Ogni giorno ha la sua pena e la pacchia è finita, anche per Giorgia Meloni. Il cuore dei problemi che tormentano il suo governo non sono (tanto) le boiate pazzesche seminate dai suoi complici nel governo e altrove – quella di La Russa viene direttamente dalla sentina della “contro-storia” da sempre in auge tra i fascisti – ma la capacità o meno di mantenere gli impegni presi con il governo centrale europeo.
O meno, decisamente.
Come avevamo persino noi facilmente previsto, l’inciampo vero, che rischia di diventare già decisivo, è il rispetto di merito e tempi del PNRR. Quel “programma” – comunque lo si giudichi, e noi non abbiamo certo lesinato le critiche… – porta miliardi di prestiti europei, ma solo se vengono prese decisioni scritte già minuziosamente a Bruxelles, senza esitazioni, ritardi, cambiamenti partoriti in sottoscala o sottobosco. E solo se quelle decisioni vengono tradotte in pratica secondo una tempistica non più contrattabile.
Chiaro che se cerchi di cambiare in corsa pezzi rilevanti di quel cronoprogramma – come la stessa Meloni ha solo ora candidamente ammesso – tutte le “coincidenze” temporali tra impegni realizzati ed erogazione dei fondi va a farsi benedire.
Ma già il fatto di “provarci” – a fare i furbi nei rapporti con poteri sicuramente più furbi e certamente più forti, come quelli europei – significa che non hai capito bene dove sei arrivato e cosa puoi davvero fare.
Qui l’oggettiva incompetenza di gran parte dei ministri scelti dalla stessa Meloni, o subiti nella contrattazione con gli alleati, pesa almeno quanto l’assenza di una visione all’altezza dei problemi (del Paese e della fase storica). I meno inesperti, come Raffaele Fitto, hanno già messo ben più delle mani avanti: “Completare le opere entro quella data [il 2026] è matematicamente impossibile. Dobbiamo dirlo in maniera chiara subito, non ce la facciamo”.
Fine della storia, insomma. E fa naturalmente ridere di rabbia vedere tutto l’esecutivo, a partire dalla “capa”, sciorinare il solito repertorio dei falliti (“il PNRR non l’abbiamo scritto noi”, “abbiamo ereditato una situazione difficile”, ecc.).
Ma la situazione è effettivamente disperata per il paese e la sua parte più povera, quella che si ritrova a subire il duplice attacco di un capitalismo multinazionale in forte crisi (l’Unione Europea, accettando il comando statunitense per la guerra, s’è suicidata anche sul piano economico) e l’ansia di arraffare di un micro-capitalismo casalingo dal fiato storicamente corto (delega fiscale e “codice Salvini” per gli appalti stanno lì a dimostrarlo).
E ci si ritrova oltretutto con uno Stato che – a parte i corpi di polizia e militari, sempre più numerosi ed esentati dalle mille “riforme delle pensioni” – si ritrova con vuoti di organico colossali e, soprattutto, di competenze di alto livello.
L’allegro smantellamento del pubblico impiego, sotto la sferza mediatica dei “furbetti del cartellino”, è andato avanti per quasi 30 anni a colpi di blocco del turnover, assunzioni precarie e blocco salariale. Questa era “la cura” che tutti i governi hanno applicato, indipendentemente dal “colore” politico. Non è insomma che i Brunetta e i Frattini abbiano fatto cose diverse dai Bassanini e dalle Madia...
E se l’ascia dell’austerità ha colpito più massicciamente le “funzioni di base” (impiegati, insegnanti, personale amministrativo degli enti locali, ecc), questa logica devastatrice ha finito per svuotare anche le funzioni tecniche apicali.
Perché un ingegnere, un economista o un architetto dovrebbero accettare le basse retribuzioni (e la bassissima reputazione sociale) offerte dal “pubblico”?
Ma quando poi si tratta di “mettere su strada” tutta una serie di provvedimenti – compresi o principalmente quelli previsti dal Pnrr – si scopre che non ci sono più funzionari sufficientemente competenti per gestire i dossier. Il governo precedente se n’era dovuto accorgere. Ma anche la pensata di Mario Draghi – assunzioni “temporanee” di tecnici qualificati – si è rivelata un fallimento (per gli stessi motivi).
Insomma. La situazione è davvero terribile e a gestirla ci dovrebbero pensare – sono stati eletti o scelti per questo – un gruppo di incapaci che si animano solo quando possono esibire un po’ di reducismo nostalgico per il Ventennio.
Il disastro appare assicurato. Poi, magari, tra qualche anno racconteranno al bar che loro non erano un vero governo, ma solo una “banda musicale di pensionati”...
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