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07/03/2019

Vertenza Penicillina: non si molla un centimetro.

L’ex fabbrica di penicillina romana, la LEO, era balzata recentemente agli onori della cronaca, ghiotta di occasioni di questo tipo, per via della presenza, al suo interno, di diverse centinaia di disperati che la occupavano (privi di qualsivoglia alternativa abitativa) nonché per lo sgombero in grande stile che ne era seguito; durante la grande parata mediatica dello sgombero, si è fatto a gara ad intestarsi la cosiddetta “vittoria” tra il Ministro degli Interni, la Sindaca, la Presidente di Municipio, e i vari esponenti di Casapound (mascherati da comitati di quartiere in cui di “quartiere” c’è ben poco). Da allora l’attenzione politica e mediatica è notevolmente calata perchè, cacciati gli immigrati, è palese che il problema che presentava l’area dell’ex penicillina si sia automaticamente risolto e il quartiere, ripulito dal degrado che ne costituiva l’occupazione, potesse finalmente rifiorire. Ormai i cittadini romani e del quadrante est hanno vinto: hanno vinto un ecomostro rigonfio di rifiuti di ogni genere, inclusi inquinanti (farmaci e sostanze chimiche) e speciali (cemento-amianto ed eternit), che sta venendo svenduto all’ennesima speculazione edilizia del privato di turno.

Ma andiamo con ordine. Il privato proprietario dello stabile, responsabile della condizione di abbandono e degrado in cui versa, và in fallimento; così, in previsione dello sgombero, la sezione fallimentare del Tribunale di Roma incarica un architetto di effettuare una perizia sulle condizioni generali dello stabile, passaggio questo propedeutico all’apertura dell’asta giudiziaria: l’incaricato dichiara di non essere mai entrato all’interno della fabbrica e di basarsi unicamente sulle mappe catastali, avendo altresì però conoscenza del fatto che gli unici rifiuti presenti nello stabile sarebbero derivanti dall’occupazione abusiva (sulla cui problematicità insiste vigorosamente), e ponendo come valore d’asta €36.000.000; all’interno della perizia si fà poco cenno al futuro previsto per lo stabile, limitandosi a citare le grandi potenzialità dal punto di vista imprenditoriale e commerciale di cui godrebbe, per via dell’elevata cubatura e della posizione strategica, e richiamandosi al PRUSST (un obsoleto progetto di riqualificazione del quadrante tiburtino composto da 16 interventi, di cui 13 ormai falliti e i restanti 3 ad oggi fermi o in ritardo, come l’allargamento della Via Tiburtina).

Non finisce qui, perchè, nonostante il costo irrisorio, alla luce della perizia l’affare appare davvero poco conveniente. Per questo motivo l’amministrazione decide di accollarsi in toto i costi di pulizia e bonifica, per regalare al privato acquirente un pacchetto pronto: ricordiamo infatti che il precedente proprietario aveva già posto in essere le basi per l’avvio di un progetto speculativo non indifferente su quell’area (tra cui spiccava un hotel a 4 stelle), ma aveva desistito per via degli ingenti costi di bonifica preventivati.

Ma perchè i costi di bonifica sarebbero stati così elevati? Perchè, come emergerebbe dall’unica perizia effettuata in merito (autonomamente e a spese del Comitato Nuova Penicillina), lo stabile sarebbe strabordante di amianto sotto varie forme, sia intero che frantumato, per smaltire il quale occorrerebbero delle adeguate procedure di sicurezza a tutela della salute pubblica, procedure queste che l’amministrazione si è ben guardata dal mettere in atto, incaricando operai AMA di una sommaria e frettolosa pulizia dell’area con mezzi inadeguati e omettendo colpevolmente la presenza del rifiuto speciale. Un’operazione criminale a danno della salute degli operai stessi e dei cittadini dei quartieri circostanti, venuta alla luce grazie alla costante ed attenta vigilanza degli abitanti della zona e del Comitato: l’amministrazione centrale dichiara che si tratterebbe di “amianto non pericoloso”, mentre quella municipale afferma di essere all’oscuro delle operazioni in questione e “si augura” che tutto proceda in maniera doverosa e adeguata.

In questa città succede quindi che, dopo che il privato ha abbandonato all’incuria e al degrado uno stabile su cui non è riuscito a portare a termine l’ennesima speculazione, l’amministrazione si applica per sgomberare l’area dagli occupanti abusivi e per bonificarla in modo sommario e altamente pericoloso, totalmente incurante delle conseguenze che un’operazione di questo tipo porterebbe alla cittadinanza, per poi svendere tutto al prossimo privato speculatore perchè possa avviarne un progetto commerciale di cui, si sa, il territorio aveva proprio bisogno. Al privato i benefici, all’amministrazione i costi, al quartiere veleni e speculazione. E’ questa la loro nuova idea di città.

La nostra idea, e quella del Comitato tutto, è invece che l’amministrazione debba requisire e bonificare realmente ed in sicurezza l’area, porre in essere un azione in danno contro il privato proprietario colpevole di abbandono e degrado, ed infine riqualificare lo stabile garantendo al quartiere ciò di cui davvero necessita ormai da troppo tempo: case popolari, lavoro e servizi per tutti! Continueremo a vigilare e ad attivarci affinché, in questa zona, non si consumi l’ennesimo scempio a danno dei cittadini.

Di seguito il comunicato stampa seguito al blitz di ieri mattina:
Questa mattina il Comitato Nuova Penicillina, composto da cittadini del quadrante tiburtino di Roma, insieme ad Asia Usb sono tornati alla ex fabbrica di penicillina per denunciare l’operato criminoso che l’amministrazione sta ponendo in essere a danno dei cittadini del quartiere e dei lavoratori che vi sono impegnati. Infatti, alla luce di perizie e sopralluoghi effettuati direttamente dal comitato, è stata accertata la presenza di ingente quantitativo di amianto, sia intero che frantumato, all’interno dello stabile, rifiuto speciale questo che richiederebbe una precisa ed attenta procedura di smaltimento onde evitare danni all’ambiente e alla salute pubblica; nulla di più lontano di quanto sta provvedendo a fare l’amministrazione comunale che ha incaricato gli operai, appalto esterno di AMA, privi di qualsiasi mezzo utile a tal fine nonché di qualsivoglia misura di sicurezza per la tutela della propria salute, dello smaltimento dei rifiuti di qualsiasi genere, inquinanti e speciali inclusi, presenti all’interno. Chi dovrebbe vigilare sulla salute e l’interesse dei cittadini avvelena territori interi in un silenzio criminale, per poi svendere stabili potenzialmente proficui al privato affinché porti avanti l’ennesima speculazione edilizia. Tutto questo sulle spalle della cittadinanza. Noi non ci stiamo: l'ex fabbrica di penicillina deve essere bonificata realmente ed in sicurezza, e riqualificata perché divenga un luogo utile per un territorio carente di case, servizi e lavoro!
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13/12/2018

Ex Penicillina: la lotta comincia adesso

Era stato preparato in pompa magna, con decine e decine di comparse in tuta e casco blu ad arricchire la scena e con i giornalisti convocati ad immortalarla, eppure ieri lo showdown salviniano sullo sgombero della ex Penicillina non dev’essere andato proprio come se l’era immaginato il titolare del Viminale, almeno dal punto di vista mediatico. Salvini si è così accontentato di un’apparizione piuttosto fugace (giusto il tempo per l’immancabile tweet) e oggi della “grande operazione” resta solo qualche articolo in cronaca locale e un “bottino” di 35 persone fermate, a dispetto delle oltre 600 che da anni sopravvivevano nello stabile. Gran parte degli “occupanti” aveva infatti preferito andarsene già nei giorni scorsi e anche chi ieri non l’aveva ancora fatto è stato invitato ad allontanarsi da alcuni poliziotti in borghese prima ancora che il circo mediatico venisse allestito. La sceneggiata di ieri si è così trasformata nella dimostrazione materiale che gli sgomberi non risolvono i problemi, ma li spostano soltanto, imponendo a chi non può permettersi un tetto l’ennesima migrazione urbana da periferia a periferia, dove tutto inevitabilmente ricomincerà da capo.

Non tutti i “problemi” però possono essere spostati o nascosti sotto il tappeto. I detriti dei pannelli di Etenit e l’amianto polverizzato che ne deriva resteranno li, nonostante l’ordinanza della giunta Raggi finga di ignorarne la presenza, e nonostante i selfie trionfalistici di Salvini. Lo stesso vale per i residui chimici abbandonati nello stabile dalla proprietà dopo la dismissione della produzione e che a ogni pioggia percolano nell’Aniene. Una fabbrica che dava lavoro a oltre 1600 persone, punta di lancia del settore farmaceutico internazionale, è stata trasformata in un ecomostro inquinante e in un lugubre monumento alla deindustrializzazione. Tutto “grazie” ai privati e alla compiacenza delle amministrazioni che non sono riusciti a realizzarci sopra l’ennesima speculazione edilizia.

La giornata di ieri dunque non è stata un epilogo, ma solo l’inizio di una lotta territoriale che racchiude in sé enormi potenzialità e che, soprattutto, ha un valore simbolico generale. Abbiamo la preziosa opportunità di provare a trasformare un’operazione di propaganda in un boomerang politico per chi ci governa, dando contemporaneamente forma ad un’idea di città diversa: pubblica e solidale. Di questo, del futuro della ex fabbrica e di come immaginare una pianificazione partecipata e dal basso dell’intero quadrante parleremo in un convegno organizzato dal Comitato Nuova Penicillina venerdì 14 alle 17, nel residence occupato di Via Tiburtina 1064. Siamo solo all’inizio.

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11/12/2018

Roma - Sgombero dell’ex Penicillina: la kermesse va in onda, ma ad attendere Salvini più polizia che occupanti


«Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti». Così recita il primo verso dell’articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti umani, di cui oggi se ne ricordano, formalmente, i 70 anni dalla sua proclamazione per opera dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Formalmente, sì, perché quando si passa #dalleparoleaifatti, come piace propagandare al Ministro dell’Interno, la realtà è ben diversa, e racconta dell’ennesimo sgombero-farsa andato in scena stamattina, lunedì 10 dicembre, nell’estrema periferia di Roma.

Stiamo parlando della tanto annunciata «bonifica» dell’ex fabbrica di Pennicillina, quartiere San Basilio. Fin dal primo mattino, decine di camionette della Polizia e dei Carabinieri, centinaia di agenti chiamati all’ordine, bloccata un’arteria fondamentale per la viabilità pendolare della città come la Tiburtina, tutto per... una cinquantina di disperati. Tanti infatti i “dannati della terra” che avevano deciso di rimanere nello stabile (si fa per dire) nonostante l’annunciato sgombero.

Uno sgombero dei fantasmi dunque, una kermesse inscenata dal, e per, il ministro Salvini, sfilata su un tappeto di manganelli e scudi, e andata in onda su tutti i media del paese. La maggior parte degli occupanti originali infatti, circa 500, aveva già lasciato l’ex fabbrica, alla ricerca dell’ennesima soluzione emergenziale in assenza di un’alternativa alla loro cacciata.

All’indegno spettacolo era attesa anche la presenza della Sindaca, la quale però ha lasciato il palco libero agli altri attori del teatrino, forse fiutando il clima di rifiuto che si respirava tra le realtà organizzate e la società civile presenti, anche loro, sin dall’alba.

E così, a prendersi una metaforica sberla da parte di quel pezzo di popolo che non è disposto a dimenticare, sono stati la presidente a cinque stelle del IV municipio, Roberta Della Casa, sommersa dai fischi mentre sgattaiolava via dal presidio momentaneo composto dai migranti di fronte l’immobile, e Andrea Casu, segretario del Pd romano, che invece, più insolente, tentava invano di rifare il trucco al suo partito cianciando di diritti umani alle vittime odierne dell’azione poliziesca. Classico caso della realtà che supera l’immaginazione...

Dall’altra parte della barricata, la Roma conflittuale che non si arrende alla logica binaria proposta, a tutti livelli, da questo governo, sia essa itagliani-immigrati, o legali-irregolari, ecc. Da Asia-Usb a Potere al Popolo, dal Comitato Nuova Penicillina a Noi restiamo, passando per AlterEgo, e molti altri, il grido unanime ha rispedito al mittente la speculazione messa in atto da Salvini & co., lui sì, rimasto a debita distanza e ben protetto dai suoi in blu.

La differenza è tutta qui: da una parte, una sfilata per aizzare il clima di odio verso gli ultimi e cementificare un consenso, tutto ideologico, che altrimenti, se sparisse la coltre di fumo che tenta di nascondere i continui arretramenti del governo a favore dell’austerità made in Unione europea, andrebbe materialmente in fumo; dall’altra, una proposta di alternativa reale a una condizione di fragilità imposta dalle politiche delle ultime amministrazioni.

Requisizione dell’immobile, bonifica del sito e costruzione di un complesso di case popolari che dia finalmente un senso, oltre che ristoro e speranza alle migliaia di persone in difficoltà abitativa, a questo pezzo di territorio, già falcidiato da tutti i problemi che un quartiere periferico di una metropoli, oggi normalmente vive sulla propria pelle.

Queste le parole d’ordine che verranno ripetute alla conferenza stampa di oggi pomeriggio, alle ore 17, alla “balena” di San Basilio, venerdì al convegno che si terrà in via Tiburtina 1064 sul futuro dell’ex fabbrica, e che sicuramente troveranno una loro espressione nella manifestazione di sabato pomeriggio «Get up stand up» che si terrà a Roma per, come scritto nel lancio della giornata, la giustizia sociale, la libertà di movimento e la fine di ogni sfruttamento e razzismo, per tutte e tutti.

Di fronte la barbarie, la distanza tra la legalità e la giustizia è una questione di prospettiva rispetto allo stato di cose esistenti.

Compito di ogni soggettività che voglia farsi carico del futuro, in una dimensione che varia da quella del quartiere a quella del mondo intero, è quella di non abbandonarsi alla guerra contro chi si trova uno scalino appena più in basso, ma di alzare la testa e lottare contro chi impedisce la risalita verso l’uguaglianza e la giustizia sociale.

Che 70 anni fa sia stato scritto anche su un pezzo di carta ufficiale, per ora, resta un’altra storia.

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11/10/2018

Le guerre tra poveri le combattono due eserciti

Qualche giorno fa, navigando in rete, ci siamo imbattuti in un articolo di Roma Today in cui si faceva riferimento ad una lettera aperta inviata da alcune associazioni al prefetto in merito alle sorti della ex Fabbrica Penicillina Leo, da tempo in cima alla lista degli stabili da sgomberare. Visto che su questa questione stiamo lavorando da diverso tempo insieme ad altri compagni della Tiburtina (qui, qui, qui e qui), e incuriositi dal fatto che tra i firmatari c’erano alcune associazioni che almeno inizialmente avevano condiviso il nostro percorso, siamo quindi andati a leggerci la versione integrale della lettera. Si tratta di un appello giusto, nobile, umanamente più che condivisibile in ogni sua riga e parola, in cui però manca completamente un pezzo importante di ragionamento sul quartiere e su chi intorno alla ex fabbrica ci vive, e che proprio per questo motivo corre il rischio di risultare politicamente inefficace. Comprendiamo l'urgenza di accendere i riflettori sulle condizioni di chi per necessità è costretto a sopravvivere in quel rudere pericoloso, ma decontestualizzare l’ex Penicillina dalle condizioni di abbandono, disoccupazione e sofferenza sociale che vive quel territorio rischia di lasciare diviso ciò che invece dovremmo provare ad unire. Dando l’impressione che ci si interessi solo di chi sta dentro e non di chi sta fuori, degli “ultimi”, ma non dei “penultimi”.

Sottolineiamo questo aspetto non per fare polemica con gli estensori della lettera, anche perché sarebbe una cosa stupida oltre che inutile. Ci interessa di più, invece, provare a ragionare su una forma mentis che sta diventando maggioritaria tra i compagni e che, nonostante la buonafede di chi poi la traduce in una pratica politica, rischia di produrre danni permanenti.

L’impressione, lo diciamo senza troppi giri di parole, è che spesso tra le nostre fila ci si dimentichi che “le guerre tra poveri” vengono combattute da almeno due eserciti di poveri, e che se davvero le vogliamo disinnescare, provando magari a rivolgere la rabbia contro i veri nemici, dobbiamo recuperare la capacità di saper parlare ad entrambi gli schieramenti. La capacità di farci carico dei bisogni e delle richieste di “protezione sociale” anche di chi in quelle periferie non c’è immigrato, però c’è nato. Senza negare le contraddizioni, che ci sono, ma provando a superarle in avanti.

Nel dibattito politico statunitense spesso si usa il termine classista e dispregiativo di “white trash” (spazzatura bianca) per indicare quella quota di subalterni in precario equilibrio tra proletariato e sottoproletariato e che spesso rappresentano, soprattutto negli stati del sud, la base di massa del razzismo e del suprematismo bianco. Non vorremmo eccedere nei parallelismi, sappiamo bene che la storia sociale e politica di ogni paese è peculiare, però non vorremmo nemmeno rimuovere il fatto che nella ridefinizione della divisione del lavoro internazionale quote sempre più consistenti di proletariato italiano vengono spinte in una condizione sociale e culturale che, se non è uguale a quella dei “white trash”, poco ci manca. Se non troviamo in fretta la quadra, in un paese con cinque milioni di poveri assoluti e col 12% di lavoratori con salari inferiori alla soglia di povertà, rischiamo di regalare in maniera permanente pezzi di quello che dovrebbe essere il nostro blocco sociale a chi su queste contrapposizioni ci specula e ci costruisce fortune elettorali.

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22/06/2018

La pratica della teoria

Ieri pomeriggio, con un presidio e un volantinaggio di massa, il Nodo Territoriale della Tiburtina ha nuovamente acceso i riflettori sulla vicenda dell’ex fabbrica di Penicillina Leo. Un esempio piccolo piccolo (forse), ma estrememente significativo, di come debba essere declinato l’antirazzismo in periferia, e di come in una questione “particolare” sia contenuto il “generale” di questa fase storica. Abbiamo già scritto più volte della vicenda, ma è bene tornarci sopra per chiarire il concetto. L’ex fabbrica che un tempo dava lavoro a più di 1300 operai oggi è un monumento alla deindustrializzazione delle Tiburtina Valley. Per via dei residui chimici delle lavorazioni e dell’eternit presente nella struttura i costi di bonifica sono diventati talmente alti da disincentivare i progetti speculativi della proprietà, che infatti l’ha lasciata nel più completo abbandono, fregandosene della salute di chi vive nella zona. Nel frattempo lo stabile, per quanto in gran parte ormai ridotto ad un rudere, è diventato l’unico rifugio possibile per centinaia di disperati espulsi dal circuito dell’accoglienza (o semplicemente impossibilitati a trovarsi una sistemazione degna di questo nome) con il corollario di roghi tossici e tensioni sociali che non è difficile immaginare.

Un terreno potenzialmente più che fertile per chi specula sulla guerra tra poveri, un film già visto e rivisto di cui, però, stiamo faticosamente cercando di riscrivere il finale. Da settimane si susseguono volantinaggi e banchetti nei mercati rionali limitrofi per una raccolta firme con una richiesta “semplice”: requisire l’ex fabbrica, bonificare l’area, riconvertire l’ex penicilina ad uso pubblico creando lavoro, edificando case popolari e fornendo servizi. Il nemico non sono i disperati che li ci vivono, e a cui va assicurata una sistemazione degna di un paese che si definisce civile, ma la proprietà che ci avvelena da anni e l’amministrazione che permette tutto questo. Gli sgomberi manu militari non risolvono niente, spostano il falso problema per qualche ora, ma poi per chi vive sulla Tiburtina tutto torna come prima: con i lavori di merda, la disoccupazione alle stelle, le case che mancano, i servizi inesistenti... e l’amianto nell’aria.

Un discorso assolutamente controcorrente in questo momento, e che infatti a volte si scontra con il senso comune di chi, incarognito dalla condizione di vita in cui è costretto, trova nel “cacciamoli via” la panacea di tutti i mali. Ma non c’è scappatoia. O si ritorna a parlare quotidianamente con la nostra gente, ad ascoltarla, magari anche a litigarci, proponendo un’altra idea di società, oppure l’alternativa non potrà che essere lo sterile chiacchiericcio social.

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