di Gioacchino Toni
Cinque tra gli uomini più ricchi del pianeta invitano un massmediologo marxista in una località segreta nel deserto per ricevere una consulenza circa l’efficacia dei piani di fuga a cui stanno pensando in vista di quello che chiamano l’Evento, una non meglio definita catastrofe che prevedono si stia per abbattere sulla Terra.
Non si tratta di un romanzo o di un film. Questo è quanto è realmente accaduto a Douglas Rushkoff, docente di teoria dei media e di economia digitale presso il Queens College di New York, divulgatore sui temi dell’innovazione e dell’hi-tech e conduttore del celebre podcast “Team Human”.
Il volume di Douglas Rushkoff, Solo i più ricchi (Luiss University Press, 2023) si apre con lo stupore dell’autore per la bizzarra proposta ricevuta di raggiungere un lussuoso resort situato in una imprecisata località nel deserto al fine di fornire un suo parere sul “futuro della tecnologia” a un gruppo di uomini d'affari. Trattandosi di un’offerta economicamente importante, lo studioso accetta pur attendendosi la classica raffica di domande volte unicamente a comprendere se vale o meno la pena investire su questa o quella trovata tecnologica nel totale disinteresse circa l’impatto che avrebbero avuto sulla società.
Dopo un viaggio aereo in prima classe, proseguito poi in limousine, raggiunto un lussuoso resort in mezzo al nulla, il “massmediologo marxista”, come egli stesso si definisce, scopre di non dover tenere una conferenza a una platea di invitati ma bensì dialogare con soli «cinque tipi ricchissimi» appartenenti «alla più alta élite nel campo degli investimenti tecnologici e dei fondi speculativi» (p. 10).
Cosa diavolo vogliono da lui costoro? Qualche dritta su ove conviene investire in ambito tecnologico? Ed eccoci alla vera sorpresa: a costoro interessa capire quale zona del mondo subirà di meno la futura crisi climatica, se la minaccia principale deriverà dal cambiamento climatico o da una guerra biologica, quanto si potrà resistere isolati senza aiuto esterno e come potranno continuare ad esercitare la loro autorità sulle forze di sicurezza che dovranno difenderli nei loro bunker da razzie o ammutinamenti dopo l’evento. «L’Evento. Era il loro eufemismo per il collasso ambientale, le rivolte nelle strade, l’esplosione nucleare, la tempesta solare, il virus inarrestabile o l’hack informatico in grado di bloccare ogni cosa» (p. 11).
Insomma, per costoro ragionare sul “futuro della tecnologia” voleva dire trovare il modo per fuggire e isolarsi da una realtà sempre più pericolosa. Rushkoff ricorda come negli ambienti alternativi ci si fosse illusi agli albori della rivoluzione digitale che questa potesse rivelarsi una panacea per il bene dell’umanità mentre oggi lo sviluppo tecnologico, anziché preoccuparsi del bene collettivo, si è indirizzato alla sopravvivenza del singolo in grado di accumulare ricchezza. Le innovazioni digitali, insomma, anziché cambiare il mondo in direzione libertaria, si sono rivelate utili a mantenere al suo posto il vecchio sistema.
I business plan ottimisti con cui questa élite di ricconi bombardava il mondo sembrerebbero aver lasciato il posto a una frenetica ricerca di una via di fuga. Quasi si trattasse di un videogame, questi “miliardari della catastrofe” si preoccupano di essere i vincitori di un gioco di sopravvivenza in un contesto di economia virtuale. Che si tratti di un bunker sotterraneo, di un resort in qualche località remota e protetta o di un’astronave pronta a dirigersi su Marte, certo è uno strano modo di considerasi vincitori, se questo significa isolarsi dagli altri e da un mondo in via di distruzione.
Rushkoff indica con il termine Mindset quel particolare atteggiamento mentale diffuso tra gli appartenenti a questa élite di vincenti che li ha portati a ritenersi al di sopra dei comuni mortali ed a pianificare di lasciarsi alle spalle il resto dell’umanità sacrificando il mondo che hanno contribuito a distruggere.
Il Mindset, amplificato dalle tecnologie digitali e dalle nuove disparità che esse consentono, rende possibile esternalizzare facilmente i danni inflitti agli altri e induce a desiderare la trascendenza e il distacco dalle persone e dai luoghi danneggiati. [Il] Mindset si basa su uno scientismo del tutto ateo e materialista, che crede che la tecnologia possa risolvere ogni problema, soffre degli stessi bias del codice digitale, ritiene i rapporti umani un fenomeno di mercato, teme la natura e le donne, ritiene che i contributi del singolo non debbano nulla al passato e mira a neutralizzare l’ignoto dominandolo e privandolo di anima (p. 17).
Se i membri di questa élite ricchissima sono del tutto disinteressati alla crisi ambientale e non sono disposti a ripensare minimamente la corsa forsennata e indiscriminata al profitto divenuta sempre più insostenibile, suggerisce Rushkoff, è perché, da tempo, stanno progettando la “grande fuga solitaria” da un mondo divenuto invivibile. Durante la pandemia Covid-19, riporta il “New York Times”, gli agenti immobiliari specializzati in “isole private” – esistono anche questi – sono stati inondati di richieste.
In quanto devoti al Mindset, rifiutano da tempo la collettività e presumono di poter riprogettare il mondo a proprio piacimento, a patto di aver a disposizione abbastanza denaro e le giuste tecnologie. Le loro trovate per scappare dagli altri e diventare sovrani di sé stessi somigliano ai sogni tecnolibertari che spingono gli ultramiliardari a sfidarsi per colonizzare Marte, con la differenza che possono essere applicate qui sulla Terra (p. 25).
Mentre il mondo era nel caos della pandemia i ricchi se ne andavano in qualche località isolata in villeggiatura pensando di poter ignorare ciò che accadeva al di fuori della bolla in cui si erano rintanati credendola ermetica.
Il Covid, sostiene Rushkoff, «ha offerto un’agghiacciante anticipazione di come potrà essere un futuro di totale immersione nel digitale. Ci ha rivelato in modo doloroso e vergognoso che l’equazione dell’isolamento è latente in ciascuno di noi e che le tecnologie che usiamo sono in grado di inasprirla». La pandemia «ci ha dato una scusa per accettare uno degli elementi del Mindset […] ovvero il desiderio di progettare la nostra realtà in modo da rimuovere meticolosamente dall’equazione qualunque cosa minacci la nostra esistenza» (p. 43).
La tecnologia prospetta il mondo che si vuol vedere celando tutto ciò che può infastidire. Se l’isolamento che provoca è da un certo punto di vista reale, visto che abbassa il livello di empatia nei confronti degli altri esseri umani, dall’altro l’isolamento che promette è del tutto illusorio in quanto fondato su un sistema strutturato sulla connessione permanente.
Si pensa solo agli oggetti descrivibili e codificati: qualunque altra cosa va scartata […]. I ricchi tech entrano nel cloud e le masse restano ad accapigliarsi nel mondo reale. Come Cristo o qualunque altro simbolo di salvezza, solo gli individui del tutto codificati possono raggiungere la transustanziazione e passare al livello successivo. È così che stabilisce l’escatologia del Mindset (p. 83).
Se da un lato tale follia individualista è connaturata al sistema capitalista, a spingere sull’acceleratore in direzione del baratro è stato quel neoliberismo che per bocca di Margaret Thatcher ha spavaldamente rivendicato il suo intento di eliminare una volta per tutte la società in nome del più cinico individualismo incurante di imporre un gioco in cui i vincitori avranno come misera e unica cosa di cui godere l’avvenuto annientamento dei disprezzati concorrenti coincidenti con il resto dell’umanità. Insomma, rivendicando spavaldamente la proprietà del pallone, pur di non far giocare gli altri si preferisce ritrovarsi soli a palleggiare mestamente contro il muro. Divertimento assicurato. Ottimo risultato, non c’è che dire.
Le aziende di software, sostiene Rushkoff «non programmano più i computer, ma programmano le persone. Notifiche, swipe, like e “level up” sono stati sviluppati e ottimizzati per come innescano la dopamina a comando e danno origine a comportamenti compulsivi» (p. 91). I social sfruttano non solo l’innata paura degli umani di perdersi qualcosa (fear of missing out), trasformandola in voyeurismo e sorveglianza, ma anche i loro “istinti tribali” proponendo loro gruppi identitari di cui far parte. L’applicazione di dinamiche di gamification all’ambito lavorativo o più in generale all’intero universo comportamentale ha incrementato tanto il business di alcuni (pochi) quanto lo sfruttamento e l’ostilità competitiva di altri (i più). Risoluti dispensatori di verità in giacca e cravatta – o minimale maglioncino girocollo nero – che sfruttano l’apparente orizzontalità del messaggio “tra pari” millantato dalle tecnologie digitali tentano di convincere chi li ascolta che tutto quel che è loro stato raccontato fino ad ora è falso e che basta invertire le polarità, o il colore della pillola, per godere finalmente di una folgorante luce capace di rischiarare le tenebre. L’informazione individualizzata veicolata dal mondo digitale, scientificamente studiata per celare notizie e/o somministrarne di parziali o false, ha condotto a una schizofrenia di verità “fai da te” (in realtà “fatte per te”) da cui è sempre più difficile raccapezzarsi.
Di fronte a questo quadro d’insieme non mancano ricconi che «salgono sul carro della tecnologia dal volto umano». Costoro, però, denuncia Rushkoff, «non si preoccupano tanto dell’impatto delle loro piattaforme sulle persone, quanto piuttosto dell’impatto potenziale di quelle persone sulla loro sicurezza e sui loro privilegi. Temono che si rendano conto di quel che è successo finora» (p. 96).
L’idea di fuggire e poter ricominciare da capo altrove, abitando una sorta di bolla tecnologica (rigorosamente di proprietà) come si trattasse di un gigantesco videogame, si rivela ingenua quanto folle.
Non si può sfuggire alla tecnopoli, soprattutto se si vive per servirla e se si è diventati miliardari aiutandola a dominare il mondo. Ecco perché un tecnopolista che va nella foresta pluviale e si ubriaca di visioni finirà per esperire soltanto la sua visione dell’“unità delle cose” e con pervicacia da zelota vorrà riprodurla in grande stile nel mondo intero (p. 110).
Anziché pensare a come evitare la catastrofe, costoro pensano a come salvarsi da essa lasciandola accadere.
Per chi fa parte del Mindset il più grande pericolo sarebbe se noi ascoltassimo davvero quello che ci stanno dicendo e agissimo di conseguenza. Nelle tecno-utopie che ci raccontano nei TED Talk, dai pulpiti di Davos o nei pitch deck della Silicon Valley, noi esseri umani veniamo considerati come minuscoli pezzetti di ferro che oscillano tra poli magnetici posti da ricchi e potenti per impedirci di infastidire le loro vite (p. 123).
Conviene ascoltare attentamente le promesse dei colossi della tecnologia e dei politici alla loro mercé, conclude Rushkoff.
In tutti i loro grandi piani, nelle loro soluzioni tecnologhe e nei loro grandi reset c’è sempre un “un inoltre” o un “ma”: un elemento di profitto, un compromesso temporaneo, un qualche tipo di crudeltà, un effetto collaterale da risolvere in un secondo tempo o una scialuppa di salvataggio personale riservata al solo fondatore, con la promessa di tornare a prenderci durante il prossimo viaggio. Questa è la grande menzogna del Mindset, la bugia che ci stanno raccontando e che ripetono a sé stessi. Non c’è via di fuga, non c’è alcun “dopo”. Quel che non facciamo ora, non lo faremo mai più (pp. 158-159).
Nessun commento:
Posta un commento