare, ormai, in un mese.
Infine, nessuno sembra dare risposta ai docenti over 55 (quasi i due terzi nella secondaria superiore) che, essendo categoria a rischio, temono che il rientro in classe possa essere pericoloso per la loro salute e la loro vita.
Una situazione molto confusa, a cui si aggiunge la difficoltà dei dirigenti scolastici nel reperire o creare spazi adatti per l’attività didattica con pochi fondi e poche collaborazioni, in una situazione in cui per anni si è proceduto ad accorpamenti di istituti e dismissione di scuole, riempiendo come uova anche l’ultimo sgabuzzino.
In tale situazione di difficoltà ha tentato d’inserirsi la CISM, (Conferenza Italiana Superiori Maggiori), l’associazione delle scuole private, che ha un importante patrimonio edilizio utilizzato solo in parte, offrendo spazi alle scuole pubbliche. Un’offerta che il governo, per fortuna, sembra intenzionato, almeno per il momento, a lasciar cadere.
Sulla questione spazi si è mobilitata anche la Fondazione Agnelli che mette a disposizione delle scuole una piattaforma per calcolare quanti alunni possono entrare in un’aula, forse pensando che i dirigenti siano così grulli da non sapere che una classe di 28 ragazzi non può esistere con le attuali norme sulla sicurezza Covid.
Invece, tra le tante incertezze, rimane evidente che l’organico docente e ATA non sarà sufficiente per realizzare una riduzione del numero degli allievi per classe, fatto testimoniato anche dai già citati penosi tentativi di soffiare fumo sulle distanze statiche o dinamiche, sulle rime buccali o sui banchi di nuova generazione, per nascondere che alla fine le classi avranno lo stesso numero di alunni degli anni scorsi.
Purtroppo, in un tale contesto desolante, s’inseguono le voci sull’ipotesi, che sta avanzando nella testa di numerosi dirigenti, di ricorrere ancora, almeno in parte, alla didattica a distanza. Si tratta di un’eventualità che trova l’opposizione di tutte le componenti scolastiche e del movimento “Priorità alla scuola”, che lunedì 13 ha esposto ai presidenti regionali, e segnatamente all’emiliano Bonaccini, presidente della Conferenza delle regioni, il suo dissenso rispetto all’accettazione, da parte dei presidenti stessi, delle Linee guida del Ministero per la ripresa e di finanziamenti troppo esigui da parte del Ministero.
Ma, francamente, dai presidenti delle Regioni non c’era da aspettarsi granché.
Sul tema della didattica a distanza, che potrebbe dunque, in forme più o meno estese, ritornare a essere impiegata, è uscito nei giorni scorsi un rapporto della Fondazione Openpolis che pone in relazione disuguaglianze digitali e povertà educativa. Tale rapporto si pone in continuità con molte delle osservazioni che sono state sviluppate da più parti sulla didattica a distanza, confermando che il divario digitale che esiste tra gli alunni accresce le disuguaglianze nella fruizione del diritto allo studio ed è un’ulteriore dimensione della povertà educativa.
In realtà, partendo dal divario digitale, il rapporto di Openpolis traccia un quadro che deve far vergognare i tanti tronfi predicatori dell’Italia come “grande potenza economica”. Infatti, le cause del divario digitale si connettono immediatamente alla condizione di vita dei giovani, in particolare con la constatazione che la povertà – non solo educativa, ma economica – aumenta con il diminuire dell’età; in pratica la fascia dei minori 0-17 anni è quella dove, in percentuale, ci sono più poveri.
Un fattore legato alle condizioni familiari che incide negativamente sulla possibilità di fruire di corsi a distanza è quello del sovraffollamento dell’abitazione, che riguarda ben il 41,9% dei minori, mentre il 7% tra questi vive un disagio abitativo, vale a dire case buie, malsane o in condizioni precarie. In tali condizioni è evidentemente difficile trovare la tranquillità e la concentrazione necessarie per la didattica a distanza.
Venendo a dati più strettamente connessi con il possesso di dispositivi digitali, il rapporto Openpolis evidenzia che il 12,3% dei minori non ha alcun dispositivo in casa e il 5,3% delle famiglie dichiara di non potersi permettere l’acquisto di un PC. Il 57% dei minori non possiede un dispositivo personale, vale a dire che deve condividerlo con fratelli, sorelle e genitori; solo il 6,1% delle famiglie dispone di un pc per ciascun componente.
A questi dati va aggiunto il grande divario nella possibilità di connessione tra poli e aree interne; in vaste aree del paese non è possibile disporre di connessioni rapide, problema a cui nessun governo ha saputo dare soluzione. In una situazione come quella descritta un ritorno, anche per il prossimo anno, alla didattica a distanza potrebbe causare ulteriori disparità tra gli alunni e aumentare la povertà educativa. Il rischio è che il distanziamento fisico diventi distanziamento sociale di classe.
Esiste infine un problema su cui pochi si sono sinora soffermati, riguardante più il versante pedagogico che non quello didattico. L’educazione dei bambini, nella nostra società, non è affidata esclusivamente alla famiglia e proprio per questo esiste l’istituzione dell’educazione obbligatoria che si estrinseca attraverso la scuola, come è anche previsto dalla Costituzione italiana.
Inoltre, per la loro crescita psicologica e per la conquista dell’autonomia, i bambini/e e i ragazzi/e hanno bisogno di spazi e ambiti in cui confrontarsi con la realtà a prescindere dalla loro famiglia e in autonomia rispetto ai genitori. Potremmo dire, con un termine oggi molto usato, che la scuola agisce in funzione di “distanziamento” necessario dai genitori, affinché il bambino possa costruire la propria autonomia e identità in un mondo ampio e che non preveda un controllo familiare.
Anche per questo, è importante che le scuole riaprano e che i bambini possano riprendere a navigare nel sociale, costruendovi relazioni più vaste e autonome rispetto all’ambito familiare. La didattica a distanza, di cui si fruisce in casa e, in diverse occasioni, come si è verificato, con la partecipazione e l’aiuto dei genitori, tende invece a rinchiudere il bambino all’interno della relazione parentale e non favorisce, di conseguenza, il suo sviluppo autonomo e indipendente negando tra l’altro la relazione e l’apprendimento tra pari.
Credo che anche questo aspetto debba essere tenuto in conto, poiché è uno degli elementi che sostanzia l’affermazione, più volte proposta, per cui il bambino ha bisogno della scuola come contatto sociale modulandola sull’acquisizione di autonomia e sviluppo dell’identità.
Per tutte queste ragioni, è importante continuare a lavorare, nelle prossime settimane, affinché il rientro a scuola avvenga davvero in presenza, e non sia dimezzato o sostituito in parte dalla didattica a distanza.
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18/07/2020
09/07/2020
Scuola: avvicinare o distanziare?
Il governo Conte ci ha ormai abituati alla proliferazione di Comitati tecnici, scientifici, di esperti, di “saggi” che si dimostrano variamente inefficienti, ma che sono accomunati, in genere, solo dal proporre soluzioni ispirate al più rigoroso liberismo.
Anche nel decreto “semplificazioni” sono indicate ben 36 grandi opere che saranno gestite da un commissario. Sarebbe stato quindi strano che di fronte al problema della riapertura degli istituti a settembre, con una Ministra in stato confusionale e i dirigenti scolastici sull’orlo di una crisi di nervi, non si nominasse un commissario straordinario per la scuola. Forse perché era a cena nella pizzeria vicino a Palazzo Chigi, forse perché aveva già il suo numero in memoria nel cellulare, Conte ha scelto Domenico Arcuri, che cumula quindi questa carica con quella di commissario all’emergenza Covid-19.
Tutti hanno sotto gli occhi la scarsa efficacia del lavoro svolto da Arcuri come commissario all’emergenza Covid, che non depone certo bene per il suo nuovo incarico, ma soprattutto ci sembra che tale nomina sia un’operazione demagogica per far credere a un’efficienza che non c’è e per nascondere, ancora una volta, che la sola linea d’azione che sarebbe utile, quella di un reale piano di assunzioni di personale e di investimenti strutturali nell’edilizia scolastica, non la si vuole seguire.
L’emergenza ha fatto esplodere problemi vecchi che i lavoratori della scuola denunciavano da anni: un organico insufficiente e anziano, un patrimonio edilizio malandato, classi troppo numerose. Problemi rispetto ai quali il Ministero si è sempre comportato nascondendo la polvere sotto il tappeto. Oggi è difficile continuare a celare i problemi irrisolti da anni, cui si aggiunge l’evidenza sempre più chiara delle differenze nel diritto allo studio, sino alle vere e proprie discriminazioni e negazioni di tale diritto avvenute nel periodo della cosiddetta didattica a distanza.
Sarebbe assolutamente necessaria una profonda riflessione pedagogica e politica che ribaltasse le linee di condotta seguite dai governi degli ultimi trent’anni e che assumesse la drammatica situazione di oggi per rimediare agli errori del passato. Invece, la Ministra Azzolina si entusiasma per i “banchi singoli di nuova generazione” arrivando persino a dire che potrebbero rappresentare un’“innovazione didattica”.
Un compito di Arcuri sarebbe proprio quello di dotare le scuole primarie e secondarie di primo grado di tali banchi, per una spesa di circa un miliardo. Come un mobile, e in particolare quella sorta di trespolo-gabbietta su ruote che viene definito “banco di nuova generazione” possa costituire un’innovazione didattica non è dato sapere. È evidente che una scuola che si basa sulla molteplicità delle attività e delle forme di relazione educativa ha bisogno di arredi facilmente adattabili alle varie esigenze, ma è sempre il progetto educativo che decide quale arredo serve, non certo il contrario. E comunque quei trespoli non sembrano una gran trovata.
Soprattutto, sembra che al Ministero sfugga una contraddizione di fondo, certamente di non facile risoluzione, ma che dovrebbe essere assunta come centrale e che è molto più importante delle mascherine, dei disinfettanti e dei banchi. Si parla di distanziamento sociale, ma la funzione della scuola è quella di avvicinare, unire, cooperare, quindi il contrario del distanziare. È evidente che siamo in un momento molto particolare, ma probabilmente proprio sulla risoluzione di tale contraddizione si dovrebbero concentrare gli sforzi del Ministero, chiamando al confronto pedagogisti, psicologici e magari, finalmente, anche qualche docente.
Intendo dire che, visto che si tratta di scuola, si dovrebbe assumere la priorità della questione pedagogica e su questa base trovare delle soluzioni organizzative. Forse anche costose, ma per una volta si darebbe veramente quella priorità alla scuola per la quale pochi giorni fa si sono riempite le piazze italiane.
Altrimenti si tornerà alle pericolose soluzioni fai-da-te che già si sentono circolare.
Proprio oggi ho potuto ascoltare l’intervista alla dirigente scolastica di una scuola milanese in cui sono presenti un istituto tecnico e un liceo. Questa dirigente già immaginava una ripresa in presenza per il primo ordine di studi e una modalità mista – non si sa organizzata come – di “presenza” e “a distanza” per il liceo.
Ciò conferma, evidentemente, che le differenze di classe, che si esprimono nella scelta della scuola, contano sulla possibilità di seguire la didattica a distanza, ma soprattutto che in alcune situazioni quest’ultima forma didattica rischia di diventare endemica peggio di un virus.
Ed è un rischio da scongiurare.
Fonte
Anche nel decreto “semplificazioni” sono indicate ben 36 grandi opere che saranno gestite da un commissario. Sarebbe stato quindi strano che di fronte al problema della riapertura degli istituti a settembre, con una Ministra in stato confusionale e i dirigenti scolastici sull’orlo di una crisi di nervi, non si nominasse un commissario straordinario per la scuola. Forse perché era a cena nella pizzeria vicino a Palazzo Chigi, forse perché aveva già il suo numero in memoria nel cellulare, Conte ha scelto Domenico Arcuri, che cumula quindi questa carica con quella di commissario all’emergenza Covid-19.
Tutti hanno sotto gli occhi la scarsa efficacia del lavoro svolto da Arcuri come commissario all’emergenza Covid, che non depone certo bene per il suo nuovo incarico, ma soprattutto ci sembra che tale nomina sia un’operazione demagogica per far credere a un’efficienza che non c’è e per nascondere, ancora una volta, che la sola linea d’azione che sarebbe utile, quella di un reale piano di assunzioni di personale e di investimenti strutturali nell’edilizia scolastica, non la si vuole seguire.
L’emergenza ha fatto esplodere problemi vecchi che i lavoratori della scuola denunciavano da anni: un organico insufficiente e anziano, un patrimonio edilizio malandato, classi troppo numerose. Problemi rispetto ai quali il Ministero si è sempre comportato nascondendo la polvere sotto il tappeto. Oggi è difficile continuare a celare i problemi irrisolti da anni, cui si aggiunge l’evidenza sempre più chiara delle differenze nel diritto allo studio, sino alle vere e proprie discriminazioni e negazioni di tale diritto avvenute nel periodo della cosiddetta didattica a distanza.
Sarebbe assolutamente necessaria una profonda riflessione pedagogica e politica che ribaltasse le linee di condotta seguite dai governi degli ultimi trent’anni e che assumesse la drammatica situazione di oggi per rimediare agli errori del passato. Invece, la Ministra Azzolina si entusiasma per i “banchi singoli di nuova generazione” arrivando persino a dire che potrebbero rappresentare un’“innovazione didattica”.
Un compito di Arcuri sarebbe proprio quello di dotare le scuole primarie e secondarie di primo grado di tali banchi, per una spesa di circa un miliardo. Come un mobile, e in particolare quella sorta di trespolo-gabbietta su ruote che viene definito “banco di nuova generazione” possa costituire un’innovazione didattica non è dato sapere. È evidente che una scuola che si basa sulla molteplicità delle attività e delle forme di relazione educativa ha bisogno di arredi facilmente adattabili alle varie esigenze, ma è sempre il progetto educativo che decide quale arredo serve, non certo il contrario. E comunque quei trespoli non sembrano una gran trovata.
Soprattutto, sembra che al Ministero sfugga una contraddizione di fondo, certamente di non facile risoluzione, ma che dovrebbe essere assunta come centrale e che è molto più importante delle mascherine, dei disinfettanti e dei banchi. Si parla di distanziamento sociale, ma la funzione della scuola è quella di avvicinare, unire, cooperare, quindi il contrario del distanziare. È evidente che siamo in un momento molto particolare, ma probabilmente proprio sulla risoluzione di tale contraddizione si dovrebbero concentrare gli sforzi del Ministero, chiamando al confronto pedagogisti, psicologici e magari, finalmente, anche qualche docente.
Intendo dire che, visto che si tratta di scuola, si dovrebbe assumere la priorità della questione pedagogica e su questa base trovare delle soluzioni organizzative. Forse anche costose, ma per una volta si darebbe veramente quella priorità alla scuola per la quale pochi giorni fa si sono riempite le piazze italiane.
Altrimenti si tornerà alle pericolose soluzioni fai-da-te che già si sentono circolare.
Proprio oggi ho potuto ascoltare l’intervista alla dirigente scolastica di una scuola milanese in cui sono presenti un istituto tecnico e un liceo. Questa dirigente già immaginava una ripresa in presenza per il primo ordine di studi e una modalità mista – non si sa organizzata come – di “presenza” e “a distanza” per il liceo.
Ciò conferma, evidentemente, che le differenze di classe, che si esprimono nella scelta della scuola, contano sulla possibilità di seguire la didattica a distanza, ma soprattutto che in alcune situazioni quest’ultima forma didattica rischia di diventare endemica peggio di un virus.
Ed è un rischio da scongiurare.
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08/06/2020
Scuola: l’anno che verrà
“Se si perdono i ragazzi più difficili la scuola non è più scuola. È
un ospedale che cura i sani e respinge i malati (Don Milani)”.
Da alcuni giorni è stato approvato il decreto scuola con il quale di fatto si legifera di salvare questo strano e osceno anno scolastico. Ovviamente l’indecenza viene coperta con la solita vuota retorica scolastica che elogia l’obbiettivo di aver messo gli studenti al centro degli interessi della repubblica, che è stata comunque garantita, nonostante l’epidemia, la qualità dell’istruzione e il diritto allo studio.
Nel decreto si stabiliscono tra l’altro, la modalità dello svolgimento degli esami di stato sia per scuola media che per le superiori, l’abolizione del voto nella scuola primaria con il ritorno al giudizio descrittivo, il concorso per la messa in ruolo degli insegnati, il conferimento fino al 31/12/2020 di poteri commissariali ai sindaci per intervenire sull’edilizia scolastica, i nuovi percorsi abilitanti per i neo laureati, modifiche alle graduatorie per i supplenti e altro.
La ministra dell’istruzione ha commentato: “È un provvedimento nato in piena emergenza che consente di chiudere regolarmente l’anno scolastico in corso. Il testo è stato migliorato durante l’iter parlamentare grazie al lavoro responsabile della maggioranza di governo. Con l’obiettivo di mettere al centro gli studenti e garantire qualità dell’istruzione. Ora definiamo le linee guida per settembre, per riportare gli studenti a scuola, in presenza e in sicurezza”.
Dalle linee guida per settembre elaborate dal CTS (il Comitato Tecnico Scientifico sono 18 esperti nominati dal ministero dell’istruzione nel quale troviamo un solo docente di scuola il resto sono presidi, provveditori,docenti di università pubbliche e private, Ceo, amministratori di imprese private, istituzioni private ecc..) che sono state anticipate troviamo: lezioni di 45’ invece di 60’ (ciò in mancanza di un potenziamento degli organici permetterebbe di far effettuare ad ogni docente nell’arco delle sue 18 ore settimanali 24 lezioni di 45’) con la panzana di permettere di gestire il complicato mosaico di orari e la ipotetica divisione delle classi a metà, al fine di rispettare le regole per il distanziamento e impedire pericolose aggregazioni. A tal fine i dirigenti scolastici sentito il collegio dei docenti, potranno usare la ghigliottina dell’autonomia per ridurre la durata delle lezioni in un campo di tolleranza tra i 40 e i 50 minuti.
Ma non è finita qui. La creatività degli esperti ha prodotto altre brillanti idee quali: l’ingresso scaglionato delle classi distanziato di 15’, la possibilità di lezioni pomeridiane, l’utilizzo di altri ambienti extrascolastici per poter fare lezione, il rastrellamento di tutti gli spazi ampi disponibili nella scuola per sopperire alla mancanza di spazi adeguati alle classi pollaio e altro ancora.
Per quanto riguarda invece i box in plexiglas da adibire a postazione alunni, sembra siano necessarie ulteriori disposizioni che dovrebbero riguardare banchi a due posti e non singoli. Rimane il fatto che se si devono rispettare i due metri di distanza tra alunno all’interno delle classi. I problemi non possono certamente essere risolti mantenendo il numero di classi e di organici ATA e docenti ai livelli attuali, calibrati con i parametri pre covid-19. Come si vede la confusione è ancora molta e al peggio non c’è mai fine.
Il giudizio analitico a posteriori è certamente molto negativo.
Questa ministra non sembra brillare per esperienza a cui si congiunge una sottile propensione verso un dirigismo che richiama i poco simpatici satrapi assiro babilonesi. È bene ricordare che “le regole edificano fortificazioni dietro le quali delle piccole menti s’innalzano al rango di satrapi. Una faccenda già pericolosa nei momenti migliori, e disastrosa nei momenti di crisi (F.Herbert da: La rifondazione di Dune)”.
La politica dovrebbe rifarsi al buon senso e ai principi costituzionali che mettono l’istruzione al centro degli interessi di un paese civile. Troppe volte la scuola italiana è stata un fondo cassa delle politiche di austerità che di fatto l’hanno smantellata. Occorre un cambio di direzione e investimenti continui, legati ad una visione di un modello educativo, lontano dalla cupidigia neoliberista e teso verso un’istruzione senza fini aziendalistici o di mercato, un’istruzione pubblica e gratuita, assicurata a tutti.
La ragionevolezza avrebbe dovuto spingere nei tre mesi di chiusura ad un confronto con chi lavora su campo, nelle classi, negli uffici, nei laboratori, con le famiglie e con gli studenti. Insomma occorreva rivolgersi a quella comunità educante che è la scuola e non ad un pool di esperti chiusi della loro torre d’avorio a dispensare come sacerdoti le loro visioni mistiche lontane dalla realtà fattuale che si respira e si vive tutti i giorni nelle classi.
La scuola è stata la prima istituzione ad essere chiusa e sarà l’ultima istituzione ad essere aperta, nel mezzo ci stanno tre mesi di vuoto a perdere, alunni lasciati affogati nella loro solitudine con le famiglie che facevano, quando andava bene, da tutor, con docenti che cercavano di far funzionare, in autoformazione e con mezzi propri, ben oltre l’orario di servizio, la didattica a distanza.
Quest’ultimo punto è particolarmente doloroso in quanto si è aperto un portone all’ingresso di egemonie culturali tipicamente nord americane che per mezzo delle loro piattaforme educative, ci impongono la loro cultura con i volti del telelavoro e della didattica a distanza, contaminando pericolosamente il modello educativo verso una scuola strumentale al modello produttivo, con possibili pericolose future ricadute sul lavoro e sulla costruzione di soggettività prone alle dinamiche del mercato e allo sfruttamento.
Fonte
Da alcuni giorni è stato approvato il decreto scuola con il quale di fatto si legifera di salvare questo strano e osceno anno scolastico. Ovviamente l’indecenza viene coperta con la solita vuota retorica scolastica che elogia l’obbiettivo di aver messo gli studenti al centro degli interessi della repubblica, che è stata comunque garantita, nonostante l’epidemia, la qualità dell’istruzione e il diritto allo studio.
Nel decreto si stabiliscono tra l’altro, la modalità dello svolgimento degli esami di stato sia per scuola media che per le superiori, l’abolizione del voto nella scuola primaria con il ritorno al giudizio descrittivo, il concorso per la messa in ruolo degli insegnati, il conferimento fino al 31/12/2020 di poteri commissariali ai sindaci per intervenire sull’edilizia scolastica, i nuovi percorsi abilitanti per i neo laureati, modifiche alle graduatorie per i supplenti e altro.
La ministra dell’istruzione ha commentato: “È un provvedimento nato in piena emergenza che consente di chiudere regolarmente l’anno scolastico in corso. Il testo è stato migliorato durante l’iter parlamentare grazie al lavoro responsabile della maggioranza di governo. Con l’obiettivo di mettere al centro gli studenti e garantire qualità dell’istruzione. Ora definiamo le linee guida per settembre, per riportare gli studenti a scuola, in presenza e in sicurezza”.
Dalle linee guida per settembre elaborate dal CTS (il Comitato Tecnico Scientifico sono 18 esperti nominati dal ministero dell’istruzione nel quale troviamo un solo docente di scuola il resto sono presidi, provveditori,docenti di università pubbliche e private, Ceo, amministratori di imprese private, istituzioni private ecc..) che sono state anticipate troviamo: lezioni di 45’ invece di 60’ (ciò in mancanza di un potenziamento degli organici permetterebbe di far effettuare ad ogni docente nell’arco delle sue 18 ore settimanali 24 lezioni di 45’) con la panzana di permettere di gestire il complicato mosaico di orari e la ipotetica divisione delle classi a metà, al fine di rispettare le regole per il distanziamento e impedire pericolose aggregazioni. A tal fine i dirigenti scolastici sentito il collegio dei docenti, potranno usare la ghigliottina dell’autonomia per ridurre la durata delle lezioni in un campo di tolleranza tra i 40 e i 50 minuti.
Ma non è finita qui. La creatività degli esperti ha prodotto altre brillanti idee quali: l’ingresso scaglionato delle classi distanziato di 15’, la possibilità di lezioni pomeridiane, l’utilizzo di altri ambienti extrascolastici per poter fare lezione, il rastrellamento di tutti gli spazi ampi disponibili nella scuola per sopperire alla mancanza di spazi adeguati alle classi pollaio e altro ancora.
Per quanto riguarda invece i box in plexiglas da adibire a postazione alunni, sembra siano necessarie ulteriori disposizioni che dovrebbero riguardare banchi a due posti e non singoli. Rimane il fatto che se si devono rispettare i due metri di distanza tra alunno all’interno delle classi. I problemi non possono certamente essere risolti mantenendo il numero di classi e di organici ATA e docenti ai livelli attuali, calibrati con i parametri pre covid-19. Come si vede la confusione è ancora molta e al peggio non c’è mai fine.
Il giudizio analitico a posteriori è certamente molto negativo.
Questa ministra non sembra brillare per esperienza a cui si congiunge una sottile propensione verso un dirigismo che richiama i poco simpatici satrapi assiro babilonesi. È bene ricordare che “le regole edificano fortificazioni dietro le quali delle piccole menti s’innalzano al rango di satrapi. Una faccenda già pericolosa nei momenti migliori, e disastrosa nei momenti di crisi (F.Herbert da: La rifondazione di Dune)”.
La politica dovrebbe rifarsi al buon senso e ai principi costituzionali che mettono l’istruzione al centro degli interessi di un paese civile. Troppe volte la scuola italiana è stata un fondo cassa delle politiche di austerità che di fatto l’hanno smantellata. Occorre un cambio di direzione e investimenti continui, legati ad una visione di un modello educativo, lontano dalla cupidigia neoliberista e teso verso un’istruzione senza fini aziendalistici o di mercato, un’istruzione pubblica e gratuita, assicurata a tutti.
La ragionevolezza avrebbe dovuto spingere nei tre mesi di chiusura ad un confronto con chi lavora su campo, nelle classi, negli uffici, nei laboratori, con le famiglie e con gli studenti. Insomma occorreva rivolgersi a quella comunità educante che è la scuola e non ad un pool di esperti chiusi della loro torre d’avorio a dispensare come sacerdoti le loro visioni mistiche lontane dalla realtà fattuale che si respira e si vive tutti i giorni nelle classi.
La scuola è stata la prima istituzione ad essere chiusa e sarà l’ultima istituzione ad essere aperta, nel mezzo ci stanno tre mesi di vuoto a perdere, alunni lasciati affogati nella loro solitudine con le famiglie che facevano, quando andava bene, da tutor, con docenti che cercavano di far funzionare, in autoformazione e con mezzi propri, ben oltre l’orario di servizio, la didattica a distanza.
Quest’ultimo punto è particolarmente doloroso in quanto si è aperto un portone all’ingresso di egemonie culturali tipicamente nord americane che per mezzo delle loro piattaforme educative, ci impongono la loro cultura con i volti del telelavoro e della didattica a distanza, contaminando pericolosamente il modello educativo verso una scuola strumentale al modello produttivo, con possibili pericolose future ricadute sul lavoro e sulla costruzione di soggettività prone alle dinamiche del mercato e allo sfruttamento.
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06/08/2015
L’isteria contro i 5stelle, Vendola, Azzollini, l’isteria dei 5 stelle. La politica ormai è barbarie
Nel breve volgere di due settimane – o poco più – si sono verificati una serie di eventi che meritano un commento di costume. Abbiamo iniziato con il M5s escluso da tutte le presidenze e vice presidenze di commissione alla Camera, poi è venuto il rinvio a giudizio di Nichi Vendola per la questione Ilva di Taranto, poi è venuto il voto del Senato su Azzollini che ha scatenato un uragano dentro e fuori del Pd. Il tutto dà una rivoltante sensazione di degrado irrefrenabile.
Iniziamo dalle commissioni parlamentari. A leggere la stampa, uno capisce che i 5stelle si sono volontariamente isolati dagli altri, suicidandosi. Poi scopri, grazie ad una precisazione di Danilo Toninelli, che le cose sono andate così: il Pd aveva proposto ai 5 stelle di confermare i loro vice presidenti (anzi, qualcuno faceva pensare che si sarebbe offerta la sostituzione degli ex, in modo che il gruppo mantenesse la sua area di influenza, recuperando le posizioni perse con gli abbandoni), solo che, in cambio, pretendeva che i 5 stelle avallassero senza storie le proprie candidature per la Corte Costituzionale. Come si sa, sono tre i giudici da eleggere e il Pd li vuole tutti e tre per essere sicuro che sulla legge elettorale la Corte non faccia scherzi. Una cosa mai successa prima: i giudici costituzionali, sono sempre stati divisi, per convenzione, sulla base dei rapporti di forza in aula, tre alla maggioranza e due alle opposizioni sulla base della consistenza dei gruppi parlamentari. Un criterio discutibile se vogliamo (ed i 5 stelle hanno posto il problema di un metodo meno spartitorio) ma che almeno evitava l’asso-prende-tutto. Per cui, a nessuno sarebbe venuto in mente di barattare i posti di giudice costituzionale con quelli di altre cariche come presidenze e vice presidenze di commissione. Ma il Pd renziano ci ha abituato ad ogni abominio per cui figuriamoci se c’è da meravigliarsi. Tuttavia, la notizia da dare è proprio questa ennesima violazione della prassi parlamentare per cui il secondo partito italiano si trova fuori da tutti gli incarichi parlamentari (o quasi), ma questo non interessa a nessuno dei signori che gestiscono i media ed ai quali interessa solo dipingere ogni volta il m5s come una accolita di pazzi, settari, incapaci di fare politica ecc ecc. Una reazione isterica al voto del 2013, che ha mandato in frantumi il giocattolo della falsa alternativa fra centro-destra e centro-sinistra e di cui non è stato ancora elaborato il lutto. Pertanto i 5stelle devono sparire e bisogna criminalizzarli a tutti i costi. E questa è l’isteria anti 5stelle.
Subito dopo è venuta la questione del rinvio a giudizio di Vendola e, subito il web si è spaccato in due fazioni ugualmente sorde: quelli che accusano la Procura tarantina di aver montato un caso politico per colpire un leader della sinistra radicale e quelli per i quali Nichi è sicuramente colpevole, perché già colpevole di ogni ignominia politica. Conoscendo personalmente, per uno scherzo del destino, tanto l’accusato quanto l’accusatore, ho cercato di dire che il magistrato è una persona seria che mai farebbe uso del suo potere per fini politici e che l’accusato, cui possono essere addebitati molti torti politici e troppe leggerezze, non è un ladro ma una persona onesta. Sono stato travolto anche io dagli anti-Nichi che sono arrivati ad accusarmi di essere di Sel (a me?!??!).
Che Vendola si sia ripetutamente scontrato con l’Ilva, che abbia voluto una legge regionale fortemente osteggiata dall’Ilva, che non ci sia lo straccio, non dico di una prova, ma di un indizio di un passaggio di soldi, tutto questo non conta nulla, tutto cancellato da quella indecente telefonata fra Vendola ed Archinà (per la quale mi sono vergognato per Vendola, ma che non è una prova di rapporto corruttivo). Quindi, il rinvio a giudizio ci sta, perché le apparenze della concussione possono esserci, ma questo non è una sentenza di colpevolezza e sono convinto che Nichi ne uscirà, perché sarà chiarita la natura e l’entità di queste “pressioni” sull’Arpa, probabilmente indebite, ma al di qua di quello che giuridicamente costituisce il reato di concussione. A proposito, conosco bene la differenza fra corruzione e concussione, e so che Nichi è accusato della seconda e non della prima, ma il titolo, che ha sollevato qualche protesta, era il tentativo di sintetizzare un ragionamento: normalmente il concussore impone al concusso una dazione di denaro (“ti do quello a cui hai diritto solo se mi paghi”), qui il discorso è più complesso perché al concusso non è stato chiesto denaro, ma una attenuazione del suo giudizio professionale per favorire l’Ilva. Da cui il retro-pensiero: ma a Vendola cosa gliene veniva? Evidentemente l’Ilva gli avrà dato qualcosa. E dunque, il sospetto di corruzione che, però, formalmente non è nei termini del rinvio a giudizio. Io ho voluto dire che Vendola non è un corrotto e, dunque, è dubbio anche che possa essere davvero un concussore. Poi in due righe di titolo non si può fare un ragionamento così complesso e si spera che il lettore legga anche quello che c’è scritto nell’articolo.
E veniamo al caso Azzollini: il respingimento da parte dell’aula del Senato del suo arresto ha scatenato le ire di Lega e M5s che hanno ululato all’indirizzo del Pd “avete salvato un delinquente... fate schifo!”. E questa è l’isteria dei cinquestelle. Ormai siamo agli opposti isterismi.
Proviamo a ragionare con calma, se ci riesce. Prima di tutto teniamo ben a mente un dato: se si parla di indagine giudiziaria e persino di intercettazioni, la questione riguarda il singolo parlamentare, ma se si tratta di arresto, prima ancora che il singolo, la questione investe il Parlamento in quanto tale, perché altera i rapporti numerici fra i diversi schieramenti e, quindi, fra maggioranza ed opposizione. Ne deriva che il mandato d’arresto per un parlamentare deve essere una misura eccezionalissima e deve essere assunta con cautela ancora maggiore di quella che pure si dovrebbe usare sempre nei confronti di qualsiasi cittadino (e che non sempre, diciamo, i magistrati usano).
Il Parlamento non è un giudice di legittimità e non è suo compito pronunciarsi sulla fondatezza degli atti giudiziari e deve solo accertare che non ci sia il fumus persecutionis (fumus, cioè sospetto, non certezza), siamo d’accordo. Però, se un magistrato chiede l’arresto di un parlamentare (cosa, come abbiamo detto, che deve essere misura del tutto eccezionale) e non motiva questa sua richiesta, non specificando se si tema la fuga all’estero, la reiterazione del reato o l’inquinamento delle prove, la sua richiesta è di per sé “sospetta” e come tale va respinta.
Se fossi stato parlamentare non solo avrei votato contro, ma non mi sarei limitato a farlo nel segreto dell’urna, lo avrei dichiarato apertamente assumendomene tutte le responsabilità politiche, anche se questa posizione fosse stata in conflitto con il mio gruppo. Perché, altra cosa su cui conviene fare chiarezza, quando si tratta di decisioni giudiziarie o para giudiziarie (come è nel caso delle autorizzazioni a procedere del Parlamento) non esiste e non deve esistere alcuna disciplina di gruppo, il parlamentare deve (insisto: DEVE) votare sempre secondo coscienza. Scandalo perché il capo gruppo Pd Zanda ha “concesso” ai suoi di votare secondo coscienza? Semmai lo scandalo è che questa cosa ovvia sia presentata come una concessione. Siccome a me non piace dire a nuora perché suocera intenda e piace parlare direttamente alla suocera, preciso di avercela proprio con i miei amici 5stelle: vincolare il comportamento di un parlamentare alla disciplina di gruppo, in materie come la decisione sulla libertà di una persona, è un comportamento degno della più indecente partitocrazia. Strano, per un movimento che si proclama contro i partiti, non vi pare?
Un senatore pentastellato ha ruggito all’indirizzo di quelli del Pd: “Il Pd ha sconfessato la magistratura!”; perché, da qualche parte c’è scritto che il Parlamento è tenuto a dare pronta e rispettose esecuzione ai voleri giudiziari?
Quelli del Pd, hanno sconfessato i magistrati? E, per una volta hanno fatto benissimo (adesso qualche imbecille mi accuserà di essere del Pd e renziano): i magistrati stanno prendendo un’abitudine da correggere subito, chiedere il mandato d’arresto per un deputato ogni due per tre. Siamo già a quota sei. Allora che qualcuno gli ricordi che questa deve essere una misura eccezionalissima e non una usanza come l’aperitivo prima di cena, è cosa buona e giusta. Poi che i magistrati procedano nelle indagini e mandino in galera (quella vera) i politici che delinquono, ma niente anticipazioni di pena e questo vale per i cittadini comuni, per i quali la carcerazione preventiva deve essere una eccezione motivata da esigenze istruttorie ed ancor più per i parlamentari per i quali deve essere una super-eccezione. Nello stato di diritto retto sulla separazione dei poteri, ognuno faccia il suo mestiere e non invada il campo altrui.
Cari amici 5stelle, non si può invocare la legalità nei giorni pari e stravolgere le garanzie di legge nei giorni dispari: vi pare?
Se poi volete dirmi che sarebbe il caso di affidare ad un organo terzo la decisione sull’autorizzazione a procedere contro i parlamentari, visto che le assemblee politiche sono congenitamente inadatte a questo scopo, siamo del tutto d’accordo e se volete stendiamo insieme un progetto di revisione costituzionale in questo senso. Ma evitiamo le sceneggiate.
E di sceneggiate ce n’è stata anche a proposito di una recensione dell’Espresso al libro curato da Roberto Biorcio sul M5s, recensione uscita il giorno dopo della votazione su Azzollini, e subito letta come un attacco al movimento per distrarre dal caso in questione. Ora: quell’articolo era sicuramente stato preparato prima, ma per di più, il libro non è affatto anti-5stelle e lo dico con cognizione di causa perché l’ho presentato io il 29 giugno alla casa della cultura di Milano e devo aggiungere che il curatore, Biorcio, è stato anche più simpatetico con il M5s di me che avanzavo alcune mie critiche. Insomma: la vogliamo finire di parlare prima di pensare? (e adesso qualche altro imbecille dirà che io sono un nemico del M5s).
Il guaio è che la politica in questo paese, a partire dalla sciagurata stagione di Mani Pulite, ha subito un imbarbarimento totale: non c’è più distinzione fra giudizio politico e giudizio penale, ormai è comune l’idea di abbattere il nemico giovandosi della stampella giudiziaria, il garantismo non si usa più nemmeno citarlo e mi chiedo quanti ancora ne conoscano il significato, a nessuno viene più in mente che si possono e si debbono riconoscere le ragioni dell’avversario senza peraltro smettere di scontrarsi politicamente, non c’è più cultura dello Stato di diritto e della separazione dei poteri. Non c’è hostis ma solo inimicus e non c’è più confronto politico ma duello rusticano con tutti i mezzi: finiremo per scontrarci con le clave. Che schifo di paese sta diventando questo e non solo per i politici che rubano.
Fonte
Iniziamo dalle commissioni parlamentari. A leggere la stampa, uno capisce che i 5stelle si sono volontariamente isolati dagli altri, suicidandosi. Poi scopri, grazie ad una precisazione di Danilo Toninelli, che le cose sono andate così: il Pd aveva proposto ai 5 stelle di confermare i loro vice presidenti (anzi, qualcuno faceva pensare che si sarebbe offerta la sostituzione degli ex, in modo che il gruppo mantenesse la sua area di influenza, recuperando le posizioni perse con gli abbandoni), solo che, in cambio, pretendeva che i 5 stelle avallassero senza storie le proprie candidature per la Corte Costituzionale. Come si sa, sono tre i giudici da eleggere e il Pd li vuole tutti e tre per essere sicuro che sulla legge elettorale la Corte non faccia scherzi. Una cosa mai successa prima: i giudici costituzionali, sono sempre stati divisi, per convenzione, sulla base dei rapporti di forza in aula, tre alla maggioranza e due alle opposizioni sulla base della consistenza dei gruppi parlamentari. Un criterio discutibile se vogliamo (ed i 5 stelle hanno posto il problema di un metodo meno spartitorio) ma che almeno evitava l’asso-prende-tutto. Per cui, a nessuno sarebbe venuto in mente di barattare i posti di giudice costituzionale con quelli di altre cariche come presidenze e vice presidenze di commissione. Ma il Pd renziano ci ha abituato ad ogni abominio per cui figuriamoci se c’è da meravigliarsi. Tuttavia, la notizia da dare è proprio questa ennesima violazione della prassi parlamentare per cui il secondo partito italiano si trova fuori da tutti gli incarichi parlamentari (o quasi), ma questo non interessa a nessuno dei signori che gestiscono i media ed ai quali interessa solo dipingere ogni volta il m5s come una accolita di pazzi, settari, incapaci di fare politica ecc ecc. Una reazione isterica al voto del 2013, che ha mandato in frantumi il giocattolo della falsa alternativa fra centro-destra e centro-sinistra e di cui non è stato ancora elaborato il lutto. Pertanto i 5stelle devono sparire e bisogna criminalizzarli a tutti i costi. E questa è l’isteria anti 5stelle.
Subito dopo è venuta la questione del rinvio a giudizio di Vendola e, subito il web si è spaccato in due fazioni ugualmente sorde: quelli che accusano la Procura tarantina di aver montato un caso politico per colpire un leader della sinistra radicale e quelli per i quali Nichi è sicuramente colpevole, perché già colpevole di ogni ignominia politica. Conoscendo personalmente, per uno scherzo del destino, tanto l’accusato quanto l’accusatore, ho cercato di dire che il magistrato è una persona seria che mai farebbe uso del suo potere per fini politici e che l’accusato, cui possono essere addebitati molti torti politici e troppe leggerezze, non è un ladro ma una persona onesta. Sono stato travolto anche io dagli anti-Nichi che sono arrivati ad accusarmi di essere di Sel (a me?!??!).
Che Vendola si sia ripetutamente scontrato con l’Ilva, che abbia voluto una legge regionale fortemente osteggiata dall’Ilva, che non ci sia lo straccio, non dico di una prova, ma di un indizio di un passaggio di soldi, tutto questo non conta nulla, tutto cancellato da quella indecente telefonata fra Vendola ed Archinà (per la quale mi sono vergognato per Vendola, ma che non è una prova di rapporto corruttivo). Quindi, il rinvio a giudizio ci sta, perché le apparenze della concussione possono esserci, ma questo non è una sentenza di colpevolezza e sono convinto che Nichi ne uscirà, perché sarà chiarita la natura e l’entità di queste “pressioni” sull’Arpa, probabilmente indebite, ma al di qua di quello che giuridicamente costituisce il reato di concussione. A proposito, conosco bene la differenza fra corruzione e concussione, e so che Nichi è accusato della seconda e non della prima, ma il titolo, che ha sollevato qualche protesta, era il tentativo di sintetizzare un ragionamento: normalmente il concussore impone al concusso una dazione di denaro (“ti do quello a cui hai diritto solo se mi paghi”), qui il discorso è più complesso perché al concusso non è stato chiesto denaro, ma una attenuazione del suo giudizio professionale per favorire l’Ilva. Da cui il retro-pensiero: ma a Vendola cosa gliene veniva? Evidentemente l’Ilva gli avrà dato qualcosa. E dunque, il sospetto di corruzione che, però, formalmente non è nei termini del rinvio a giudizio. Io ho voluto dire che Vendola non è un corrotto e, dunque, è dubbio anche che possa essere davvero un concussore. Poi in due righe di titolo non si può fare un ragionamento così complesso e si spera che il lettore legga anche quello che c’è scritto nell’articolo.
E veniamo al caso Azzollini: il respingimento da parte dell’aula del Senato del suo arresto ha scatenato le ire di Lega e M5s che hanno ululato all’indirizzo del Pd “avete salvato un delinquente... fate schifo!”. E questa è l’isteria dei cinquestelle. Ormai siamo agli opposti isterismi.
Proviamo a ragionare con calma, se ci riesce. Prima di tutto teniamo ben a mente un dato: se si parla di indagine giudiziaria e persino di intercettazioni, la questione riguarda il singolo parlamentare, ma se si tratta di arresto, prima ancora che il singolo, la questione investe il Parlamento in quanto tale, perché altera i rapporti numerici fra i diversi schieramenti e, quindi, fra maggioranza ed opposizione. Ne deriva che il mandato d’arresto per un parlamentare deve essere una misura eccezionalissima e deve essere assunta con cautela ancora maggiore di quella che pure si dovrebbe usare sempre nei confronti di qualsiasi cittadino (e che non sempre, diciamo, i magistrati usano).
Il Parlamento non è un giudice di legittimità e non è suo compito pronunciarsi sulla fondatezza degli atti giudiziari e deve solo accertare che non ci sia il fumus persecutionis (fumus, cioè sospetto, non certezza), siamo d’accordo. Però, se un magistrato chiede l’arresto di un parlamentare (cosa, come abbiamo detto, che deve essere misura del tutto eccezionale) e non motiva questa sua richiesta, non specificando se si tema la fuga all’estero, la reiterazione del reato o l’inquinamento delle prove, la sua richiesta è di per sé “sospetta” e come tale va respinta.
Se fossi stato parlamentare non solo avrei votato contro, ma non mi sarei limitato a farlo nel segreto dell’urna, lo avrei dichiarato apertamente assumendomene tutte le responsabilità politiche, anche se questa posizione fosse stata in conflitto con il mio gruppo. Perché, altra cosa su cui conviene fare chiarezza, quando si tratta di decisioni giudiziarie o para giudiziarie (come è nel caso delle autorizzazioni a procedere del Parlamento) non esiste e non deve esistere alcuna disciplina di gruppo, il parlamentare deve (insisto: DEVE) votare sempre secondo coscienza. Scandalo perché il capo gruppo Pd Zanda ha “concesso” ai suoi di votare secondo coscienza? Semmai lo scandalo è che questa cosa ovvia sia presentata come una concessione. Siccome a me non piace dire a nuora perché suocera intenda e piace parlare direttamente alla suocera, preciso di avercela proprio con i miei amici 5stelle: vincolare il comportamento di un parlamentare alla disciplina di gruppo, in materie come la decisione sulla libertà di una persona, è un comportamento degno della più indecente partitocrazia. Strano, per un movimento che si proclama contro i partiti, non vi pare?
Un senatore pentastellato ha ruggito all’indirizzo di quelli del Pd: “Il Pd ha sconfessato la magistratura!”; perché, da qualche parte c’è scritto che il Parlamento è tenuto a dare pronta e rispettose esecuzione ai voleri giudiziari?
Quelli del Pd, hanno sconfessato i magistrati? E, per una volta hanno fatto benissimo (adesso qualche imbecille mi accuserà di essere del Pd e renziano): i magistrati stanno prendendo un’abitudine da correggere subito, chiedere il mandato d’arresto per un deputato ogni due per tre. Siamo già a quota sei. Allora che qualcuno gli ricordi che questa deve essere una misura eccezionalissima e non una usanza come l’aperitivo prima di cena, è cosa buona e giusta. Poi che i magistrati procedano nelle indagini e mandino in galera (quella vera) i politici che delinquono, ma niente anticipazioni di pena e questo vale per i cittadini comuni, per i quali la carcerazione preventiva deve essere una eccezione motivata da esigenze istruttorie ed ancor più per i parlamentari per i quali deve essere una super-eccezione. Nello stato di diritto retto sulla separazione dei poteri, ognuno faccia il suo mestiere e non invada il campo altrui.
Cari amici 5stelle, non si può invocare la legalità nei giorni pari e stravolgere le garanzie di legge nei giorni dispari: vi pare?
Se poi volete dirmi che sarebbe il caso di affidare ad un organo terzo la decisione sull’autorizzazione a procedere contro i parlamentari, visto che le assemblee politiche sono congenitamente inadatte a questo scopo, siamo del tutto d’accordo e se volete stendiamo insieme un progetto di revisione costituzionale in questo senso. Ma evitiamo le sceneggiate.
E di sceneggiate ce n’è stata anche a proposito di una recensione dell’Espresso al libro curato da Roberto Biorcio sul M5s, recensione uscita il giorno dopo della votazione su Azzollini, e subito letta come un attacco al movimento per distrarre dal caso in questione. Ora: quell’articolo era sicuramente stato preparato prima, ma per di più, il libro non è affatto anti-5stelle e lo dico con cognizione di causa perché l’ho presentato io il 29 giugno alla casa della cultura di Milano e devo aggiungere che il curatore, Biorcio, è stato anche più simpatetico con il M5s di me che avanzavo alcune mie critiche. Insomma: la vogliamo finire di parlare prima di pensare? (e adesso qualche altro imbecille dirà che io sono un nemico del M5s).
Il guaio è che la politica in questo paese, a partire dalla sciagurata stagione di Mani Pulite, ha subito un imbarbarimento totale: non c’è più distinzione fra giudizio politico e giudizio penale, ormai è comune l’idea di abbattere il nemico giovandosi della stampella giudiziaria, il garantismo non si usa più nemmeno citarlo e mi chiedo quanti ancora ne conoscano il significato, a nessuno viene più in mente che si possono e si debbono riconoscere le ragioni dell’avversario senza peraltro smettere di scontrarsi politicamente, non c’è più cultura dello Stato di diritto e della separazione dei poteri. Non c’è hostis ma solo inimicus e non c’è più confronto politico ma duello rusticano con tutti i mezzi: finiremo per scontrarci con le clave. Che schifo di paese sta diventando questo e non solo per i politici che rubano.
Fonte
29/07/2015
Il Senato salva Azzollini. Pd e Forza Italia compatti...
Ricordate quelli che solo due anni fa ancora vi intimidivano con l'indice alzato ("vota Pd, sennò vince Berlusconi")? Ricordate i girotondi?
Beh, il risultato è questo: il Senato ha votato a stragrande maggioranza il "no" all'arresto di Antonio Azzollini, ex presidente della Commissione bilancio di Palazzo Madama. Arresti domiciliari, peraltro, neanhce in carcere, richiesti dalla Procura di Trani per la vicenda della casa di cura Divina Provvidenza.
Dopo una valutazione molto più "terrena", la Commissione per le immunità aveva autorevolmente espresso il suo parere: sì all'arresto.
Ma - dopo aver opportunamente chiesto il voto segreto - la maggioranza assoluta (due terzi, non si mettono insieme neanche per le riforme costituzionali...) formata da Pd, alfaniani, berlusconiani e verdiniani ha stabilito che "basta, i magistrati la devono finire di mandarci in galera". Sono unti dal signore, mica ladruncoli di periferia (per quelli "la pena di morte, ci vuole").
189 no, 96 sì e 17 astenuti, tutelati dal segreto. Ufficialmente a favore dell'arresto si sono espressi soltanto il Movimento 5 Stelle (36 senatori) e Sel (7).
Solo dei complici abituati a trarsi d'impiccio col puro potere possono fare una cosa del genere. E applaudire il risultato dell'oscena votazione...
Fonte
Beh, il risultato è questo: il Senato ha votato a stragrande maggioranza il "no" all'arresto di Antonio Azzollini, ex presidente della Commissione bilancio di Palazzo Madama. Arresti domiciliari, peraltro, neanhce in carcere, richiesti dalla Procura di Trani per la vicenda della casa di cura Divina Provvidenza.
Dopo una valutazione molto più "terrena", la Commissione per le immunità aveva autorevolmente espresso il suo parere: sì all'arresto.
Ma - dopo aver opportunamente chiesto il voto segreto - la maggioranza assoluta (due terzi, non si mettono insieme neanche per le riforme costituzionali...) formata da Pd, alfaniani, berlusconiani e verdiniani ha stabilito che "basta, i magistrati la devono finire di mandarci in galera". Sono unti dal signore, mica ladruncoli di periferia (per quelli "la pena di morte, ci vuole").
189 no, 96 sì e 17 astenuti, tutelati dal segreto. Ufficialmente a favore dell'arresto si sono espressi soltanto il Movimento 5 Stelle (36 senatori) e Sel (7).
Solo dei complici abituati a trarsi d'impiccio col puro potere possono fare una cosa del genere. E applaudire il risultato dell'oscena votazione...
Fonte
23/06/2015
Il caso Azzollini e la riforma del Parlamento
Come prevedevo, il mio pezzo sul caso Azzollini ha provocato diversi dissensi fra i lettori, cosa comprensibilissima, dato il giustificatissimo odio per i politici che, però, può abbagliare.
Ovviamente io credo che se un parlamentare ha fatto reati è giusto che paghi, su questo non si discute, ma secondo quanto stabiliscono le leggi. E’ bene che ci ricordiamo una cosa: non si può chiedere, insieme, legalitarismo e giustizia sommaria. Se protesti contro Mafia Capitale, chiedi la punizione dei corrotti ecc. in nome del rispetto della legalità, ecc. poi non puoi essere “disinvolto” nell’applicazione delle norme di procedura: se vuoi il rispetto delle leggi devi essere il primo a rispettare la legge. Insomma: sbatteteli pure tutti in galera e buttate via la chiave, ma dopo un processo regolare. Ci siamo? Ed allora qualche precisazione può essere utile.
Il problema si presenta sotto due aspetti: quello parlamentare e quello penale-personale.
Sul primo aspetto va detto che le norme a tutela del parlamentare (ma anche del Presidente della Repubblica e dei Giudici costituzionali) non sono dei privilegi riservati ad alcune persone e di cui il verbo populista vorrebbe l’abrogazione, perché il parlamentare sia trattato come qualsiasi cittadino. Sono norme a tutela delle istituzioni: del Parlamento, della Presidenza della Repubblica, della Corte Costituzionale. Lo Stato di Diritto funziona sulla separazione dei poteri e, se volete lo Stato di Diritto, dovete tenervi anche queste norme che schermano un potere verso l’altro. Di qui l’autorizzazione a procedere: il parlamentare, il Presidente della Repubblica, i giudici Costituzionali non possono essere trattati come qualsiasi cittadino, perché non sono cittadini qualsiasi, ma rivestono incarichi rilevanti per la sicurezza dell’ordinamento giuridico dello Stato. E, infatti, la speciale tutela, cessa allo scadere del mandato.
Peraltro, questo non significa che, in assoluto, un parlamentare non debba essere arrestato qualsiasi cosa faccia, ma che per poterlo trarre in arresto ci voglia un’autorizzazione a procedere che è data (dovrebbe essere data) sulla base di valutazioni di merito, caso per caso, per accertarsi che dietro la richiesta di arresto non ci sia altro rispetto alla fattispecie penale. In fondo, se un politico può essere sospetto di essere un malfattore, non c’è nessuna ragione per escludere che anche un magistrato possa esserlo. O pensate che i magistrati godano di uno speciale status morale che li rende immuni da sospetti? In criminologia ed in democrazia nessuno è al di sopra dei sospetti.
Veniamo all’aspetto penale-personale del cittadino Azzollini (non del senatore). Il magistrato ha tutto il diritto di indagare, raccogliere prove e, se dovesse ritenere che ve ne siano a sufficienza, rinviarlo a giudizio. Sin qui la questione è pacifica. Il problema riguarda l’arresto che, contrariamente a quanto molti pensano, non è un anticipo di pena, ma una misura a tutela del processo, per cui può essere chiesta solo in tre casi: quando ci sia pericolo di fuga all’estero, quando vi sia il timore che l’indagato possa ripetere il reato e quando si pensa che possa inquinare le prove, minacciare testimoni ecc. Si badi che non si tratta di casi generici per cui, in quanto indiziato sei sospetto di voler scappare all’estero, ripetere il reato o inquinare le prove. Se bastasse essere indiziati di reato per essere ipso facto sospetti di questi comportamenti, non ci sarebbe ragione di precisarli nel codice di procedura ma (come era nel codice fascista restato in vigore sino al 1989) ci sarebbe il “mandato di cattura obbligatorio” in base alla gravità del reato. E neppure può bastare la personalità dell’indagato a motivare l’arresto, per cui un pregiudicato, ad esempio, è più sospetto di comportamenti come quelli descritti di uno che non lo è. Il magistrato terrà conto anche delle qualità personali dell’indagato, ma questo dato da solo non basta. Occorre che ci siano elementi concreti per suffragare l’ipotesi che motivi la misura cautelare. Ad esempio: un indagato ha fatto movimenti bancari sospetti spostando i suoi capitali all’estero, si sa che sta cercando di procurarsi un passaporto falso, ha affittato una casa in un paese in cui non ci sono accordi per l’estradizione ecc.: questo fa pensare che si stia preparando a prendere il volo. Dunque, vorremmo sapere sulla base di quali elementi la procura tranese ha ritenuto di emettere il mandato d’arresto sottoponendolo alla Giunta per le autorizzazioni a procedere. Sin qui, le dichiarazioni dei componenti la giunta non ci dicono nulla: Casson dichiara che secondo lui la richiesta sia ben fatta e che non ci sono dubbi per accoglierla. Va bene, ma in concreto cosa c’è? Giarrusso dice che Azzollini non ha risposto in modo soddisfacente alle domande sul merito della vicenda. Va bene, ma sul merito deciderà la magistratura e non spetta alla giunta occuparsene, qui dobbiamo decidere se ci sono elementi per pensare che Azzollini ripeta il reato, stia per scappare all’estero o stia per inquinare le prove. Ci sono elementi su questo? Se ci sono si dia l’autorizzazione a procedere senza nessuna esitazione, ma, per cortesia, potete renderci edotti sull’argomento?
Il punto più generale è un altro. Per l’ennesima volta, il caso Azzollini dimostra che il sistema fa acqua. Che ci siano norme a tutela dei parlamentari va benissimo, ma è giusto che questo filtro sia affidato allo stesso Parlamento? E’ inevitabile che i parlamentari giudichino in termini politici, ma, quando si tratta di misure personali e, per di più, di carattere penale, i criteri politici devono restare fuori della porta ed occorre decidere sul merito con criteri di giustizia. Qui, invece, accade che, nei tempi tranquilli, siano respinte anche le richieste di arresto più sacrosante e ben motivate, nei tempi di tempesta, quando l’opinione pubblica è “sotto botta” per una qualche raffica di scandali, si decida di buttare in pasto alle belve il primo che capita, senza manco dare un’occhiata alle carte. Poi, per uno si fa barriera perché è troppo importante negli equilibri di un partito che è determinante per la vita del governo, per un altro no, perché non è tanto importante. Vi sembra decente?
Questo è un uso criminale del potere di autorizzare l’arresto perché prescinde totalmente dai criteri di giustizia e considera solo le opportunità politiche, quel che finisce per screditare ulteriormente il Parlamento.
Ma, questo è il punto, potrebbe essere diversamente? Se affidiamo questo potere a dei politici, è possibile che non facciano prevalere valutazioni di ordine politico? Siamo seri: al di là del merito della posizione di Azzollini, di Castiglione o di chiunque altro, se il Pd votasse contro l’autorizzazione a procedere mentre è in atto Mafia Capitale, sarebbe linciato, quindi cerca di salvarsi in corner. D’altra parte, è ovvio che il partito di Azzollini voti contro in ogni caso. Oppure: è immaginabile un M5s che voti contro l’arresto? Il M5s “deve” essere colpevolista a prescindere... Ma questo è accettabile?
Anzi, a pensarci bene, non è proprio accettabile che i membri della giunta decidano per appartenenza di gruppo: ognuno dovrebbe votare secondo coscienza, sulla base delle sole considerazioni giuridiche. Ma accadrà mai?
Ormai sembra opportuno togliere questa facoltà al Parlamento ed affidarla ad un organo terzo, magari con componenti a rotazione, per evitare “scambi impropri”.
Ad esempio, potremmo avere una giunta per le autorizzazioni esterna al Parlamento, composta da personalità (scelte fra avvocati, magistrati in pensione, docenti di diritto) iscritte in un albo speciale rinnovato ogni sette anni e dal quale estrarre a sorte, di volta in volta , i cinque membri del collegio giudicante. E l’albo potrebbe essere composto in parte per nomina parlamentare (possibilmente dal solo Senato cui affidare esclusivamente i compiti di garanzia e controllo, differenziandolo dalla Camera cui resterebbero in esclusiva i compiti di indirizzo politico) in parte di nomina presidenziale, in parte indicati dalle magistrature superiori.
Non sarebbe il massimo, ma sarebbe già meglio di ora.
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Ovviamente io credo che se un parlamentare ha fatto reati è giusto che paghi, su questo non si discute, ma secondo quanto stabiliscono le leggi. E’ bene che ci ricordiamo una cosa: non si può chiedere, insieme, legalitarismo e giustizia sommaria. Se protesti contro Mafia Capitale, chiedi la punizione dei corrotti ecc. in nome del rispetto della legalità, ecc. poi non puoi essere “disinvolto” nell’applicazione delle norme di procedura: se vuoi il rispetto delle leggi devi essere il primo a rispettare la legge. Insomma: sbatteteli pure tutti in galera e buttate via la chiave, ma dopo un processo regolare. Ci siamo? Ed allora qualche precisazione può essere utile.
Il problema si presenta sotto due aspetti: quello parlamentare e quello penale-personale.
Sul primo aspetto va detto che le norme a tutela del parlamentare (ma anche del Presidente della Repubblica e dei Giudici costituzionali) non sono dei privilegi riservati ad alcune persone e di cui il verbo populista vorrebbe l’abrogazione, perché il parlamentare sia trattato come qualsiasi cittadino. Sono norme a tutela delle istituzioni: del Parlamento, della Presidenza della Repubblica, della Corte Costituzionale. Lo Stato di Diritto funziona sulla separazione dei poteri e, se volete lo Stato di Diritto, dovete tenervi anche queste norme che schermano un potere verso l’altro. Di qui l’autorizzazione a procedere: il parlamentare, il Presidente della Repubblica, i giudici Costituzionali non possono essere trattati come qualsiasi cittadino, perché non sono cittadini qualsiasi, ma rivestono incarichi rilevanti per la sicurezza dell’ordinamento giuridico dello Stato. E, infatti, la speciale tutela, cessa allo scadere del mandato.
Peraltro, questo non significa che, in assoluto, un parlamentare non debba essere arrestato qualsiasi cosa faccia, ma che per poterlo trarre in arresto ci voglia un’autorizzazione a procedere che è data (dovrebbe essere data) sulla base di valutazioni di merito, caso per caso, per accertarsi che dietro la richiesta di arresto non ci sia altro rispetto alla fattispecie penale. In fondo, se un politico può essere sospetto di essere un malfattore, non c’è nessuna ragione per escludere che anche un magistrato possa esserlo. O pensate che i magistrati godano di uno speciale status morale che li rende immuni da sospetti? In criminologia ed in democrazia nessuno è al di sopra dei sospetti.
Veniamo all’aspetto penale-personale del cittadino Azzollini (non del senatore). Il magistrato ha tutto il diritto di indagare, raccogliere prove e, se dovesse ritenere che ve ne siano a sufficienza, rinviarlo a giudizio. Sin qui la questione è pacifica. Il problema riguarda l’arresto che, contrariamente a quanto molti pensano, non è un anticipo di pena, ma una misura a tutela del processo, per cui può essere chiesta solo in tre casi: quando ci sia pericolo di fuga all’estero, quando vi sia il timore che l’indagato possa ripetere il reato e quando si pensa che possa inquinare le prove, minacciare testimoni ecc. Si badi che non si tratta di casi generici per cui, in quanto indiziato sei sospetto di voler scappare all’estero, ripetere il reato o inquinare le prove. Se bastasse essere indiziati di reato per essere ipso facto sospetti di questi comportamenti, non ci sarebbe ragione di precisarli nel codice di procedura ma (come era nel codice fascista restato in vigore sino al 1989) ci sarebbe il “mandato di cattura obbligatorio” in base alla gravità del reato. E neppure può bastare la personalità dell’indagato a motivare l’arresto, per cui un pregiudicato, ad esempio, è più sospetto di comportamenti come quelli descritti di uno che non lo è. Il magistrato terrà conto anche delle qualità personali dell’indagato, ma questo dato da solo non basta. Occorre che ci siano elementi concreti per suffragare l’ipotesi che motivi la misura cautelare. Ad esempio: un indagato ha fatto movimenti bancari sospetti spostando i suoi capitali all’estero, si sa che sta cercando di procurarsi un passaporto falso, ha affittato una casa in un paese in cui non ci sono accordi per l’estradizione ecc.: questo fa pensare che si stia preparando a prendere il volo. Dunque, vorremmo sapere sulla base di quali elementi la procura tranese ha ritenuto di emettere il mandato d’arresto sottoponendolo alla Giunta per le autorizzazioni a procedere. Sin qui, le dichiarazioni dei componenti la giunta non ci dicono nulla: Casson dichiara che secondo lui la richiesta sia ben fatta e che non ci sono dubbi per accoglierla. Va bene, ma in concreto cosa c’è? Giarrusso dice che Azzollini non ha risposto in modo soddisfacente alle domande sul merito della vicenda. Va bene, ma sul merito deciderà la magistratura e non spetta alla giunta occuparsene, qui dobbiamo decidere se ci sono elementi per pensare che Azzollini ripeta il reato, stia per scappare all’estero o stia per inquinare le prove. Ci sono elementi su questo? Se ci sono si dia l’autorizzazione a procedere senza nessuna esitazione, ma, per cortesia, potete renderci edotti sull’argomento?
Il punto più generale è un altro. Per l’ennesima volta, il caso Azzollini dimostra che il sistema fa acqua. Che ci siano norme a tutela dei parlamentari va benissimo, ma è giusto che questo filtro sia affidato allo stesso Parlamento? E’ inevitabile che i parlamentari giudichino in termini politici, ma, quando si tratta di misure personali e, per di più, di carattere penale, i criteri politici devono restare fuori della porta ed occorre decidere sul merito con criteri di giustizia. Qui, invece, accade che, nei tempi tranquilli, siano respinte anche le richieste di arresto più sacrosante e ben motivate, nei tempi di tempesta, quando l’opinione pubblica è “sotto botta” per una qualche raffica di scandali, si decida di buttare in pasto alle belve il primo che capita, senza manco dare un’occhiata alle carte. Poi, per uno si fa barriera perché è troppo importante negli equilibri di un partito che è determinante per la vita del governo, per un altro no, perché non è tanto importante. Vi sembra decente?
Questo è un uso criminale del potere di autorizzare l’arresto perché prescinde totalmente dai criteri di giustizia e considera solo le opportunità politiche, quel che finisce per screditare ulteriormente il Parlamento.
Ma, questo è il punto, potrebbe essere diversamente? Se affidiamo questo potere a dei politici, è possibile che non facciano prevalere valutazioni di ordine politico? Siamo seri: al di là del merito della posizione di Azzollini, di Castiglione o di chiunque altro, se il Pd votasse contro l’autorizzazione a procedere mentre è in atto Mafia Capitale, sarebbe linciato, quindi cerca di salvarsi in corner. D’altra parte, è ovvio che il partito di Azzollini voti contro in ogni caso. Oppure: è immaginabile un M5s che voti contro l’arresto? Il M5s “deve” essere colpevolista a prescindere... Ma questo è accettabile?
Anzi, a pensarci bene, non è proprio accettabile che i membri della giunta decidano per appartenenza di gruppo: ognuno dovrebbe votare secondo coscienza, sulla base delle sole considerazioni giuridiche. Ma accadrà mai?
Ormai sembra opportuno togliere questa facoltà al Parlamento ed affidarla ad un organo terzo, magari con componenti a rotazione, per evitare “scambi impropri”.
Ad esempio, potremmo avere una giunta per le autorizzazioni esterna al Parlamento, composta da personalità (scelte fra avvocati, magistrati in pensione, docenti di diritto) iscritte in un albo speciale rinnovato ogni sette anni e dal quale estrarre a sorte, di volta in volta , i cinque membri del collegio giudicante. E l’albo potrebbe essere composto in parte per nomina parlamentare (possibilmente dal solo Senato cui affidare esclusivamente i compiti di garanzia e controllo, differenziandolo dalla Camera cui resterebbero in esclusiva i compiti di indirizzo politico) in parte di nomina presidenziale, in parte indicati dalle magistrature superiori.
Non sarebbe il massimo, ma sarebbe già meglio di ora.
Fonte
17/06/2015
Il caso Azzollini
Come è noto, nei prossimi giorni, la giunta per le autorizzazioni a procedere deciderà sulla richiesta della Procura di Trani di procedere all’arresto del senatore Antonio Azzollini, per lo scandalo della casa della Divina Provvidenza di Bisceglie.
Non intervengo nel merito della vicenda (peraltro, da pugliese, so bene quale cancro è sempre stata la Casa della Divina Provvidenza, il maggiore ospedale psichiatrico regionale), perché non è quello di cui voglio occuparmi in questa occasione. Il problema riguarda la possibilità di arrestare parlamentari.
Personalmente sono favorevolissimo alle indagini sugli esponenti politici, parlamentari e non (anche se delle intercettazioni si è fatto abbondante uso ed abuso) dato che lorsignori hanno fatto dell’autorizzazione a procedere lo scudo di tutte le loro malefatte, del che non se ne può più. Sono molto più prudente, invece, in materia di mandato di cattura per un parlamentare in carica, tanto più se si parla non di eseguire una condanna definitiva, ma solo di una misura cautelare in corso di istruttoria.
Il problema non è la garanzia del singolo parlamentare, ma quella del diritto d’Assemblea, perché l’arresto di un singolo parlamentare può cambiare maggioranze, alterare la composizione dei gruppi parlamentari (ad esempio potrebbe determinare lo scioglimento di un gruppo che vada “sotto quota”) avere riflessi su votazioni particolarmente delicate (Presidente della Repubblica, membri Consulta e Csm). Mi sembra che ci si debba guardare molto bene dal rischio di manovre politiche innescate in questo modo. Ed il fatto che oggi l’Ag che procede non sia sospettabile di simili calcoli, non vuol dire che il pericolo non possa presentarsi domani: l’importante è il precedente che si forma.
Per la verità questo caso non sarebbe esattamente un precedente in assoluto, ma contribuirebbe al formarsi di un pericoloso indirizzo. Questo non vuol dire che mai nessun parlamentare debba essere arrestato (diversamente la Costituzione lo proibirebbe esplicitamente), ma che si debba procedere con molta prudenza, valutando attentamente caso per caso. Non so cosa ci sia a carico del senatore Azzollini e per quali ragioni la procura tranese ne chieda l’arresto cautelativo. Escludo a rigor di logica che possa trattarsi di pericolo di fuga all’estero e mi sembra anche poco probabile che possa esserci il rischio di reiterazione del reato, in presenza di una inchiesta e comunque di condizioni materiali che lo rendano poco praticabile.
L’ipotesi più probabile è che possa esserci il rischio di inquinamento delle prove, e dovrebbe trattarsi di un rischio non puramente teorico, ma corroborato da precisi indizi di comportamenti concreti. Dunque, occorre studiare le carte per capire su quali basi i magistrati tranesi si siano indotti a chiedere una misura così pesante. E si immagina che i parlamentari ci vadano con i piedi di piombo prima di decidere su un loro collega. E, invece, sin qui la prassi era quella di respingere sempre e comunque questo tipo di richieste della magistratura, quali che fossero gli elementi addotti.
Adesso no, è cambiato il clima, bisogna dare qualcosa in pasto all’opinione pubblica e si decide di votare per l’autorizzazione all’arresto a prescindere da qualsiasi considerazione di merito.
Matteo Orfini ha già dichiarato che il Pd voterà per l’arresto “perché non c’è altro da fare” ed Alfano ha detto che lui ed i suoi voteranno no, ma che non ne fa un dramma da far cadere il governo, cosa che, invece accadrebbe se il Pd votasse per l’autorizzazione a procedere contro Giuseppe Castiglione suo braccio destro.
Non so se avete capito: Orfini, che è nella melma sino al collo per Mafia capitale, cerca di rifarsi una verginità (o di non peggiorare la situazione sua e del Pd) votando contro Azzolini, Alfano, molla Azzolini ma minaccia sfracelli se gli toccano Castiglione. Ed il Pd deve valutare se l’eventuale voto contro Castiglione faccia cadere il governo o no, per cui, i calcoli dell’algebra parlamentare dicono Azzollini si Castiglione no.
In tutto questo, non so se ve ne siete accorti, della concreta posizione personale dei due, degli elementi a loro carico, non gliene importa niente a nessuno. Potrebbe darsi che uno dei sue sia non sufficientemente indiziato e l’altro colpevolissimo e con valanghe di elementi a suo carico e, ugualmente si mandi in galera il primo e si salvi il secondo, perché così vogliono i calcoli di Palazzo.
Ma si può affidare la stabilità delle istituzioni repubblicane a simili figuri? A fare le cose in regola, prima dovremmo sbattere in galera Orfini ed Alfano, per l’uso criminale che fanno del loro potere, e dopo discutere di Azzollini e Castiglione.
La Costituzione, in mano a questi mercenari diventa solo carta per incartare il pesce. In queste condizioni, sono indotto a sostenere le ragioni di Azzollini, che avrà fatto anche più di quello di cui è accusato, ma ha diritto ad un regolare giudizio di merito, che prescinda dai calcoli politici.
Una cosa è certa: l’attuale soluzione all’equilibrio fra potere legislativo e potere giudiziario non funziona e va rivista, perché non si può lasciare la difesa dei principi della separazione dei poteri e dello Stato di Diritto in mano al Parlamento, così come costituito. La materia va ripensata.
Fonte
Non intervengo nel merito della vicenda (peraltro, da pugliese, so bene quale cancro è sempre stata la Casa della Divina Provvidenza, il maggiore ospedale psichiatrico regionale), perché non è quello di cui voglio occuparmi in questa occasione. Il problema riguarda la possibilità di arrestare parlamentari.
Personalmente sono favorevolissimo alle indagini sugli esponenti politici, parlamentari e non (anche se delle intercettazioni si è fatto abbondante uso ed abuso) dato che lorsignori hanno fatto dell’autorizzazione a procedere lo scudo di tutte le loro malefatte, del che non se ne può più. Sono molto più prudente, invece, in materia di mandato di cattura per un parlamentare in carica, tanto più se si parla non di eseguire una condanna definitiva, ma solo di una misura cautelare in corso di istruttoria.
Il problema non è la garanzia del singolo parlamentare, ma quella del diritto d’Assemblea, perché l’arresto di un singolo parlamentare può cambiare maggioranze, alterare la composizione dei gruppi parlamentari (ad esempio potrebbe determinare lo scioglimento di un gruppo che vada “sotto quota”) avere riflessi su votazioni particolarmente delicate (Presidente della Repubblica, membri Consulta e Csm). Mi sembra che ci si debba guardare molto bene dal rischio di manovre politiche innescate in questo modo. Ed il fatto che oggi l’Ag che procede non sia sospettabile di simili calcoli, non vuol dire che il pericolo non possa presentarsi domani: l’importante è il precedente che si forma.
Per la verità questo caso non sarebbe esattamente un precedente in assoluto, ma contribuirebbe al formarsi di un pericoloso indirizzo. Questo non vuol dire che mai nessun parlamentare debba essere arrestato (diversamente la Costituzione lo proibirebbe esplicitamente), ma che si debba procedere con molta prudenza, valutando attentamente caso per caso. Non so cosa ci sia a carico del senatore Azzollini e per quali ragioni la procura tranese ne chieda l’arresto cautelativo. Escludo a rigor di logica che possa trattarsi di pericolo di fuga all’estero e mi sembra anche poco probabile che possa esserci il rischio di reiterazione del reato, in presenza di una inchiesta e comunque di condizioni materiali che lo rendano poco praticabile.
L’ipotesi più probabile è che possa esserci il rischio di inquinamento delle prove, e dovrebbe trattarsi di un rischio non puramente teorico, ma corroborato da precisi indizi di comportamenti concreti. Dunque, occorre studiare le carte per capire su quali basi i magistrati tranesi si siano indotti a chiedere una misura così pesante. E si immagina che i parlamentari ci vadano con i piedi di piombo prima di decidere su un loro collega. E, invece, sin qui la prassi era quella di respingere sempre e comunque questo tipo di richieste della magistratura, quali che fossero gli elementi addotti.
Adesso no, è cambiato il clima, bisogna dare qualcosa in pasto all’opinione pubblica e si decide di votare per l’autorizzazione all’arresto a prescindere da qualsiasi considerazione di merito.
Matteo Orfini ha già dichiarato che il Pd voterà per l’arresto “perché non c’è altro da fare” ed Alfano ha detto che lui ed i suoi voteranno no, ma che non ne fa un dramma da far cadere il governo, cosa che, invece accadrebbe se il Pd votasse per l’autorizzazione a procedere contro Giuseppe Castiglione suo braccio destro.
Non so se avete capito: Orfini, che è nella melma sino al collo per Mafia capitale, cerca di rifarsi una verginità (o di non peggiorare la situazione sua e del Pd) votando contro Azzolini, Alfano, molla Azzolini ma minaccia sfracelli se gli toccano Castiglione. Ed il Pd deve valutare se l’eventuale voto contro Castiglione faccia cadere il governo o no, per cui, i calcoli dell’algebra parlamentare dicono Azzollini si Castiglione no.
In tutto questo, non so se ve ne siete accorti, della concreta posizione personale dei due, degli elementi a loro carico, non gliene importa niente a nessuno. Potrebbe darsi che uno dei sue sia non sufficientemente indiziato e l’altro colpevolissimo e con valanghe di elementi a suo carico e, ugualmente si mandi in galera il primo e si salvi il secondo, perché così vogliono i calcoli di Palazzo.
Ma si può affidare la stabilità delle istituzioni repubblicane a simili figuri? A fare le cose in regola, prima dovremmo sbattere in galera Orfini ed Alfano, per l’uso criminale che fanno del loro potere, e dopo discutere di Azzollini e Castiglione.
La Costituzione, in mano a questi mercenari diventa solo carta per incartare il pesce. In queste condizioni, sono indotto a sostenere le ragioni di Azzollini, che avrà fatto anche più di quello di cui è accusato, ma ha diritto ad un regolare giudizio di merito, che prescinda dai calcoli politici.
Una cosa è certa: l’attuale soluzione all’equilibrio fra potere legislativo e potere giudiziario non funziona e va rivista, perché non si può lasciare la difesa dei principi della separazione dei poteri e dello Stato di Diritto in mano al Parlamento, così come costituito. La materia va ripensata.
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12/06/2015
Richiesta d'arresto per Azzollini (Ncd), una mina per Renzi
Il governo della precarietà universale – per chi lavora – si scopre precario. E non gli piace affatto.
L'ultima grana è la richiesta di arresto della Procura di Trani per il senatore Antonio Azzollini, vecchio esponente berlusconiano passato con Alfano pur di restare in area governativa e far pesare il suo voto in una situazione – al Senato – dove la maggioranza è risicata. Azzollini è indagato per il crac della Divina Provvidenza (anche la scelta dei nomi per le società rivela un immaginario da presa per i fondelli), una catena di case di cura mandate in bancarotta per totale di 500 milioni euro. Sai quanti esodati della Fornero ci potevi sistemare...
L'inchiesta ha portato per ora all'arresto di dieci persone, comprese due suore (garanti per la provvidenza celeste?), con l'accusa di associazione a delinquere a fini di bancarotta fraudolenta. Manca solo l'arresto di Azzollini, appunto, per il quale sono stati comunque richiesti gli arresti domiciliari, senza passaggio per le patrie galere (mica è un pericoloso valsusino, lui...). Tra gli indagati a piede libero c'è anche un altro deputato, purtroppo per il Pd eletto grazie al Pd, Raffaele Di Gioia (Psi-Gruppo misto).
Gli altri arrestati sono invece un ex direttore generale, amministratori di fatto, consulenti e dipendenti dell’Ente.
Il presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere, Dario Stefano (Sel), ha convocato per oggi alle 14 l'ufficio di presidenza per calendarizzare la richiesta. Inevitabile dover decidere in fretta, perché il governo sta venendo in questi giorni preso in una tenaglia puzzolente, tra gli sviluppi di Mafia Capitale e altre inchieste minori, e le opposizioni – quella vera del Movimento 5 Stelle, quelle finte della destra smandrappata – non mancheranno di cogliere l'occasione per alzare i toni.
Ma la rogna per Renzi è maledettamente insidiosa. Al Senato i numeri sono ballerini e risicati, per la sua maggioranza. E anche un solo voto in meno può diventare determinante. Se dicono sì all'arresto si espongono al rischio numerico, se dicono no si danno la zappa sui piedi politicamente, incrementando la fuga degli iscritti e soprattutto quella del consenso sociale residuo.
La situazione è complicata dal valzer continuo dei cambiamenti di schieramento. Pochi giorni fa gli esponenti di Gal (ciò che restava del vecchio gruppo di parlamentari guidati da Mario Monti) si erano sfilati dalla maggioranza di governo, anche se soltanto alcuni (gli altri avevano preferito mantenere le poltrone da sottosegretario). Restano importanti in Commissione Affari Costituzionali, ma anche in altre commissioni la maggioranza non è tale, tra fuoriusciti dal Pd, da Forza Italia e dall'Ncd alfaniano.
Quest'ultima formazione è ormai una tela strappata, dove ognuno lavora per il proprio futuro (chi verso la Lega, chi verso il post-berlusconismo). E dove bisognerà vedere fino a che punto sarà tollerabile la pressione dello scandalo Mafia Capitale, che ha coinvolto Giuseppe Castiglione – l'uomo di Alfano in Sicilia, unico insediamento territoriale serio dell'Ncd – per le vicende del Cara di Mineo, hub della distribuzione dei migranti in tutta Italia.
Tanto più che lo stesso Azzolini è, eufemisticamente, una vera mina vagante. L'anno scorso, in occasione di un'altra richiesta di indagine da parte della magistratura, tenne sospeso il parere su Italicum e Jobs Act fin quando la Giunta non si pronunciò a suo favore. Ora potrebbe fare agevolmente il bis con il decreto sulla scuola o le altre riforme ora al Senato.
Il precedente più famoso è quello di Clemente Mastella, che nel 2008 rimase coinvolto in un'inchiesta giudiziaria assieme alla moglie e, non ottenendo solidarietà dal governo, votò contro la fiducia chiesta da Prodi, risultando determinante per la sua caduta.
Sarebbe divertente che il “rottamatore”, dopo aver avuto successo nel rendere totalmente "liquido" il Parlamento, seguisse la stessa strada, affogandovi. Ma non lo farà. Le “regole” sono completamente saltate. Se si può impunemente non eseguire una sentenza della Corte Costituzionale, rifiutare di far arrestare un senatore è una bazzecola...
Fonte
L'ultima grana è la richiesta di arresto della Procura di Trani per il senatore Antonio Azzollini, vecchio esponente berlusconiano passato con Alfano pur di restare in area governativa e far pesare il suo voto in una situazione – al Senato – dove la maggioranza è risicata. Azzollini è indagato per il crac della Divina Provvidenza (anche la scelta dei nomi per le società rivela un immaginario da presa per i fondelli), una catena di case di cura mandate in bancarotta per totale di 500 milioni euro. Sai quanti esodati della Fornero ci potevi sistemare...
L'inchiesta ha portato per ora all'arresto di dieci persone, comprese due suore (garanti per la provvidenza celeste?), con l'accusa di associazione a delinquere a fini di bancarotta fraudolenta. Manca solo l'arresto di Azzollini, appunto, per il quale sono stati comunque richiesti gli arresti domiciliari, senza passaggio per le patrie galere (mica è un pericoloso valsusino, lui...). Tra gli indagati a piede libero c'è anche un altro deputato, purtroppo per il Pd eletto grazie al Pd, Raffaele Di Gioia (Psi-Gruppo misto).
Gli altri arrestati sono invece un ex direttore generale, amministratori di fatto, consulenti e dipendenti dell’Ente.
Il presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere, Dario Stefano (Sel), ha convocato per oggi alle 14 l'ufficio di presidenza per calendarizzare la richiesta. Inevitabile dover decidere in fretta, perché il governo sta venendo in questi giorni preso in una tenaglia puzzolente, tra gli sviluppi di Mafia Capitale e altre inchieste minori, e le opposizioni – quella vera del Movimento 5 Stelle, quelle finte della destra smandrappata – non mancheranno di cogliere l'occasione per alzare i toni.
Ma la rogna per Renzi è maledettamente insidiosa. Al Senato i numeri sono ballerini e risicati, per la sua maggioranza. E anche un solo voto in meno può diventare determinante. Se dicono sì all'arresto si espongono al rischio numerico, se dicono no si danno la zappa sui piedi politicamente, incrementando la fuga degli iscritti e soprattutto quella del consenso sociale residuo.
La situazione è complicata dal valzer continuo dei cambiamenti di schieramento. Pochi giorni fa gli esponenti di Gal (ciò che restava del vecchio gruppo di parlamentari guidati da Mario Monti) si erano sfilati dalla maggioranza di governo, anche se soltanto alcuni (gli altri avevano preferito mantenere le poltrone da sottosegretario). Restano importanti in Commissione Affari Costituzionali, ma anche in altre commissioni la maggioranza non è tale, tra fuoriusciti dal Pd, da Forza Italia e dall'Ncd alfaniano.
Quest'ultima formazione è ormai una tela strappata, dove ognuno lavora per il proprio futuro (chi verso la Lega, chi verso il post-berlusconismo). E dove bisognerà vedere fino a che punto sarà tollerabile la pressione dello scandalo Mafia Capitale, che ha coinvolto Giuseppe Castiglione – l'uomo di Alfano in Sicilia, unico insediamento territoriale serio dell'Ncd – per le vicende del Cara di Mineo, hub della distribuzione dei migranti in tutta Italia.
Tanto più che lo stesso Azzolini è, eufemisticamente, una vera mina vagante. L'anno scorso, in occasione di un'altra richiesta di indagine da parte della magistratura, tenne sospeso il parere su Italicum e Jobs Act fin quando la Giunta non si pronunciò a suo favore. Ora potrebbe fare agevolmente il bis con il decreto sulla scuola o le altre riforme ora al Senato.
Il precedente più famoso è quello di Clemente Mastella, che nel 2008 rimase coinvolto in un'inchiesta giudiziaria assieme alla moglie e, non ottenendo solidarietà dal governo, votò contro la fiducia chiesta da Prodi, risultando determinante per la sua caduta.
Sarebbe divertente che il “rottamatore”, dopo aver avuto successo nel rendere totalmente "liquido" il Parlamento, seguisse la stessa strada, affogandovi. Ma non lo farà. Le “regole” sono completamente saltate. Se si può impunemente non eseguire una sentenza della Corte Costituzionale, rifiutare di far arrestare un senatore è una bazzecola...
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08/10/2014
Pd-Pdl, un partito solo. Non alle intercettazioni di Azzollini (Ncd)
Insieme alla stagione dell'Antimafia è finita anche "mani pulite". La prova? Dopo nove mesi d'attesa, la giunta per le autorizzazioni e per le le immunità del Senato ha deciso che la procura di Trani non potrà utilizzare le intercettazioni telefoniche che coinvolgono il senatore alfaniano Antonio Azzollini.
Il voto ha spaccato il Partito Democratico, con i renziani compatti a votare insieme a Forza Italia e Ncd, e la minoranza, rappresentata da Felice Casson, ex pubblico ministero nonché relatore sulla proposta di autorizzazione a procedere, costretto alle dimissioni. Tutto chiaro, insomma: c'è un solo "partito", che applica le prescrizioni dell'Unione Europea e della Troika per quanto riguarda Costituzione, politiche economiche e di bilancio, mercato del lavoro, e nel frattempo si comporta da mafioso sulle questioni interne alla "casta".
L'inchiesta della procura pugliese riguarda una "normale" storia di mazzette e favori intorno a lavori per il porto di Molfetta, di cui Azzollini era sindaco, per "appena" 150 milioni di euro. Nulla di clamoroso o di "eccezionale", dunque; semplicemente, si è voluto dire alla magistratura - tutta - che "i tempi sono cambiati, ora dovete farla finita; noi siamo e ci sentiamo intoccabili". Un vero "cabiare verso", in direzione della vecchissima Dc andreottiana.
In Senato, dunque, la giunta si presenterà proponendo di respingere la richiesta della procura di Trani. E meno male che da venti anni votate Pd, o Sel, "per evitare che torni Berlusconi"...
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