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18/07/2024

Cagliari. Processo per i generali accusati di disastro ambientale a Capo Teulada

Il 18 luglio al Tribunale di Cagliari si terrà l’udienza del processo che mira a identificare i colpevoli del disastro ambientale avvenuto nel Poligono Militare di Teulada. Gli imputati del processo sono quattro generali, ex capi di stato maggiore dell’Esercito Italiano, su cui pendono le accuse di disastro ambientale colposo. Il quinto imputato, il generale Graziano, si è suicidato il 17 giugno 2024.

Le indagini hanno riguardato un arco temporale sino al 2016 ma nel capo di imputazione si contestano le condotte solo sino al primo settembre 2014, in evidente contrasto con quanto accertato dalla stessa Procura. Con le indagini si è accertato che, nonostante si fosse attivato il PIA (Piano di intervento ambientale integrato), dal 2008 al 2016 si sono svolte le esercitazioni nella penisola Delta e nel 2016 sono stati rinvenuti n. 4 lunette contaminate di Torio e nel 2018 n. 9 motori di missili Milan.

Gli agenti inquinanti riversati nel territorio hanno la capacità di permeare la terra per decine di metri, raggiungere le falde acquifere, muoversi attraverso l’aria per chilometri e diffondersi nelle acque del mare per distanze difficilmente calcolabili. Queste sostanze entrano all’interno della catena alimentare, inquinando la pesca, l’allevamento, l’agricoltura e i prodotti derivati (es. pane, pasta, formaggi, vini etc).

La tossicità dei materiali e la loro diffusione è alla base di numerose patologie che colpiscono animali, piante e esseri umani, come ad esempio leucemia, tumori solidi, malformazioni neonatali, intossicazione da specifici agenti. Esistono evidenze scientifiche del nesso causale tra questi agenti inquinanti e le patologie riportate, sebbene, ad oggi, non siano mai state effettuate ricerche epidemiologiche serie che mettano alla luce la reale situazione nei pressi dei poligoni.

L’indagine era nata nel 2012 quando una ventina di residenti aveva presentato alcuni esposti segnalando l’insorgenza di alcune patologie come linfomi e diverse neoplasie riconducibili alle attività belliche praticate nel poligono. In realtà la parte legata all’ipotesi di omicidio colposo era stata stralciata quasi subito e archiviata per l’impossibilità di dimostrare, come sostiene il Pubblico Ministero, un nesso causale tra decessi e presenza del poligono. In realtà i l nesso causale tra agenti inquinanti prodotti dalle esercitazioni militari e l’insorgenza di queste patologie è ampiamente dimostrato e documentato dalla letteratura scientifica internazionale.

Quello che manca è uno studio epidemiologico accurato che dimostri l’aumento di incidenza di queste patologie in prossimità dei Poligoni, ma questo genere di studi può essere condotto esclusivamente dalle istituzioni Sarde o Italiane che fino ad oggi hanno latitato. Il processo si configura già come come l’ennesima assoluzione dello Stato verso se stesso. Infatti, il Pubblico Ministero, pur ammettendo che nel Poligono di Teulada è avvenuto un disastro ambientale, continua a chiedere il proscioglimento di tutti gli imputati.

Questo è avvenuto già al termine delle indagini preliminari, durate sette anni, ma in quell’occasione il GIP Alessandra Tedde ed il GUP Giuseppe Pintori hanno rispettivamente ordinato l’imputazione coatta dei presunti responsabili e successivamente rinviato a processo tutti gli imputati. È probabile che il proscioglimento possa essere deciso già nell’udienza del 18 luglio, senza dare inizio al dibattimento.

Al di là del verdetto, il dibattimento potrebbe attestare in maniera più chiara i livelli di inquinamento ambientale, le relazioni con le patologie che affliggono la popolazione e le modalità con cui le esercitazioni hanno determinato il disastro ambientale. Si potrebbero fare studi e produrre documenti che spiegherebbero meglio cosa è accaduto e quali sono, ancora oggi, i rischi che derivano da queste attività. Inoltre, probabilmente, si svilupperebbe un dibattito pubblico che darebbe maggiori informazioni di quanto accade nei territori limitrofi ai poligoni. L’obiettivo sembra essere quello di non voler dare alcuna risposta su ciò che accade nei poligoni militari né trovare responsabilità politiche e penali.

Per questo motivo chiedono il proscioglimento per tutti i generali dei gravissimi capi di imputazione. Due pesi e due misure Secondo la magistratura inquirente tenere i generali sotto processo sarebbe un accanimento inopportuno verso di loro, che dovrebbero sopportare ancora a lungo l’accusa di essere i responsabili del disastro colposo.

Qui la giustizia italiana dimostra di utilizzare due pesi e due misure: mentre per i generali sopra citati si chiede il proscioglimento dalle accuse per disastro ambientale colposo, gli imputati per l’Operazione Lince non hanno ricevuto lo stesso trattamento, ma dovranno sopportare ancora per tanti anni un’assurda accusa di terrorismo. Le più di quaranta persone coinvolte, quasi tutte sotto i quarant’anni, non potranno partecipare a concorsi pubblici, venire assunte nel pubblico impiego, accedere a contributi e finanziamenti in quanto indagate per reati contro lo Stato. Non è questa la sede in cui crediamo di doverci difendere, ma vogliamo solo smascherare, ancora una volta, la bugia che la giustizia è uguale per tutti.

I capi di imputazione dell’operazione Lince sono manifestazione non autorizzata, aver forse divelto delle reti già rotte, resistenza e simili. La somma di tutti questi ha fatto sì che l’accusa principale sia il reato associativo con finalità di sovvertire l’ordine costituito, quindi terrorismo. Rendere, invece, una parte della Sardegna inbonficabile, per lo Stato italiano è un reato che non ha colpevoli e non varrebbe la pena di iniziare il dibattimento.

Il silenzio della politica e la lotta di A Foras Noi non accettiamo che a farsi carico di questo scempio ambientale debbano essere le prossime generazioni di sardi, costretti a vivere in un’isola sfruttata e deturpata come una colonia. Esigiamo risposte per tutte le persone, civili o militari, che si sono ammalate o che sono morte; vogliamo giustizia per le loro famiglie; pretendiamo che la nuova giunta regionale prenda posizione, anziché fantasticare di esercitazioni green. Chiediamo la chiusura di tutti i poligoni, la bonifica e la restituzione dei territori occupati e di poter vivere in una terra di pace.

Ci vediamo quindi il 18 luglio alle 9 davanti al Tribunale di Cagliari, per affermare che per noi lo Stato Italiano e il ministero della Difesa sono colpevoli di tutto questo. Aspetteremo tuttə insieme la decisione dei giudici, per gridare ancora che la lotta non si ferma.

Fonte

29/01/2023

Vittime dell’uranio impoverito: “Con le esercitazioni Nato in Sardegna è in atto un massacro”

Le forze Nato, con la complicità attiva del Ministero della Difesa, stanno compiendo un vero e proprio massacro in Sardegna (e non solo), dove militari e civili si ammalano e muoiono a causa dell’uranio impoverito.

Lo sostiene l’Associazione nazionale vittime dell’uranio impoverito, secondo cui le bonifiche previste non hanno lo scopo di rendere più salubre l’ambiente ma solo quello di rendere possibili nuove esercitazioni.

Sardegna – L’Associazione nazionale vittime dell’uranio impoverito da diversi anni si impegna nella lotta per la verità e la giustizia per tutti i militari che sono stati contaminati dall’uranio impoverito e da metalli pesanti durante le cosiddette e surrettizie missioni umanitarie all’estero, ma anche a seguito dell’addestramento nei poligoni di guerra Nato, sul suolo italiano, come denuncia anche Emanuele Lepore portavoce dell’associazione.

Da chi è composta l’Associazione nazionale vittime dell’uranio impoverito?

Molti degli associati sono sardi, padri, madri, mogli, sorelle o anche fratelli di militari che si sono addestrati nei poligoni Nato in Sardegna e che sono deceduti o sono tuttora gravemente malati.

La lotta dell’Associazione è contro i poteri forti come la Nato.

La lotta dell’Associazione si lega alla lotta contro la Nato: tutti noi abbiamo interesse affinché i poligoni militari Nato in Sardegna vengano chiusi e bonificati, affinché nessuno più venga contaminato dall’inquinamento bellico dovuto ai giochi di guerra – o meglio alle nefandezze belliche – dove gli stessi militari spesso di truppa, e non i generali ai vertici, vengono utilizzati come carne da macello e bassa manovalanza sacrificabile. Sottomessi e sacrificati al potere.

E l’interesse del Ministero della Difesa?

Ha stupito l’interesse del Ministero della Difesa nella bonifica della penisola Delta di Capo Teulada, penisola duramente bombardata con ogni sorta di armamenti e di cui stranamente sono state rese pubbliche liste molto vaghe e sintetiche.

La Penisola Delta Poligono di Capo Teulada, che sulla carta risulta inserita in una zona naturalistica protetta, è in realtà l’emblema della devastazione dovuta alle esercitazioni militari: in settant’anni di bombardamenti è stata colpita da milioni di proiettili, missili e razzi, tanto da essere dichiarata non bonificabile e interdetta agli stessi militari.

Stupisce, tra le altre problematiche, che l’interesse del Ministero della Difesa avvenga in un momento in cui alcuni ufficiali delle forze armate italiane sono sotto processo proprio per il disastro ambientale causato dall’esercitazione che qualcuno vorrebbe dare solo per presunta, nonostante la quarta commissione parlamentare di inchiesta sui danni da uranio impoverito, presieduta da Giampiero Scanu, abbia accertato a suo tempo le criticità ambientali dei poligoni di guerra Nato in Sardegna e nonostante lo stesso ministero negli anni abbia dichiarato imbonificabile proprio il poligono di capo Teulada.

Parliamo di Capo Teulada e l’innalzamento della soglia degli inquinanti.

Capo Teulada è un sito talmente inquinato che non è bastato l’innalzamento delle soglie di metalli pesanti – centuplicate nel 2014 con il via libera del disegno di legge “competitività” proposto dal governo Renzi – per far risultare accettabile il livello di inquinamento anche da un punto di vista burocratico.

Nel dispositivo visionabile sul sito della regione autonoma Sardegna si legge che la finalità dell’attività di rimozione dei residuati da esercitazione è quella di ripristinare le condizioni del poligono Delta per consentire il normale transito in sicurezza e consentire l’utilizzo futuro dello stesso quale zona bersaglio per “arrivo colpi”, che sarà delimitata con materiale ecosostenibile e collocata all’interno di un sito privo di essenze arboree pregiate.

In tale quadro si intende avviare con l’impiego di assetti specialistici le attività necessarie alla rimozione di tutti i residuati da esercitazione, fino alla profondità di un metro presenti nell’area in questione e classificabili e smaltibili a norma di legge come rifiuti.

A nome dell’Associazione delle vittime occorre approntare bonifiche valide e serie.

Questo significa che l’area deve essere resa agibile a nuove esercitazioni? Poniamo questi quesiti da parte di tutte le vittime e i malati oncologici, che oltre trecento sentenze hanno accertato correlati alla contaminazione da metalli pesanti utilizzati in vari tipi di munizionamento: l’uranio impoverito, il Torio 232 e gli altri agenti si rilevano solo da un metro di profondità? L’acqua e l’aria non sono oggetto di esame? Le tonnellate di nanopolveri, residui delle esplosioni che viaggiano per chilometri trasportati dal vento, sono considerate residuato da esercitazione?

E ancora: l’uranio impoverito e altri metalli pesanti sono considerati smistabili come rifiuti? Se hanno intenzione di bonificare come è stato fatto fare ai militari italiani in Bosnia, Serbia, Afghanistan, Iraq allora conosciamo bene la metodologia, ma circa ottomila malati di tumore e quattrocento morti stanno a testimoniare che tali bonifiche non sono servite a molto, anzi.

La popolazione serba può essere considerata vittima della Nato?

La popolazione serba – che sconta un aumento dell’incidenza tumorale da quando la Nato nel 1999 ha scaricato sul suo paese quindici tonnellate di uranio impoverito – non è molto convinta delle bonifiche che sono state effettuate con la stessa metodologia ripresa dai manuali di bonifica delle forze armate.

Capo Teulada vittima dei poteri forti?

L’operazione di bonifica del poligono di capo Teulada serve a un doppio scopo: il primo è riprendere le esercitazioni rese impossibili dagli inerti inesplosi. Non è un problema di salute pubblica, di recupero di un territorio, ma solo di garantire la continuità delle esercitazioni Nato e possibilità di scaricare la peggiore immondizia, che spesso viene chiamata anche “armi convenzionali”.

In secondo luogo, è un’operazione utile a confondere le acque e dare elementi così contrastanti di valutazione utili a far assolvere in qualche modo gli ufficiali coinvolti nel processo in corso proprio sul disastro ambientale di Teulada, in maniera simile a come hanno fatto con i rilevamenti e le indagini discutibili per dare elementi probatori contrastanti nel processo sui veleni di Quirra.

Sono quindi necessarie bonifiche vere e non fasulle con l’innalzamento dei livelli degli inquinanti.

Le bonifiche sono necessarie, ma devono essere quelle vere: tracciare i metalli pesanti dispersi nell’ambiente, attuare le misure necessarie per bonificarli, impedire che le nuove esercitazioni depositino ancora altri metalli pesanti prodotti da sempre più aggiornati e sofisticati armamenti, altamente distruttivi e inquinanti.

È necessario quindi vigilare sulle manovre che i poteri forti stanno portando avanti e cercare di imporre delle bonifiche reali, trasparenti, che siano controllate da organi esterni, dalle associazioni che si occupano del problema e che hanno chiara l’idea di cosa vuol dire risolvere una questione così complessa.

L’Associazione nazionale vittime dell’uranio impoverito è per la pace e contro ogni guerra?

L’Associazione nazionale vittime dell’uranio impoverito è al fianco della lotta contro la Nato, perché abbiamo un interesse comune: portare a termine il massacro che il Ministero della Difesa promuove a danni dei suoi stessi militari e della popolazione civile che vive e lavora nei pressi dei poligoni di guerra in Sardegna.

La società civile e l’associazionismo sono disponibili quindi a compiere la strada necessaria e percorrere il cammino di pace e nonviolenza che possono portarci all’interdizione dei poligoni, alla loro reale bonifica e alla tutela della salute collettiva.

Fonte

04/11/2015

Cariche a Capo Teulada, i manifestanti irrompono nella base e bloccano le esercitazioni

E’ stata una giornata davvero lunga e complicata quella appena trascorsa per centinaia di persone che da tutta la Sardegna hanno raggiunto Sant’Anna Arresi e le località limitrofe per dar vita ad un corteo contro le esercitazioni Trident e la Nato che la Questura aveva dato nei giorni scorsi per ‘proibito’ emettendo una ventina di fogli di via nei confronti di altrettanti attivisti che erano stati ‘individuati’ lungo il perimetro del poligono militare di Capo Teulada mentre effettuavano dei sopralluoghi utili allo svolgimento della protesta odierna.

Ma i promotori non si sono fatti scoraggiare e hanno ribadito la volontà di manifestare contro l’occupazione militare della Sardegna, dando appuntamento a questa mattina alle 10:30 a Porto Pino per il concentramento.

Fin dal primo mattino è stato chiaro che non solo le località scelte per il corteo erano state interamente blindate da un apparato massiccio di polizia ma la Questura aveva anche dato ordine agli agenti schierati in gran numero di fermare il numero maggiore possibile di persone dirette alla spiaggia di Porto Pino (impossibile da raggiungere a causa della chiusura di tutti i varchi da parte della polizia). Moltissimi manifestanti sono stati quindi bloccati prima ancora di raggiungere il luogo del concentramento, a piedi, in automobile o a bordo di autobus, e sono stati identificati e minacciati di ritorsioni. Alcune auto private ed autobus noleggiati dai partecipanti sono stati anche perquisiti.

Qualcuno, di fronte all’impossibilità di arrivare in tempi congrui al luogo scelto per la partenza del corteo, ha deciso di rinunciare, e di tornarsene a casa; molti altri hanno invece cercato di aggirare i controlli e di avvicinarsi il più possibile all’area off limits, in molti casi riuscendo poi a ricongiungersi con il resto degli attivisti delle varie forze antimilitariste, indipendentiste e antagoniste scese oggi in piazza nonostante il clima di blindatura predisposto dai responsabili dell’ordine pubblico.

Ai divieti e agli ostacoli i promotori e i partecipanti hanno risposto con determinazione, e alla fine il corteo intorno a mezzogiorno è riuscito a muovere i primi passi. Alcune centinaia di manifestanti hanno cominciato a marciare da Porto Pino fino al punto in cui erano bloccati alcuni autobus, al bivio tra Teulada, Sant’Anna Arresi e Is Domus, all’interno dei quali c'erano parecchie decine di attivisti ai quali i poliziotti avevano chiesto i documenti per identificarli. Ad un certo punto il corteo composto dagli attivisti partiti da Porto Pino e quello formato dagli altri che erano a bordo di tre autobus a lungo bloccati dalle forze dell’ordine – che apparentemente cercavano coloro che essendo stati colpiti dai fogli di via per i prossimi tre anni non possono neanche avvicinarsi a Teulada – si sono uniti, formando un unico spezzone di più di 500 persone che si è diretto di nuovo verso Porto Pino. Lungo il percorso la manifestazione si è ingrossata ulteriormente al grido di “A fora sa Nato de sa Sardigna”, man mano che alcuni gruppi di manifestanti arrivavano attraversando i campi per superare i numerosi blocchi costituiti da polizia e carabinieri.

Avvicinandosi alle reti che circondano il poligono militare i manifestanti – saliti nel frattempo a 7-800 – hanno potuto ascoltare il suono delle esplosioni e vedere il fumo provocato dall’impatto dei proiettili, rendendosi conto dell’entità delle esercitazioni Nato in corso all’interno della base. A bloccare il corteo un ingente cordone di agenti in tenuta antisommossa e di camionette. A quel punto un gruppo di manifestanti si è staccato dal corteo tentando di arrivare alla spiaggia e i reparti antisommossa hanno risposto con inseguimenti, cariche e il lancio di alcuni lacrimogeni.


Poco dopo però è arrivata la notizia che alcune decine di manifestanti erano riusciti ad oltrepassare i blocchi e ad entrare all’interno del poligono, dove sono stati fermati da alcuni militari poi raggiunti dai carabinieri che hanno proceduto all'identificazione mentre a poca distanza, all’esterno, un altro folto gruppo gridava slogan contro la repressione, la militarizzazione, la guerra e la Nato. A poca distanza altre centinaia di manifestanti hanno continuato a protestare con numerosi interventi che si sono susseguiti al megafono. Come racconta un anonimo manifestante al sito SardiniaPost, l'irruzione degli attivisti ha obbligato i comandi militari a interrompere le esercitazioni, risultato simbolico ma che ripaga ampiamente gli attivisti reduci da una 'giornata vissuta pericolosamente'. “Appena siamo entrati nella base – ha raccontato uno dei ragazzi – siamo stati subito fermato dai militari che hanno comunicato alla centrale operativa della base il nostro ingresso. Dopo pochi minuti non abbiamo più sentito gli spari e l’esercitazione è stata interrotta. Gli uomini dell’esercito ci hanno chiesto i documenti. Chi non li aveva ha lasciato le proprie generalità e dopo circa un’ora siamo usciti”.

Mentre una parte dei manifestanti riprendeva la via di casa, una ventina di manifestanti che si trovavano sul lato esterno della recinzione del poligono sono stati raggiunti da agenti in tenuta antisommossa e manganellati. “Hanno dato qualche manganellata – ha raccontato un attivista a SardiniaPost – Ma ci siamo ben difesi e nel giro di poco la carica è terminata. Abbiamo aspettato che i nostri compagni uscissero e alla fine siamo qui vittoriosi”.

Forse nel tentativo di salvare la faccia i comandi militari hanno diffuso la notizia, naturalmente subito ripresa dalla maggior parte dei media isolani e italiani, che "al momento dell'irruzione dei manifestanti all'interno del poligono le esercitazioni erano ormai concluse"...

Fonte

02/08/2014

Westbrook: “La consegna degli aerei da guerra rende l’Italia complice dei crimini

Alenia Aermacchi M 346

di Stephanie Westbrook - Electronic Intifada 

L’Italia ha offerto un sostegno più concreto per l’ultimo attacco di Israele a Gaza di forse qualsiasi altra nazione dell’Unione Europea. Mentre i massacri sono cominciati all’inizio di questo mese, due jet aerei d’addestramento M-346 fabbricati in Italia sono stati consegnati a Hatzerim, una base dell’Air Force israeliana nella Naqab (Negev) .

Questi aerei da guerra – i più “avanzati” del loro tipo, secondo i produttori – saranno utilizzati per addestrare i piloti per le operazioni simili a quella ora in corso contro gli 1,8 milioni di persone di Gaza.

Le autorità di Roma non possono seriamente sostenere che i tempi di consegna del 9 luglio – due giorni dopo che l’assalto a Gaza è iniziato – siano una pura coincidenza. Israele ha intrapreso offensive contro Gaza e il Libano, e commesso innumerevoli violazioni dei diritti umani negli ultimi dieci anni. Eppure l’Italia ha approfondito la sua cooperazione militare con Israele.

I due velivoli sono i primi di una serie di trenta addestratori M-346 che Israele ha acquistato nel 2012 da Alenia Aermacchi, una società del Gruppo Finmeccanica, primo produttore di armi in Italia. Fanno parte di un appalto da 1 miliardo di dollari di un “reciproco” pacchetto che in gran parte ha favorito Israele. I rimanenti 28 velivoli devono essere consegnati entro il 2016. 

Disoneste

Roberta Pinotti, ministro della Difesa nel governo di Roma, ha dichiarato la settimana scorsa, che “l’Italia non rifornisce Israele con armi di natura offensiva”. Ha anche detto che l’Italia è conforme al codice di condotta della UE sulle esportazioni di armi, che è stato reso legge dal 2008. Entrambe le affermazioni erano disoneste. Perché gli M-346 sono aerei militari e il loro utente finale – Israele – sta occupando la terra di un altro popolo, atteggiamento che è offensivo per definizione.

Il codice di condotta dell’Unione europea, nel frattempo, vieta le vendite di armi se le armi in questione sono in grado di agevolare l’abuso dei diritti umani o del diritto internazionale. Ci sono ampie prove che Israele usa armi per violare i diritti dei palestinesi e il diritto internazionale.

Filippo Bianchetti, un portavoce del No M-346 al Comitato di Israele, ha spiegato che gli aerei sono dotati di armi nello stabilimento di Alenia Aermacchi nei pressi di Torino, prima di essere consegnati a Israele. I velivoli sono “pronti per l’uso nelle azioni offensive”, ha detto. Perché sono più piccoli rispetto agli altri aerei in arsenale di Israele, essi sono considerati più facili da gestire dagli strateghi militari e più “adatti” a offensive come quella contro Gaza, ha aggiunto.

L’elite italiana ha corteggiato Israele per un certo tempo. Nel 2005, il governo guidato da Silvio Berlusconi ha firmato un accordo con Israele, legando le due parti a cooperare sullo sviluppo di nuove armi, nello scambio di tecnologia correlata alle armi e sulla formazione militare.

Ultimamente, ci sono state alcuni appelli affinché l’accordo venga essere revocato e sia posto l'embargo sulle armi ad Israele. Giulio Marcon, un membro del parlamento italiano, ha chiesto, per esempio, se lo scopo di questa collaborazione è quello di “massacrare i civili e occupare la Striscia di Gaza”. 

Relazioni vergognose

Per sua vergogna, l’Italia sembra determinata a mantenere stretti rapporti con l’esercito israeliano. La scorsa settimana, le Nazioni Unite hanno dichiarato che un bambino palestinese è stato ucciso da Israele ogni ora nel corso dei due giorni precedenti. Lo stesso giorno in cui la statistica straziante è stata pubblicata (23 luglio), è stato annunciato che la Sardegna intende ospitare una esercitazione militare multinazionale il prossimo settembre. L’aviazione israeliana – che ora sta bombardando donne e bambini a Gaza – parteciperà.

Nota ai turisti per le sue belle spiagge, la Sardegna è anche la patria di oltre il 60 per cento dei poligoni militari italiani, tra cui tre dei più grandi d’Europa. Quando le esercitazioni si svolgono, le "no-go zone" a terra e in mare, coprono un’area più grande della stessa isola.

Quello che succede nei poligoni di tiro è classificato, però una cosa è certa. Anni di bombardamenti e l’uso di armi sperimentali hanno portato a gravi problemi ambientali e sanitari. Il suolo, l’aria, l’acqua e la catena alimentare sono contaminati da metalli pesanti; uno studio condotto nel 2010 ha rilevato che il 65 per cento degli allevatori di pecore in un raggio di 2,7 km da un sito per i test di armi erano affetti da leucemia o linfoma.

Ci sono stati anche difetti di nascita nei bambini e deformità negli animali, tra cui la nascita di agnelli a due teste. La prevalenza di tali problemi è così acuta che è diventata nota come la ” sindrome di Quirra ” dal nome di una delle basi militari. 

Focus sul boicottaggio

Circa il 40 per cento delle attività presso i poligoni di tiro viene effettuato da armaioli privati che affittano le strutture del ministero della Difesa italiano, al fine di testare armi sperimentali e fare vetrina dei sistemi di armi a potenziali acquirenti. L’esercito israeliano non esita a testare le armi sui civili. I medici che lavorano negli ospedali di Gaza hanno riportato lesioni insolite che credono siano causate dal lancio di DIME (esplosivi densi di metallo inerte), e altre armi sperimentali.

Rosalba Meloni del Social Forum di Cagliari, un gruppo che si oppone alle basi militari in Sardegna, ha detto che “due città in stile hollywoodiano per i giochi di guerra, una europea e l’altra mediorientale” sono in costruzione sull’isola come parte dell’espansione del poligono di tiro di Teulada. Questa è una chiara indicazione di dove sono in programma le guerre future.

Una campagna nazionale è stata organizzata contro la partecipazione di Israele alle esercitazioni sarde. “Ci concentreremo anche sulle campagne di boicottaggio contro Israele”, ha detto Meloni.

L’Italia è l’attuale titolare della presidenza di turno dell’UE. La sua flagrante violazione del diritto dell’Unione Europea contro la vendita di armi a chi viola i diritti umani è, dunque, un problema più grave. Purtroppo, però, sembra che sia poco probabile che gli altri governi UE chiamino l’ Italia a rendere conto. L’UE ha efficacemente sostenuto l’attacco di Israele su Gaza sostenendo – senza prove – che è in rappresaglia per il lancio di razzi di Hamas.

E' incoraggiante che gli attivisti contro la guerra qui stiano sostenendo l’appello palestinese per boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele. Con i governi dell’UE e delle istituzioni così felici di ripetere la propaganda israeliana, è essenziale che la gente comune d’Italia e altre parti d’Europa agisca.

(Traduzione a cura di “Il Popolo che non esiste”)

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18/05/2013

Inquinamento, “danni e alterazioni del Dna” nei bambini che vivono a Sarroch

E' quanto si legge in una ricerca epidemiologica condotta da otto ricercatori e pubblicata su Mutagenesis, rivista dell’Università di Oxford. La zona, in cui sorge l’agglomerato industriale petrolchimico e fino all’entroterra espropriato dal poligono militare di Teulada, è paragonata a Pancevo (Serbia). La Procura di Cagliari ha acquisito lo studio



I bambini di Sarroch (Cagliari) “presentano incrementi significativi di danni e di alterazioni del Dna rispetto al campione di confronto estratto dalle aree di campagna”. E’ quanto si legge in una ricerca epidemiologica condotta da otto ricercatori e pubblicata su Mutagenesis, rivista dell’Università di Oxford. Lo studio, sette cartelle fitte di dati e analisi, è stato acquisito dalla Procura di Cagliari, come scrive il quotidiano La Nuova Sardegna, e il fascicolo è sulla scrivania del pm Emanuele Secci, titolare dell’inchiesta giudiziaria sullo stato ambientale dell’area tra Cagliari, Pula e Teulada. Dove si trova Sarroch, il comune della provincia di Cagliari che ha visto il suo territorio devastato dalla presenza di veri e propri ecomostri: dal litorale su cui sorge l’agglomerato industriale petrolchimico che si è sviluppato a partire dalla raffineria di petrolio della Saras, fino all’entroterra espropriato dal poligono militare di Teulada (nella foto).

Un’area altrimenti ricca di sole, di mare e di splendide spiagge che i ricercatori di Oxford paragonano invece a quella della centrale termica di Taichung, a Taiwan, e a Pancevo, la cittadina industriale serba considerata tra le più inquinate del mondo e conosciuta come la città dei tumori. Lo studio pubblicato su Mutagenesis mette a confronto un campione di 75 bambini tra i 6 e i 14 anni che abitano vicino al sito industriale di Sarroch, con 73 loro coetanei che vivono invece nelle zone agricole e rurali dell’isola. Partendo dal presupposto che “la qualità dell’aria è una questione ambientale d’importanza primaria nelle aree industrializzate, con potenziali effetti sulla salute dei bambini residenti nelle aree circostanti” sono state rilevate le concentrazioni di benzene e di etil-benzene nell’aria, nei giardini della scuola di Sarroch e in un villaggio rurale.

E i risultati dicono che “I livelli esterni di benzene e di etil-benzene sono risultati significativamente più alti nei giardini della scuola di Sarroch rispetto al villaggio rurale. Elevate concentrazioni sono state inoltre rilevate nelle vicinanze del polo industriale”. Che la zona fosse a rischio è cosa nota. Diversi studi hanno già dimostrato che da queste parti ci si ammala di leucemia tre volte tanto rispetto alla norma. E già il documentario Oil di Massimiliano Mazzotta nel 2010 aveva aperto uno squarcio sugli effetti deleteri sulla salute e sull’ambiente prodotti dalla raffineria Saras della famiglia Moratti. Ma non è finita qui, perché la ricerca dell’Università di Oxford ha analizzato anche i livelli di alterazioni del Dna in uno studio effettuato su un sottocampione di 62 bambini.

E qui il risultato è ancora più scioccante “La ricerca dimostra che i bambini residenti in prossimità del polo industriale di Sarroch presentano anche significativi danni e alterazioni del Dna”, è scritto nelle conclusioni dello studio. L’inquinamento dell’atmosfera prodotto anche dal polo industriale di Sarroch potrebbe essere responsabile di vere e proprie mutazioni genetiche nel Dna dei bambini che lì vicino abitano, studiano e giocano. Interpellata più volte da ilfattoquotidiano.it, la Saras dei fratelli Moratti preferisce però non rilasciare alcuna dichiarazione in merito.

Fonte