Chiunque si sia trovato nel 1988 ad ascoltare per la prima volta "Nothing's Shocking" è probabile abbia avuto la sensazione che qualcosa stesse cambiando nel mondo delle sonorità alternative. Impossibile non riconoscere qualità del tutto nuove in quello strano mix di elementi apparentemente poco conciliabili, soprattutto in un decennio che fino a quel momento aveva fatto degli steccati (post-punk, synth-pop, hardcore, indie-rock, metal) una cifra stilistica primaria.
L'ibridazione, nello specifico tra influenze europee e americane, rendeva già al primo ascolto la musica dei Jane's Addiction sia nobile che stracciona, integra e sguaiata, o, per usare un'espressione meno sottile, santa e puttana, un gioco di contrasti nel quale Perry Farrell e soci davano l'impressione di muoversi con naturalezza sorprendente, ciceroni in un viaggio carico di psichedelia morbosa, trame di basso post-punk e aggressività hard rock a caratteri hollywoodiani. Ma andiamo con ordine.
Prima ancora della necessità di sbeffeggiare la pruderie dei benpensanti (e guadagnarsi la censura in alcune catene di dischi), la copertina di "Nothing's Shocking" sembra evocare una ricerca di esotismo, con quella coppia di statue lignee dal sapore quasi egizio, immortalate mentre la loro testa va in fiamme. Il fatto che siano gemelle siamesi unite all'altezza delle spalle e dei fianchi, con uno sguardo vagamente catatonico e del tutto indifferente alla combustione, fa però più pensare al fanatismo in stile Giovanna d'Arco che all'archeologia. Parallelamente, il loro corpo nudo pare sottendere l'intenzione di immolarsi sia per la causa già a vario titolo incendiaria del rock'n'roll sia per quella della libertà sessuale, temi entrambi molto cari allo stesso Farrell, autore dell'opera insieme alla storica fidanzata Casey Niccoli. Un insieme di cose alle quali è proprio il titolo del disco a dare forza, fingendo di negare le qualità scioccanti di una tracklist che invece fa di tutto per esserlo.
Peretz Bernstein (aka Perry, a cui l'interessato aggiunge Farrell in riferimento sia al nome del fratello sia all'assonanza con la parola "peripheral") è l'unico della band a non essere originario della California, essendosi trasferito da New York solo a inizio anni Ottanta, ma ha istantaneamente imparato a sguazzare negli stilemi della way of life losangelina, in primis quelli del surfista. L'impronta artsy della Grande Mela gli ha lasciato una certa fascinazione per le sonorità post-punk di scuola Uk, particolarmente evidenti nel repertorio della sua prima band (gli Psi Com) e utili per sperimentare affinità con una pletora di musicisti della zona, tra cui il bassista Eric Avery.
Eric non fa mistero di detestare gli Psi Com, ma ha un debole per Joy Division, Bauhaus e Velvet Underground, e questo fa di lui il candidato ideale per la nuova avventura artistica di Perry, ormai focalizzato sulla necessità di lasciare un segno tangibile nella cultura sotterranea della città degli angeli. Serve però ancora un cambio di paradigma, un affondo trasgressivo a cui Farrell anela da tempo, che grazie ad amicizie comuni si polarizza (non senza un'iniziale dose di scetticismo) verso il bagaglio metal di due habitué della scena locale, il batterista Stephen Perkins e il chitarrista Dave Navarro.
I Jane's Addiction emergono da un meticciato hippie di cui fanno parte anche Red Hot Chili Peppers e Fishbone, che si propone come alternativa all'industria musicale hollywoodiana fatta di machismo e contratti a sei zeri (un campo nel quale primeggiano i Guns'n'Roses), e sintetizzano pulsioni che li rendono immediatamente popolari nel circuito degli stessi locali da cui tra l'altro vengono spesso banditi. Pur di metterli sotto contratto, la Warner Bros rinuncia alla possibilità di avere qualunque forma di controllo sulle scelte artistiche della band, rispettando anche la volontà di quest'ultima di far uscire un live al Roxy Theatre per l'etichetta indipendente Triple X, nel 1987.
Quando il gruppo entra in studio per registrare "Nothing's Shocking" con il produttore Dave Jerden, l'hype nel giro underground di L.A. è a livelli altissimi. Farrell e soci sono pronti per fare del loro debutto discografico una sorta di trattato dove vissuto familiare, sesso, tossicodipendenza e racconto di una società costruita sulla violenza in tv confluiscono in un organismo bizzarro e inafferrabile, una sorta di serpente con le ali da farfalla.
A conti fatti, i Jane's Addiction sbandierano una forte componente chitarristica ma non sono assimilabili direttamente al metal, si inerpicano su pattern di basso scarni e introspettivi ma non sono nel giro post-punk, oscillano tra furia ritmica e momenti di improvvisa dolcezza ma non sono riconducibili all'alveo prog. La loro ricetta è un azzardo tenuto in piedi dal cantato stridulo di Farrell, in grado di passare liquidamente dall'aggressività isterica alla nenia sgraziata, probabili retaggi della frustrazione subita in una famiglia ebrea che fin dall'adolescenza non vedeva di buon occhio la sua passione per Led Zeppelin, Sly & The Family Stone, Stooges, David Bowie e Lou Reed. Il suo elemento (anche in senso surfistico) è l'acqua, e bastano i primi due brani in scaletta (l'intro strumentale "Up The Beach" - sublime nel trasmettere la ventosa epicità di un'onda alta dieci metri che ti scorre sotto la tavola da surf - e la dichiarazione programmatica di "Ocean Size") per capirlo.
Some people tell me
Home is in the sky
In the sky lives a spy
I want to be more like the ocean
No talking
All action
("Ocean Size")
Per assemblare in un corpus omogeneo le influenze dei quattro membri della band e farlo emergere in tutta la sua diversità rispetto ai principali competitor, Dave Jerden fa poche e semplici scelte: tiene al guinzaglio la componente caciarona della batteria (piatti e charleston), mette in primo piano cassa, rullante e tom (sottolineando l'indole tribalistica di Perkins) e ricrea le tonnellate di delay sotto le quali Farrell ha l'abitudine di seppellire la sua voce sul palco. In questi territori è più facile fare incontrare i due elementi maggiormente distanti fra loro, ovvero il basso suadente e oscuro di Avery (sul quale vengono sontuosamente edificate la già citata "Up The Beach", "Ted, Just Admit It...", "Summertime Rolls" e "Mountain Song") e la torrenziale cascata di pentatoniche blues e misolidie di Navarro.
Ma, come dicevamo, "Nothing's Shocking" è anche una sorta di confessionale, dal quale emerge che il litigio simbolico di Farrell con Dio in "Had A Dad" riguarda anche Avery, che scopre al liceo di avere un altro padre biologico ("I had a dad/ Big and strong/ I turned around/ And found my daddy gone"), oppure che il sognante realismo a due accordi della sempiterna "Jane Says" - dedicata all'amica Jane Bainter, figura di spicco di un collettivo artistico fondato dallo stesso Farrell - riflette anche la tossicodipendenza con cui hanno fatto i conti un po' tutti e infine che il riverbero della figura del primo serial killer della storia (Ted Bundy) in "Ted, Just Admit It..." racconta in qualche modo anche la madre di Navarro, assassinata a 15 anni da un suo ex-fidanzato.
Perry diventa l'alambicco attraverso il quale tutti gli elementi di umanità incarnata dalla band lasciano lo stato iniziale per cristallizzarsi nella rappresentazione dell'esistenza ideale, scevra da condizionamenti istituzionali (nel funky anfetaminico di "Idiots Rule", con la sezione fiati di Flea, Christopher Dowd e Angelo Moore, o "Pigs In Zen").
Le doti di surfista gli consentono di cavalcare tutti i confini, anche quello che separa l'immagine messianica del guru dall'allure tossica dello spacciatore all'angolo della strada. Un frullato estetico fatto di dreadlock, copricapi e visi emaciati, che insegue quello sonoro e anticipa di fatto gli anni Novanta, anche se non espressamente in termini di spleen. I Jane's Addiction declinano una contemporaneità tutta losangelina e riflettono un edonismo locale forse anche più radicato di quello reaganiano imperante, che non può prescindere dal prendere di mira le distorsioni della cultura televisiva americana, così splendidamente riassunte negli oltre 7 minuti di "Ted, Just Admit It...", vero zenith del disco. Qui, l'abbrivio dolcissimo e quasi rassicurante lascia poco per volta spazio a un sermone che deflagra nell'ipercinetico finale, perfetta analogia della normalizzazione della violenza in tv (soprattutto quella legata al sesso) e dell'incapacità della società di ammetterne l'esistenza - proprio come il personaggio del titolo, Ted Bundy, che nega nel parlato iniziale di aver mai commesso quei crimini (li ammetterà solo nell'ultima intervista in prigione, prima di morire, dichiarando che il suo comportamento era stato condizionato dalla pornografia).
Il melting pot sonoro di "Nothing's Shocking" agevola un percorso che parte dalla decostruzione dei dogmi del rock americano, passa dalla rinascita alternativa e arriva a diventare uno dei casi più eclatanti di underground che si fa overground, istituzionalizzando il cosiddetto crossover. Resta evidente il desiderio della band di risultare a suo modo rivoluzionaria facendo meno compromessi possibili con i dettami dell'industria discografica a stelle e strisce, attraverso undici brani (dieci per chi ha messo le mani da subito sull'edizione europea, che si chiude con l'uptempo jazz "Thank You Boys") carichi di tutta la sincerità di un mondo ossuto e nervoso, carismatico e spaccone, terribilmente sexy nel mettere a nudo il perbenismo della porta accanto. Dove ormai di scioccante non c'è più nulla.
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