di Flavio Bacchetta
Nei miei racconti spesso mi sono soffermato a descrivere gli episodi di cruenta ferocia di cui si sono macchiate le forze dell’ordine nel continente americano, tra le quali spiccano per efferatezza le polizie in Brasile, Giamaica e Haiti, dove qui però sono le milizie paramilitari ad infierire sulla popolazione.
Ho raccontato con dovizia di particolari la strage avvenuta a Lionel Town, un paesino dell’entroterra giamaicano, dove nel giugno 2021 una pattuglia impazzita ha aperto il fuoco su un taxi collettivo, provocando la morte di 4 passeggeri – tra cui 2 ragazzi minorenni – e il ferimento di altri sei.
Il principale responsabile, un detective noto per altri abusi, rimane tuttora non solo impunito, ma anche in servizio effettivo come se nulla fosse.
Par condicio vuole che io descriva anche la violenza non solo di poliziotti o criminali incalliti, ma anche di gente ordinaria che improvvisamente impazzisce. E uccide.
Morta perché non ci stava
Gleice Jaqueline do Nascimento aveva 31 anni e un figlio di otto. Dalla favela di Macaxeira a Recife, nello Stato di Pernambuco, si sorbiva 6 ore di bus tra andata e ritorno per lavorare come saldatrice al porto di Suape, nel Cabo de Santo Agostinho. Il suo incubo era uno stalker che la perseguitava da anni, motivo per cui si era trasferita da poco.
Una notte costui bussò alla sua porta brandendo un coltello. Al suo ennesimo rifiuto, l’uomo la colpì all’impazzata lasciandola moribonda.
Gleice non morì subito: il post mortem narra di choque hipovolémico, in pratica il lento dissanguamento le causò uno shock fermando il cuore.
Su segnalazione di un ragazzo che aveva provato a bloccarlo, rischiando di essere ucciso a sua volta, l’omicida venne arrestato dalla polizia e confessò il delitto.
Fu poi ritrovato il coltello e la sua maglietta intrisa di sangue.
Malgrado ciò, venne rilasciato per non essere stato colto in flagrante ed è tuttora a piede libero.
Un giallo all’incontrario, in cui si sa chi è l’assassinio fin dall’inizio, ma dove il vero mistero consiste nella tortuosità della lei brasileira: in primis, nonostante prove schiaccianti, senza la flagranza, in Brasile un qualsiasi avvocato d’ufficio può annullare la confessione asserendo che è stata estorta con la forza.
Il Stf, Supremo Tribunal Federal, nel 2020 ha proibito a causa della pandemia operazioni di polizia nelle favelas. Per cui, excluidos quali Gleice e la sua famiglia, che neanche può permettersi un avvocato, non meritano troppa attenzione.
La perla assoluta, sempre targata Stf, è la riforma di legge che prevede il carcere solo dopo il quarto grado di giudizio.
Prima in Brasile il sistema giuridico ne contemplava solo due. Ma a fine 2019, Cármen Lúcia, ministro Stf, impose al Tribunal Regional Federal da Quarta Região – che esaminava i ricorsi degli imputati nell’inchiesta Lava Jato – di liberare tutti i detenuti incarcerati dopo la condanna in secondo grado, tra i quali spiccava l’ex presidente Lula da Silva, che all’epoca aveva già scontato 580 giorni dopo la seconda condanna riguardante il triplex a Guarujá (SP).
Una riforma varata per tutelare l’immarcescibile Lula, ora candidato alle presidenziali di ottobre, accolta però come una manna dalla peggiore feccia brasiliana, tipo lo stalker omicida in questione.
Paradossale è che siano proprio i più deboli, privi di assistenza legale, a dover pagare le conseguenze di una legge concepita ad personam per colui che dovrebbe essere il loro nume tutelare.
Mass murder alla giamaicana
Dopo la guerra tra bande di scammers che il mese scorso ha insanguinato Spanish Town (l’antica capitale della Giamaica) e dintorni, uccidendo 14 persone in pochi giorni tra criminali, passanti incappati nelle sparatorie e un soldato, l’isola è di nuovo in stato di emergenza con St. Catherine, la seconda provincia per grandezza, circondata dai posti di blocco di polizia ed esercito.
Lo scammer è il delinquente che va più di moda oggi: specializzato in truffe telematiche e false vincite di lotterie, è quello che dispone di maggior cash e quindi di armamenti.
Fioccano in rete i video che mostrano i van della polizia caricare i cadaveri dopo gli scontri a fuoco.
Ma in questi giorni un’altra tragedia focalizza l’attenzione dei media e della gente: nella provincia di Clarendon, una giovane donna viene sgozzata insieme ai suoi 4 figli: una ragazzina di 15 anni, due bambine di 10 e 5, e l’ultimo nato di pochi mesi.
Mai in Giamaica era avvenuta una strage così feroce, non tanto per il numero delle vittime, quanto per la loro giovane età.
Tutti gli indizi convergono sul cugino ventiduenne, che è stato visto uscire di corsa dalla casa a tarda notte per poi sparire ed essere arrestato due giorni dopo. L’unico movente possibile, ma non supportato da prove, è ancora una volta il sesso: due mesi prima aveva avuto guai per aver abusato di una minorenne, e una delle vittime era quindicenne.
Sta di fatto che la gente non ne può più, terrorizzata da criminalità e police killings, e quando si toccano i bambini diventa spietata.
Sotto la pressione popolare e dei media, il tizio rischia la pena di morte, ancora in vigore quaggiù, anche se l’ultima sentenza è stata eseguita nel 1988.
La tragedia haitiana
Quando si tratta di Haiti, parliamo della nazione nell’emisfero occidentale (e forse del pianeta Terra) più tartassata in assoluto: Acts of God (uragani e terremoti, come quello del 2010 che uccise 250.000 persone e nello stesso anno un’epidemia di colera che ne falciò 10.000) e Acta of Men, quali i genocidi perpetrati dalla famiglia Duvalier, Papa Doc prima e Baby Doc in successione, che attraverso le loro squadre della morte – i famigerati Tontons Macoutes – ammazzarono circa 100.000 haitiani.
Senza dimenticare il ruolo immancabile che gli Stati Uniti esercitano sull’isola in chiave anti-comunista, avendo sponsorizzato entrambi i defunti dittatori – soprattutto durante la presidenza di Ronald Reagan – e occupazioni varie, l’ultima delle quali nel 1994, che se non altro servì a rimuovere la giunta militare che aveva deposto con un golpe il presidente eletto Jean-Bertrand Aristide, senza però cambiare di una virgola le condizioni miserande del Paese.
Negli ultimi tempi, lo stato di anarchia che ha caratterizzato Haiti dopo l’assassinio del suo presidente Jovenel Moïse avvenuto proprio un anno fa, ha provocato una sequela di rapimenti anche ai danni di residenti stranieri, 245 solo nel 2021.
Giovanni Calì, ingegnere italiano che lavorava alla costruzione di una nuova strada – rapito a giugno dello scorso anno dal gruppo "400 Mawozo" – fu rilasciato 20 giorni dopo, probabilmente a fronte di un riscatto di 500.000 dollari, cifra stratosferica per un paese il cui salario medio è meno di un dollaro al giorno.
Sempre lo scorso anno, nella capitale Port-Au-Prince furono rapite in un raid unico 10 persone, tra cui cinque sacerdoti e due suore.
Anche per loro la richiesta di un riscatto esorbitante: un milione in dollari.
Un altro italiano residente ha subíto di recente una rapina durante la quale gli autori non si sono accontentati dei soldi, portandogli via anche la compagna. Rapimento e riscatto-lampo, pagato il quale la donna è stata restituita al suo uomo dopo soli tre giorni.
Tornando al presidente ucciso, la polizia sembra aver individuato il mandante della death squad colombiana, composta da 26 elementi più due interpreti locali, nel Dott. Emmanuel Sanon, medico haitiano residente a Miami e rivale politico del defunto.
Moïse è stato comunque un pessimo capo di Stato: corruzione e povertà in aumento esponenziale durante la sua presidenza, oltretutto con una recrudescenza della criminalità che ha raggiunto il suo apice nell’anno passato, travolgendo lui stesso.
Non sempre sono i Migliori quelli che se ne vanno.
Conclusioni
L’America Latina e gli stessi Caraibi, a causa della presenza ingombrante del loro vicino stelle & strisce, assimilano ogni giorno di più quello stile di vita edonista e dispendioso, malgrado la miseria della maggior parte della popolazione. Ma ancora più grave è il comportamento arrogante – retaggio del Far-West – intriso di violenza e sopraffazione nei confronti del più debole, tipico dell’americano medio.
Anche i mass-murders non sono più un’esclusiva Usa ma vengono replicati ovunque, e tali atrocità sono la diretta conseguenza della proliferazione sempre maggiore di armi, legali e non.
Un esempio a riguardo: in Giamaica aumentano gli studenti tra i 14 e i 16 anni che tra libri e quaderni nascondono nello zaino – per conto delle gangs – pistole e caricatori. La polizia lo ha capito, e ora ai posti di blocco durante il controllo sui mezzi di trasporto pubblico i ragazzini vengono perquisiti, e se trovati in possesso di armi sono arrestati come gli adulti e scortati al carcere minorile. Una pratica, quella delle baby-gangs, che affligge il Brasile da sempre ma che era sconosciuta nei Caraibi fino a pochi anni fa.
Ciò è chiaro segno di imbarbarimento della società americana in genere che travalica i confini nazionali, dopo aver sostituito i valori con i social network, dove sesso, soldi e armi sono i totem trainanti in un contesto umano basato sulla competizione a tutti i costi con ogni mezzo possibile, che sia legale o meno.
Però aldilà delle gangs degli scammers in Giamaica o di bande impazzite senza punti di riferimento – se non la disperazione – che scorrazzano lungo Haiti, nella maggior parte dei casi la follia degli “ordinary men” esplode in omicidi “compulsivi” e non premeditati, tranne in alcuni casi come l’assassinio di Gleice, la ragazza brasiliana che secondo il codice machista del suo aguzzino, doveva essere punita per avergli negato il proprio corpo.
Nei mass murders, le carneficine sono dovute spesso a impulsi schizofrenici e paranoici che portano gli autori ad identificare nelle loro vittime una società ostile da annientare senza pietà. I casi di premeditazione negli omicidi in famiglia – tipo eliminare la moglie ricca (o il marito) per intascarne la polizza assicurativa milionaria – sono una minoranza.
Perlopiù si uccide sotto la spinta dell’adrenalina, per un’offesa, un litigio sui soldi o per gelosia. Di queste categorie è difficile tenere una casistica precisa, ma la tendenza generale, a detta di polizia e servizi sociali, è in costante aumento.
Nella maggior parte dei casi è un’arma bianca ad uccidere: coltello, machete, una mazza da baseball, un bastone o un comune cacciavite.
Oggetti che costano poco e sono di uso domestico a portata di mano.
E non occorre un porto d’armi per tenerli in casa; oltretutto, specie nei Caraibi e in America Latina, è consentito per uso agricolo portarsi dietro il micidiale machete.
Tutte armi “legali”, ma non per questo meno letali.
Le armi da fuoco rimangono comunque lo status symbol massimo.
E non è un caso se negli Stati Uniti la più potente associazione esistente – paragonabile alla Massoneria – in grado di influenzare le leggi di qualsiasi amministrazione che si alterni al potere, che sia repubblicana o democrat non ha troppa importanza, è la NRA (National Rifle Association) la lobby delle armi che da sempre fa il bello e cattivo tempo, malgrado la quantità industriale di mass murders, dovuti proprio alla facilità per l’ordinary man di comprare fucili, pistole e mitragliatori in qualsiasi Walmart locale, sovente senza che gli venga nemmeno richiesto un regolare porto d’armi.
Obama ha provato a invertire questa tendenza, ma sia in questo settore che in quello ospedaliero – nonostante l’Obamacare, la legge che dava la possibilità di usufruire della sanità pubblica gratuita agli strati della popolazione più indigenti – ha dovuto incassare una sonora sconfitta, bloccato dal Congresso a maggioranza repubblicana.
Armi e sanità privata, con cliniche a pagamento dai costi astronomici, sono il business più redditizio negli USA e non c’è presidente innovatore che tenga.
In Giamaica, forse la nazione che segue il percorso statunitense più acriticamente possibile, nella capitale Kingston – a Mountain View nei pressi della National Arena – esiste da molti anni la succursale caraibica della NRA.
Senza eccessi di fantasia, è stata a suo tempo battezzata JRA (Jamaica Rifle Association).
Un marchio d’autore, a garanzia delle prossime stragi efferate.
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