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16/08/2018

Ricostruire un paese che cade a pezzi: oltre il mito del privato e il pareggio di bilancio



Nell’agenda di un governo serio di un paese in cui ponti, viadotti e gallerie sono a costante rischio di crollo, ci dovrebbe essere al primo punto un grande piano di manutenzione straordinaria e di messa in sicurezza di queste infrastrutture, soprattutto di quelle più vecchie. Invece, ponti, viadotti e gallerie sono stati/e, regalati/e a privati senza scrupoli, che ogni mattina si alzano e si arrovellano sul come cercare di arrivare nel più breve tempo possibile al prossimo aumento dei pedaggi onde poter incrementare i dividendi tra i propri azionisti ed i vantaggi della propria davvero straordinaria rendita di posizione.

E pensare che per verificare la tenuta di un ponte come quello appena crollato a Genova, secondo Renzo Piano, sarebbe bastata una semplice “termografia”, ovvero, una tecnologia che non obbliga i manutentori a faticose e costose perforazioni. Purtroppo l’Italia queste tecnologie non le usa in casa propria, ma le esporta verso paesi in cui le norme sulla sicurezza delle infrastrutture sono certamente più stringenti. Da noi, si sa, basta uno studio legale importante per demolire un quadro normativo farraginoso ed inconcludente e per ipnotizzare un magistratura sempre molto sensibile alle ragioni dei potenti.

D’altronde nulla si è fatto e nulla si continua a fare nemmeno per la manutenzione straordinaria della rete ferroviaria né per mettere in sicurezza i territori divorati dal cemento per fermare la lunga serie di frane ed alluvioni annunciate che ormai vengono digerite ed archiviate dopo pochi giorni come se nulla fosse, come si trattasse di eventi naturali. Ma noi sappiamo bene che tutte queste tragedie, con il loro triste corollario di morti, feriti e mutilati, sarebbero evitabilissime. Succede però, che, nei piani aziendali dei privati che sfruttano le generose concessioni dello Stato, morti feriti e mutilati sono catalogati come effetti collaterali inevitabili e necessari; né più, né meno di come si fa in guerra.

Allora sarebbe finalmente ora di ammettere che – passata la sbornia delle privatizzazioni e delle grandi opere fatte con lo sputo dalle aziende subappaltanti in odor di mafia – i privati ai quali governi compiacenti hanno regalato due terzi del paese per consentirgli di accumulare, in modo facile e veloce, profitti giganteschi, non investiranno mai in manutenzione e sicurezza semplicemente perché non hanno alcun interesse a farlo.

Il nostro è un paese malato che può essere curato e salvato solo per mezzo di un grande piano di investimenti pubblici. Ma fin tanto che dentro la Costituzione rimarrà quella norma assurda e suicida che chiamano “pareggio di bilancio”, che impedisce allo Stato di spendere in deficit (dunque, mai), ci resterà soltanto da attendere inermi le prossime sciagure, rifare le conte dei morti e sperare di riuscire a salvare la pelle.

Un paese malato che non può spendere per curarsi è un paese morto.

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