Presentazione
Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni
20/07/2025
La sanità privata continua ad arricchirsi e le liste di attesa continuano ad allungarsi
L’ultimo rapporto che annualmente Mediobanca produce per studiare i dati finanziari dei principali operatori sanitari privati in Italia, cioè quelli con fatturato individuale superiore a 100 milioni, associa oltre alle informazioni in merito anche alcune analisi sulle dinamiche e sulle prospettive della sanità italiana dentro un quadro internazionale.
Il primo numero che spicca è quello dei ricavi del 2023: 12 miliardi di euro, in aumento del 5,7% sul 2022 e del 15,5% sul 2019. Com’è immaginabile, le entrate hanno subito grandi turbolenze nell’era Covid, ma ora sembrano tornare a crescere stabilmente. Torna a crescere anche la redditività, anche se rimane inferiore a quella del 2019.
L’Ebit Margin, che tradotto sarebbe il guadagna su ogni singola ‘unità’ di ricavo, o per farla ancora più semplice la differenza tra i costi sostenuti per ogni vendita e quanto si è incassato, è passato al 3,7% del 2023 dal 2% del 2022. Ovviamente, i valori cambiano molto a seconda del comparto considerato: l’Ebit Margin maggiore si ha nella diagnostica, ad esempio (11%).
C’è poi il nodo liste d’attesa “che, insieme a motivi economici, hanno spinto quasi una persona su dieci nel 2024 a rinunciare a prestazioni sanitarie. Secondo l’IPSOS, i tempi di attesa hanno spinto l’80% degli italiani a rinunciare più di una volta alle cure del SSN, con l’84% di essi che si rivolge a un privato e il 13% che rinuncia del tutto a curarsi, quota che sale al 19% tra chi è in ristrettezze economiche”.
In sostanza, Mediobanca ci sta dicendo che lo smantellamento della sanità pubblica è stato costruito ad arte per costringere chi può a pagare il privato per accedere in tempi sensati al diritto alla salute. Chi non può, semplicemente, non si cura. Gli analisti dell’istituto lo mettono quasi nero su bianco, quando scrivono: “Queste dinamiche contribuiscono al rialzo della spesa privata pari a circa 74 miliardi di euro nel 2023 tra accreditamento, spesa intermediata e spesa diretta delle famiglie, ovvero 59 miliardi al netto degli acquisti di farmaci e altri presidi sanitari a carico delle famiglie”.
È grazie a queste dinamiche che, tolti farmaci e altre voci di spesa che sarebbero comunque a carico delle famiglie, la sanità privata si arricchisce.
Infatti, le previsioni fatte con i dati ad oggi disponibili per il 2024 stimano una crescita aggregata del giro d’affari pari al 4,8% nello scorso anno. E intanto, l’Italia è sotto la media OCSE nella spesa sanitaria pro-capite (pubblica e privata insieme) sia dal punto di vista nominale, sia dal punto di vista della percentuale del PIL (nel 2023 la media è 5.573 dollari e il 9,2% sul PIL, in Italia il dato si ferma a 4.800 dollari e all’8,4%).
Un ultimo numero, giusto per chiudere il quadro: nell’offerta di letti per lungodegenza, “l’Italia è nelle retrovie, considerando i circa 21 posti letto disponibili ogni mille abitanti over 65, nemmeno la metà della media OCSE”. Qualcuno si ricorda ancora il dibattito sulle liste dello scorso anno, o è stato dimenticato come dalla politica?
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05/02/2025
Italia - Un paese senza più prevenzione: si guadagna molto di più sulla malattia
La risposta ce l’aveva data, una settimana fa, la fondazione Gimbe richiamando l’attenzione sul fatto che, mentre il Decreto Legge sulle liste d’attesa del governo prevedeva almeno sei decreti attuativi, al 29 gennaio, nonostante gli annunci in pompa magna, risulta approvato un solo decreto attuativo. Degli altri, tre sono già scaduti (due da quasi 4 mesi e l’altro da quasi 5 mesi) e per due non è stata definita alcuna scadenza.
E sempre secondo il presidente della fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta: “Le riforme annunciate restano un esercizio retorico se non tradotte in azioni concrete, mentre il raggiungimento di risultati parziali è solo una magra consolazione politica, priva di reali benefici per la società”.
È seguita una violentissima reazione del senatore di Fratelli d’Italia, Franco Zaffini, presidente della commissione Sanità e Lavoro di palazzo Madama che ha accusato direttamente Cartabellotta “di mentire sul nostro Sistema sanitario nazionale” e di diffusione di fake news “al servizio delle strumentalizzazioni dei comunisti e dei loro cavalier serventi” (gomploddo comunista!).
Gli ha risposto Guido Quici, presidente della federazione sindacale dei medici Cimo-Fesmed: “Non c’è nessuna volontà reale di ridurre le lunghissime liste d’attesa a cui sono costrette le persone”.
Al netto della propaganda, la politica del governo sulla sanità è quanto mai chiara: con buona pace del diritto alla salute e della Costituzione (che quel diritto prevede) la domanda di cura e di servizi sanitari deve spostarsi sempre più verso l’offerta privata e verso la sanità in convenzione che prende fiumi di soldi pubblici e che, notoriamente, non vede margini di profitto nella prevenzione e nella medicina territoriale. Ne vede tanti, invece, nell’ospedalizzazione e nella malattia stessa.
La tragica esperienza del covid, purtroppo, non ha insegnato nulla.
Vedi anche qui.
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12/08/2024
Relazione del ministero della Salute, intramoenia ancora in aumento
Il governo ha fatto propaganda per mesi sulla risoluzione dell’annoso problema delle liste d’attesa. Il tutto, ovviamente, senza mettere i fondi necessari e senza mettere in discussione la tendenza alla riduzione dei servizi sanitari, in ossequioso rispetto dell’austerità europea, che peggiorerà presto con la procedura di infrazione già aperta da Bruxelles.
Il ricorso alla prestazione intramuraria, e dunque al privato, è diventata l’unica soluzione per avere molte visite in tempi decenti, pagando ovviamente di tasca propria. La Relazione del ministero, relativa al 2022, calcola che, a livello di spesa pro-capite, il peso per le tasche di ogni cittadino residente in Italia è stato pari a 20 euro.
Una media che però non rende conto di quali servizi sono più richiesti, mostrando dunque le carenze principali del Servizio Sanitario Nazionale. Si tratta delle prestazioni specialistiche (oltre il 68% della quota di attività), e in particolare sono richieste visite cardiologiche, ginecologiche e ortopediche.
E soprattutto, una media che non rende conto delle differenze regionali, che vedono una spesa pro-capite minore nelle aree meridionali. Ma bisogna ricordare che la Fondazione Gimbe certifica una forte mobilità sanitaria proprio dal Sud al Nord, e bisogna perciò tenere conto anche di questa dinamica – discriminante – nel valutare questi dati.
Se si guarda il quadro generale, la situazione poi fa tutto un altro effetto. I ricavi dell’intramoenia rispetto al 2021 sono aumentati dell’8%, arrivando a 1.177 milioni di euro, e anche i guadagni hanno avuto un incremento simile (+8,5%), passando da 235 milioni e mezzo a 256 milioni, seguendo – bisogna dirlo – l’aumento contemporaneo dei costi.
Facendo le somme, quello che appare è comunque una sanità pubblica in ritirata e su cui la classe politica fa solo retorica, continuando ad aprire spazi al privato. È assurdo pensare che a dare un duro colpo all’intramoenia, negli ultimi anni, è stato solo il Covid, e non il miglioramento dei servizi.
Un duro colpo che non era però equilibrato da un rafforzamento del pubblico, con una lunga serie di visite rimandate a data da destinarsi e i malati cronici che hanno vissuto un vero e proprio incubo.
Dicevano che la pandemia avrebbe dovuto far cambiare indirizzo sulla tutela della salute, cosa che evidentemente non è avvenuta. È chiaro che solo l’organizzazione e la lotta dei settori popolari potrà farlo.
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18/06/2024
La ricetta del governo Meloni sulla sanità: fare regali ai privati
A una settimana dalle elezioni europee il Governo Meloni ha presentato il “decreto Schillaci”, ovvero la promessa populista di Fratelli d’Italia di risolvere definitivamente l’annoso problema delle infinite liste d’attesa per l’accesso alle cure all’interno del sistema sanitario italiano (SSN). Il decreto, che prende il nome dal ministro della salute ed è accompagnato da un disegno di legge, strizza l’occhiolino ai privati convenzionati e mira a centralizzare la gestione delle prenotazioni.
Prima di spiegare in dettaglio il contenuto della misura, è utile fare un quadro complessivo della situazione del SSN italiano, ribadendo per l’ennesima volta la situazione disastrosa della sanità nazionale e le cause strutturali alle radici del problema.
Alcuni dati parlano da sé: nel 2023, 4,5 milioni di italiani hanno rinunciato a curarsi sia per ragioni economiche, sia per effetto delle liste d’attesa, che dopo la pandemia sono esplose e rendono impossibile accedere a visite ed esami nel Servizio sanitario. Altro dato impressionante, quello sui posti letto ospedalieri per 1000 abitanti, che oggi si attesta a meno di un terzo di quello che era 40 anni fa.
Figura 1. Posti letto per 1000 abitanti
Il Governo Meloni non ha fatto assolutamente nulla per affrontare questa situazione, che d’altro canto è il frutto di scelte scellerate e di un continuo disinvestimento nel SSN, da parte di centrodestra e centrosinistra, accomunate dalla passione per i tagli alla sanità pubblica.
Le crisi sanitarie degli ultimi anni hanno reso sempre più lampante il fatto che il nostro sistema, ritenuto appena un decennio fa il terzo miglior sistema a livello mondiale, dopo le ricette di austerità inflitte più in generale a tutta la spesa pubblica sia destinato al collasso. I dati Eurostat mostrano, ad esempio, che nel periodo pre-pandemia la spesa in euro per abitante dello stato italiano nel sistema sanitario (linea verde) è stata ampiamente al di sotto della media nei paesi dell’area euro (linea arancione), con un gap che ha continuato ad aumentare con il passare degli anni.
Figura 2. Spesa pubblica in sanità (euro per abitante)
Spesa pubblica in sanità che nel 2023 si è ridotta di 0,4 punti percentuali in proporzione al PIL, passando dal 6,7% al 6,3%, in barba alle chiacchiere profuse dal Governo in ogni occasione. In maniera non sorprendente, passata la pandemia, siamo ritornati infatti immediatamente alla stagione dei tagli, in nome delle ferree regole di contenimento della spesa, con l’aggravante che dell’assai decantato piano di ripresa post pandemico, il PNRR, solo poco più di 15 miliardi di euro (l’8,16% del totale delle risorse stanziate al 2026) saranno destinati alla Missione Salute.
La crisi del Sistema Sanitario Nazionale appare ancora più lampante se si considera che ben 12 Regioni italiane non garantiscono nemmeno la sufficienza nei cosiddetti “Livelli Essenziali di Assistenza” (LEA), cioè le cure considerate fondamentali. Non mancano i casi eclatanti, con una regione come la Calabria che si trova costretta a firmare accordi per l’arrivo di medici da Cuba in programmi che di solito sarebbero destinati a paesi in crisi sanitaria o in via di sviluppo. Ma anche guardando al SSN nel suo insieme, le problematicità rimangono evidenti: l’età media dei medici è sempre più alta, con il 56% con più di 55 anni. I posti letto, nonostante la pandemia, sono diminuiti di più di 30mila unità: nel 2020 erano 257.977, ridotti a 225.469 nel 2022, con stime che parlano di almeno 100mila posti letto di degenza ordinaria e 12mila di terapia intensiva mancanti.
In questo contesto tragico, che fa il Governo Meloni? La proposta di Schillaci prevede come fiore all’occhiello e obiettivo fondamentale la riduzione di quelle che sono le liste di attesa che puntualmente si devono affrontare per ottenere una visita. I canali d’azione principali attraverso i quali agire sono due: l’aumento di visite disponibili e una gestione centralizzata delle prenotazioni. Le risorse mobilitate per l’attuazione della proposta sono circa 300 milioni di euro, una cifra di per sé irrisoria e insufficiente, date le condizioni del SSN.
Va sottolineato poi come entrambi i canali strizzino l’occhio alle strutture private. Da un lato si prospetta la volontà di alzare – dopo un primo rialzo già previsto nell’ultima manovra di bilancio – il tetto di spesa per il ricorso del Servizio sanitario all’acquisto di prestazioni dal privato accreditato. Dall’altro la volontà di agglomerare il servizio di prenotazione tramite CUP comprendendo sia le agende del pubblico che del privato accreditato il quale, se non gestito adeguatamente, può produrre situazioni incresciose, come quella che ha portato uno dei colossi della sanità privata milanese a essere sanzionato dal Tar lombardo per gli incentivi offerti ai centralisti affinché spostassero le prenotazioni dalle agende pubbliche verso quelle private.
Ma ragioniamo meglio su cosa vuol dire il primo punto appena menzionato, cioè il cosiddetto aumento del massimale. Ciò che il Governo vuole incentivare, con l’obiettivo di ridurre un problema strutturale dovuto alla continua diminuzione di fondi pubblici, sono gli interessi e i profitti degli enti privati, incanalando ulteriori risorse pubbliche verso casse private. In altre parole, i quattro spicci che il Governo ha messo sul piatto non sono destinati alla sanità pubblica.
Una argomentazione, per quanto tendenziosa, per giustificare questa linea di condotta potrebbe essere incentrata sulla maggiore efficienza della sanità privata rispetto a quella pubblica. I nostri “amici” liberisti, in particolare, potrebbero straparlare di come la sanità privata sia migliore rispetto alla decadente sanità pubblica. Ma anche questo si rivela miseramente falso, e arriva a nostro supporto niente di meno che un recente articolo di Lancet, una tra le massime riviste di ricerca nel campo sanitario, scritto da due studiosi di Oxford. Facendo una revisione della letteratura scientifica esistente, essi notano come il passaggio da pubblico a privato (anche inteso come esternalizzazione delle prestazioni) porti solo a un miglioramento dei profitti dell’erogatore del servizio – del privato – a danno della qualità del servizio stesso, che al contrario tende a diminuire a seguito della costante riduzione dei costi. Nulla di nuovo sotto il sole: un privato, al contrario del pubblico, ha come obbiettivo fare profitti riducendo i costi sostenuti e aumentando i ricavi, un modus operandi che può sollevare preoccupazioni non indifferenti nel momento in cui il “prodotto” offerto è un servizio sanitario.
Tirando le somme, non saranno il dl e il ddl Schillaci a risolvere le carenze strutturali che il Sistema Sanitario Nazionale, vittima di una spesa pubblica sempre più insufficiente, presenta. La volontà di risolvere tramite il privato quello che si potrebbe risolvere migliorando il pubblico è da sempre una non soluzione, la diretta conseguenza di aver deliberatamente creato un problema a tavolino pensando che la sua migliore risoluzione sia quella che ridireziona fondi pubblici nei profitti per i privati alle spese e sulla pelle dei cittadini.
07/06/2024
Liste d’attesa e sanità privata, quello che non dice (e non fa) il governo Meloni
Ma ovviamente, per una maggioranza ‘sovranista’ ma di certo non ‘sovrana’, ligia ai dettami di Bruxelles, non ci sono soldi da spendere su queste voci di bilancio. E infatti, il decreto non prevede nessun ulteriore stanziamento.
Viene ora stabilito che le ASL che non sono in grado di garantire la prestazione nel pubblico entro i termini di legge indirizzeranno il fruitore verso l’intramoenia o il privato accreditato. Non si capisce però dove le regioni possano trovare i fondi per corrispondere i rimborsi per questa misura, se non tagliando in altri settori.
Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha fatto presente che ci sono ancora 500 milioni non spesi dalle regioni e stanziati nel 2022 e nel 2023. Ma oltre al fatto che sono fondi già stanziati nel Fondo Sanitario Nazionale, non riuscirebbero nemmeno a coprire l’ammontare delle previsioni di spesa, calcolato in circa 1,2 miliardi.
Proseguendo sul testo del decreto, si legge la possibilità di effetturare controlli e analisi anche la sera e nei giorni festivi, e ovviamente chi lavora in quei giorni e fasce orarie dovrà essere pagato di conseguenza. Ma l’attuazione della norma dovrà avvenire “senza maggiori oneri per la finanza pubblica”, dice di nuovo il governo.
Come se non bastasse, persino lo stanziamento previsto per la riduzione della tassazione degli straordinari è minore di quella che sembrava dovesse essere all’inizio: 250 milioni. Meloni e compagnia non hanno di certo intenzione di assumere e coprire il fabbisogno del sistema sanitario, ma non sanno nemmeno detassare per invogliare agli straordinari.
Queste non sono le uniche misure prese da Palazzo Chigi, ma sono sicuramente quelle più significativa e quelle più dibattute, per ridurre le lunghissime liste di attesa che sono diventate un vero e proprio ostacolo alla fruizione del diritto costituzionale alla tutela della salute: per fare un esempio, Federconsumatori ha rilevato un’attesa di 735 giorni per una ecodoppler cardiaca in Lombardia.
In pratica, l’unica certezza sul lato finanziario è in entrata, poiché il ticket dovrà essere pagato anche nel caso in cui non ci si presenti alla visita.
Ad avvantaggiarsi di tutta questa situazione è stato il privato, che sostanzialmente rimane garantito nei suoi profitti anche con questi interventi governativi. Il privato che invece si prevede andrà ad aumentare ulteriormente il proprio peso relativo.
L’ultimo rapporto dell’Area Studi di Mediobanca sugli operatori del settore che superano un fatturato di 100 milioni di euro (31 in Italia), già commentato dall’Unione Sindacale di Base, ha mostrato l’incremento dei loro ricavi, e ha segnalato il valore delle attività private vicino ai 70 miliardi. Si tratta del 40% di tutto il comparto.
Le strutture sanitarie pubbliche sono ormai in numero inferiore di quelle private: solo il 43% delle 29.354 registrate a fine 2022. Nel 2023 4,5 milioni di italiani (il 7,6% della popolazione) ha rinunciato a esami e visite mediche, proprio a causa delle liste di attesa.
Nel 2023 ci si attende si sia verificata una sostanziosa crescita aggregata del giro d’affari privato, intorno al 5,5%. Mediobanca calcola che l’ulteriore aumento della spesa sanitaria privata sia dovuto soprattutto al ricorso alle strutture per anziani (+14%).
Nonostante i lauti esborsi fatti di tasca propria, tra i Paesi Ocse l’Italia si trova al di sotto della media di spesa sanitaria complessiva sia a livello pro-capite (circa 600 dollari sotto i 4.986 del 2022) sia in rapporto al PIL (9% contro il 9,2%).
Insomma, nel Belpaese è pericoloso ammalarsi, perché spesso bisogna decidere se curarsi o se arrivare a fine mese. Non una parola da parte del governo che fa finta di voler tagliare le liste di attesa.
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