Lo spettro della guerra
tra le monete incombe sulle relazioni economiche internazionali. Usa e
Giappone svalutano, l'euro si rafforza e contribuisce alla recessione
nell'Eurozona. Non è solo questione di rigidità.
La
competizione globale ha messo il piede sull'acceleratore e non sembra
fare sconti. L'allarme suona sulle svalutazioni competitive delle
principali monete e vede protagonisti tre poli ancora decisivi nelle
relazioni economiche mondiali: Usa, Giappone ed Eurozona. Il
settimanale Affari e Finanza dedica oggi ben due pagine a questa guerra
che, seppur combattuta senza missili, droni e bombardieri, non sarà
affatto senza vittime. Anzi.
La
Fed statunitense e la Bank of Japan usano sistematicamente il
quantitative easing per iniettare liquidità solo nel sistema finanziario
(ma non nel sistema produttivo). Uno degli effetti è l'aumento
dell'inflazione – che però viene “spammata” soprattutto sul resto del
mondo – l'altro è la svalutazione del dollaro e dello yen. Di
conseguenza la terza moneta – l'euro – si rafforza sulle altre monete. E
qui nascono seri problemi per i paesi dell'Eurozona, problemi non
uguali per tutti ma comunque problemi. ”L'Europa è l'area economicamente
più debole di tutto il pianeta, eppure la sua è la valuta più forte”
scrive oggi Eugenio Occorsio su Affari e Finanza. Un paragone e un
paradosso vero a metà. Il Giappone, ad esempio, sta indubbiamente peggio
dell'Europa.
Ma
il paradosso rende evidente una contraddizione. Quello che ad un
osservatore di buon senso appare un paradosso, è il risultato di una
politica economica e monetaria scelta coscientemente dalle autorità
europee sulla base di una totale subalternità agli interessi strategici
della Germania.
Italia
e Germania sono infatti le due maggiori potenze manifatturiere
dell'Eurozona. Ma sull'Italia la rigidità prima e la rivalutazione poi
dell'Euro ha avuto effetti devastanti. Al contrario, la Germania ne ha
tratto immensi vantaggi.
Secondo
Affari e Finanza l'euro forte incide negativamente per lo 0,4% sul Pil
italiano. Un imprenditore commenta che dalla sua introduzione, l'euro si
è rivalutato del 70% sul dollaro, “Il che significa che vendiamo con
uno sconto del 70%”. Per chi vende sul mercato operando con la moneta
statunitense è un vantaggio, per chi opera sul mercato con l'euro è una
mazzata.
L'Italia
è debole nell'export extraeuropeo, era fortissima sui mercati europei
diventati, con il mercato unico e la moneta unica, una sorta di mercato
interno. Ma invece di trarne vantaggi – ottenuti in passato con le
svalutazioni competitive della Lira – oggi ne paga le conseguenze.
Al
contrario, per le esportazioni della Germania, il mercato interno
europeo e l'introduzione dell'euro, hanno portato ad un surplus di
decine di miliardi. Nasce da qui la “rigidità” sul tasso di cambio della
moneta europea e la totale insensibilità sulle conseguenze dell'euro
nei paesi più deboli dell'Eurozona.
Come
si rifletterà questa situazione nella guerra della monete scatenatasi a
livello globale? Un vecchio saggio dell'economia mondiale come Marcello
De Cecco vede la Bce come un vaso di coccio tra i vasi di ferro. Perché? Perché mentre la Fed statunitense e la Banca del Giappone
cooperano con i governi, stampano moneta, non temono un aumento relativo
dell'inflazione, la dottrina tedesca della stabilità impone – dietro il
paravento della indipendenza della Bce dai governi – una continua
“lotta all'inflazione” che produce rigidità e deflazione.
Le
misure antisociali imposte poi dalle politiche di austerità e di rigore
sui bilanci a livello europeo, hanno aggravato la situazione dei paesi
europei più deboli – i Pigs – facendoli sprofondare in una inevitabile
recessione della quale non si vede ancora la fine. La Bce stessa ha
affermato recentemente che anche il 2013 sarà in negativo dal punto di
vista della crescita. A bocce ferme le autorità europee potrebbero
pensare qui e lì di allentare magari la morsa sulle politiche di
austerità. Il problema è che non si gioca a bocce ferme ma dentro una
guerra monetaria globale in cui gli altri poli – Usa e Giappone –
picchiano come dannati.
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