Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo sulla natura sociale ed economica della Cina, come contributo all’approfondimento di un tema fondamentale nell’analisi del mondo contemporaneo. Non necessariamente la redazione della rivista concorda in toto con i contenuti dell’articolo. L’autore, Alberto Gabriele, ha pubblicato sull’argomento due importanti volumi: Enterprises, Industry and Innovation in the People’s Republic of China – Questioning Socialism from Deng to the Trade and Tech War (2020) e, quest’anno, in collaborazione con Elias Jabbour, Socialist Economic Development in the XXIth century Challenges – One Century after the Bolshevik Revolution.
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di Alberto Gabriele
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Nella sinistra occidentale, e perfino tra le sue componenti più radicali e anticapitalistiche, tende a prevalere l’idea che il comunismo/socialismo (uso questo termine orribile per sottolineare come sia comune la confusione tra due categorie che dovrebbero invece essere tenute ben distinte) sarebbe una gran bella cosa, ma purtroppo non c’è da nessuna parte, probabilmente non c’è stato mai da nessuna parte, e tantomeno ci si sta avvicinando da nessuna parte. A mio parere, questa convinzione pecca di semplicismo e di essenzialismo, e ha anche un impatto fortemente demoralizzante. Tuttavia, tale opinione è spesso data per scontata anche da intellettuali di grande valore e di indubbia onestà intellettuale. Ad esempio, Alessandro Barbero ha affermato recentemente: «chi è comunista... ha un progetto, una visione del mondo, e pensa che il capitalismo, che attualmente è il sistema unico e il pensiero unico ovunque – compresa la Cina comunista beninteso, cosiddetta comunista – chi è comunista davvero pensa che il capitalismo debba essere superato, e che sia possibile costruire una società con delle regole diverse. Ora, questo progetto non c’è oggi nel mondo. Non c’è da nessuna parte... da nessuna parte al mondo c’è qualcuno che pensa davvero si potrebbe andare al potere e confiscare le fabbriche ai proprietari e cambiare radicalmente i rapporti economici... nessuno lo pensa, nessuno forse lo vuole fare, e allora diventa un po’ difficile dichiararsi comunista» (Barbero 2022).
A mio parere, invece “...parafrasando Mark Twain, la notizia della morte del socialismo è grossolanamente esagerata[i]. Esistono molti paesi del mondo in cui governi guidati da forze comuniste, progressiste e rivoluzionarie stanno cercando di modificare i rapporti sociali di produzione nella direzione del socialismo, con maggiore o minore successo, dalla Bolivia al Nepal, senza naturalmente dimenticare Cuba, che resiste all’embargo da più di sessant’anni e sta controllando l’epidemia di Covid molto meglio di qualsiasi paese capitalista europeo o americano...” (Gabriele 2022).
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Per capire la natura e il significato del socialismo contemporaneo è necessario comprendere e sviluppare creativamente le categorie fondamentali del marxismo. In termini estremamente semplificati – data l’economia di questo breve articolo – si deve partire da una parziale reinterpretazione delle categorie di Modo di Produzione (MP), Formazione Economico-Sociale (FES) e di Legge del Valore (LV).
Il MP va visto come “una struttura logica pura e astratta, piuttosto che – come nel caso delle FES del mondo reale[ii] – una manifestazione storica concreta. In quanto tale, ad un alto livello di astrazione, si può in qualche modo affermare paradossalmente che l’essenza centrale di ogni MP è data e immutabile.” (Gabriele e Jabbour 2022, capitolo 29, trad. mia).
“La LV è una legge di circolazione sistemica e una condizione di coerenza interna... che implica che i prezzi di produzione di beni e servizi ai fini della loro vendita sul mercato debbano essere:
i) compatibili con il livello del salario reale e con il saggio del profitto;
ii) ampiamente corrispondenti alla quantità di lavoro e (possibilmente) ad altri beni necessari per produrli, tenendo conto della tecnologia prevalente.” (Gabriele e Jabbour 2022, capitolo 5, trad. mia).
In ogni FES coesistono nella pratica due o più MP, che presentano gradi diversi di forza e potenziale di sviluppo (anche se in alcuni di essi il predominio nazionale di un MP è schiacciante, al punto da oscurare la presenza di altri MP). L’interrelazione tra i diversi MP evolve in uno stato di flusso perenne, in cui lunghi periodi di relativa calma e stabilità si alternano ad altri più turbolenti e instabili. Durante i primi, le caratteristiche distintive della longue durée e della stabilità consentono di identificare in ogni paese una FES dotata di caratteristiche specifiche e ben definite. Durante i periodi di instabilità, invece spesso è difficile prevedere quale MP alla fine prevarrà a livello nazionale.
Tuttavia, solo alcune configurazioni di MP possono verificarsi sia a livello nazionale che internazionale, per l’esistenza di un insieme di vincoli strutturali immanenti e universali legati alla vigenza della LV anche nelle FES che possono considerarsi più avanzate in senso socialista[iii]. Questi vincoli limitano i gradi di libertà di tutti i tentativi nazionali di perseguire una strategia di sviluppo coerente con i principi base di ogni specifico MP (compreso il socialismo), anche nei periodi in cui un nuovo MP sta diventando progressivamente egemonico su scala globale, segnalando così il passaggio a un nuovo MP globalmente dominante a livello mondiale. Di norma, un MP tende ad essere globalmente dominante, ma ci sono periodi storici in cui si verifica una transizione da un MP globalmente dominante a un altro. Evidentemente, è ancora più difficile prevedere quale MP è destinato a prevalere a livello mondiale nel lunghissimo periodo, anche se è possibile identificare e analizzare alcune tendenze chiave.
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Questo approccio ha una importante implicazione epistemica e terminologica: nella realtà storica non esistono FES che rappresentino una manifestazione di un dato MP allo stato puro, ma solo che incorporino elementi dell’uno o dell’altro MP in maggiore o minore misura. Questo caveat si applica a fortiori al MP socialista, tenuto conto della sua “giovinezza” storica (dal 1917 è passato poco più’ di un secolo, un’inezia) e del fatto che è dominante solo in alcune FES, non a livello globale. Per analizzare correttamente la realtà dei rapporti sociali di produzione e di scambio in una FES realmente esistente è quindi opportuno introdurre due altri concetti: socialisticità / socialistico e orientamento socialista/ orientato verso il socialismo. I termini socialisticità (sostantivo) e socialistico (aggettivo) sono molto brutti, eppure sono utili[iv]. Entrambi si riferiscono alla proprietà olistica di essere in accordo con il socialismo. Per definizione, socialistico è un aggettivo comparativo, che non può essere usato in modo dicotomico e assoluto (al contrario dell’aggettivo socialista). Cioè, si può dire che il paese A è moderatamente socialista, o più socialista del paese B, ma non che il paese A è socialista tout court. Al contrario di socialisticità e socialistico (che potrebbero sembrare esotici a molti lettori), i termini orientamento socialista e orientato verso il socialismo hanno una connotazione dicotomica (un paese è orientato verso il socialismo oppure no), e sono facilmente comprensibili nel loro significato ordinario. Di per sé sono termini piuttosto vaghi, aspirazionali, che si riferiscono a un atteggiamento politico, etico e culturale coerente con la volontà di costruire il socialismo. Tuttavia, euristicamente, si può attribuire a questi termini una ulteriore connotazione più specifica, definendo orientate al socialismo quelle economie nazionali contemporanee e preesistenti che soddisfano due condizioni necessarie e sufficienti: a) sono (o erano) guidati da forze politiche che dichiarano ufficialmente e credibilmente di essere impegnate in un processo volto a stabilire, rafforzare, o migliorare e sviluppare ulteriormente un sistema socioeconomico socialista, e b) possono (o avrebbero potuto) essere considerate abbastanza socialistiche, perché mostrano di avere fatto dei passi significativi verso il socialismo almeno in alcune dimensioni misurabili (i.e. ruolo dello stato, rapporti di proprietà, polarizzazione sociale, etc.) che rappresentano le loro principali caratteristiche economiche e sociali strutturali. A questo proposito è evidente che la valutazione del grado di socialisticità di una FES è un esercizio basato su una analisi seria e il più possibile obbiettiva di tutte le informazioni disponibili, utilizzando gli strumenti della scienza economica e, se necessario, di altre scienze sociali (i.e. sociologia, antropologia), ma inevitabilmente condizionato da giudizi di valore e dal punto di vista dell’osservatore.
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Tra le varie forme più o meno autentiche e più o meno imperfette di socialismo che si sono manifestate in vari paesi dal 1917 a oggi, la più avanzata è il socialismo di mercato contemporaneo, che si è venuta sviluppando in modo indipendente ma con caratteristiche strutturali straordinariamente simili in Cina e in Vietnam a partire dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso (vedi Gabriele e Jabbour 2022). In ultima analisi, il socialismo di mercato contemporaneo è superiore ad altre forme più o meno realizzate di “socialismo” che esistono o sono esistite precedentemente in Cina, in Vietnam e in atri paesi, perché interiorizza ed endogenizza una lezione fondamentale, che deriva direttamente da una interpretazione corretta di una delle più importanti categorie marxiane: la necessità di tenere conto dei vincoli imposti dalla LV nel quadro della pianificazione socialista. Gli straordinari successi di Cina e Vietnam nello sviluppare le forze produttive, combattere la povertà e promuovere lo sviluppo umano sono noti e non hanno bisogno di essere ulteriormente dimostrati, essendo stati riconosciuti da varie agenzie delle Nazioni Unite e da quasi tutti gli osservatori seri occidentali.
In questo breve articolo mi limito a menzionare tre indicatori importantissimi relativi alla Cina, sulla quale mi concentrerò nelle ultime sezioni[v].
Crescita economica
“Nel periodo 1971-2020, grazie allo straordinario ritmo di crescita dell’economia cinese, il PIL della RPC è passato dal rappresentare appena un 5% del PIL degli Stati Uniti a costituirne il 76%. Se agli inizi degli anni ’70 l’economia cinese era di dimensioni quasi pari a quella indiana, adesso il PIL della RPC è quasi sei volte più grande di quello dell’India.” (Gabriele 2022)
Eliminazione della povertà
«Nel 1990 c’erano più di 750 milioni persone in Cina che vivevano sotto la linea internazionale di povertà assoluta – circa due terzi della popolazione. Nel 2012, il loro numero era sceso a meno di 90 milioni» (Goodman 2021). Nel febbraio 2021 la RPC ha dichiarato di avere completamente eliminato la povertà assoluta (Zhuoran Li 2021, Huaxia 2021a,b , The State Council Information Office of the People’s Republic of China 2021, ibid.)
Aspettativa di vita
“Tra tutti gli indicatori di sviluppo umano, l’aspettativa di vita – che dipende da molti fattori tra loro interconnessi, tra cui il reddito, la sicurezza alimentare e l’educazione (soprattutto femminile) – è per ragioni evidenti quello più importante e significativo. L’aspettativa di vita in Cina è cresciuta da 43,5 anni nel 1950 a 77,1 anni nel 2020, aumentando a un tasso elevato soprattutto durante il periodo maoista. Secondo stime preliminari, l’aspettativa di vita in Cina ha superato recentemente quella degli USA, devastati dal COVID-19, dove questo indicatore è sceso a 77 anni nel 2020 (1,8 anni in meno che nel 2019). Nel 2022, si stima che l’aspettativa di vita in Cina sia arrivata a 77,3 anni” (Knoema 2022, Macrotrends 2022, Santhanam 2021) (ibid.)
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Ma la Cina è veramente socialista, o rappresenta una variante particolarmente efficace di capitalismo (magari “di stato”)? Come ho spiegato sopra, a questa domanda non si può rispondere in modo manicheo e dicotomico, come se si trattasse di distinguere il bianco dal nero[vi]. Sarebbe come dire, ad esempio, che la Francia del XVIII secolo era completamente feudale al 100%, mentre quella del XIX non lo era più per niente – o che l’Inghilterra del 1790 non era affatto capitalistica, ma quella del 1820 lo era al 100%. Detto questo, la mia opinione è che il sistema socio-economico della Cina contemporanea presenta caratteristiche strutturali così diverse da quelli dei paesi capitalisti da non potere essere considerato anch’esso capitalista; malgrado le sue numerose imperfezioni e contraddizioni, è anche parecchio socialistico, come dimostrano (a mio parere) alcuni dati, stime e fatti stilizzati a cui faccio rifermento in modo telegrafico.
Come osserva Branko Milanovic (2020): “All’inizio delle riforme, lo Stato fissava il 93% dei prezzi agricoli, il 100% dei prezzi industriali e il 97% dei prezzi al dettaglio. A metà degli anni ’90, queste proporzioni erano state invertite: il mercato determinava il 93% dei prezzi al dettaglio, il 79% dei prezzi agricoli e l’81% dei prezzi dei materiali di produzione... Oggi, una percentuale ancora più elevata dei prezzi è determinata dal mercato.”
In realtà, queste stime sono pienamente coerenti con l’essenza del modello socialista di mercato cinese. Il governo non fissa il prezzo dei gelati (grazie a Dio). La pianificazione è compatibile con il mercato, e si concentra piuttosto su obbiettivi strategici chiave, come la promozione degli investimenti, l’accumulazione di capitale, la (quasi) completa occupazione, l’innovazione e il progresso tecnico, la protezione dell’ambiente e l’attuazione di mega-progetti a lungo termine come la Via della Seta e il Made in China 2025.
La Cina non ha mai privatizzato la terra, né le componenti chiave dell’industria pubblica, delle grandi imprese infrastrutturali, e tantomeno le banche: “Gli agricoltori non sono lavoratori salariati, ma principalmente lavoratori autonomi, inquadrati in quella che la terminologia marxista chiama “produzione semplice di merci” ( Milanovic 2020).
Le statistiche cinesi pubblicano regolarmente dati sulle imprese industriali nazionali e straniere al di sopra di una certa dimensione. Le imprese nazionali comprendono le imprese pubbliche, i collettivi, le cooperative, le società a responsabilità limitata (SRL) le società per azioni (SPA) e le imprese private (IP). Le imprese straniere comprendono le imprese di Hong Kong, Macao e Taiwan (IHKMT) e le imprese del resto del mondo (IRM). Esistono quindi tre gruppi di imprese prettamente capitaliste in Cina: IP, IHKMT e IRM (vedi Annuario Statistico della Cina (ASC), vari anni).
A questo proposito è necessario chiarire un punto chiave relativo ai rapporti (formali e sostanziali) di proprietà e controllo prevalenti in queste imprese. In un lavoro recente (Gabriele 2020) ho cercato di dimostrare che l’unica plausibile interpretazione delle statistiche industriali cinesi è che le imprese miste classificate come SRL e SPA tout court (senza indicare esplicitamente chi le controlla), non essendo controllate da privati, siano indirettamente controllate dallo Stato. Queste imprese miste sono “il risultato del grande processo di trasformazione in società per azioni condotto dall’inizio di questo secolo, e costituiscono la componente più importante della strategia di sviluppo economico orientata al socialismo nell’ambito dell’evoluzione dei diritti di proprietà e delle strutture delle imprese. Pertanto, sono concettualmente imprese non capitaliste orientate al mercato (INCOM). Nel settore industriale, le INCOM comprendono sia società controllate direttamente (imprese pubbliche, collettivi, cooperative, società statali in comproprietà e società finanziate esclusivamente dallo Stato) sia società controllate indirettamente dallo Stato.” (Gabriele e Jabbour 2020).
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Il ruolo delle imprese straniere, pur non irrilevante, non è di primaria importanza, ed è diminuito recentemente. Le IP si sono moltiplicate, e ora sono di gran lunga la categoria più numerosa. Hanno anche aumentato la loro quota relativa in termini di capitale e produzione (oltre ¼ della capitalizzazione e il 45% della produzione industriale), ma per la maggior parte sono ancora di modeste dimensioni.
Le INCOM industriali, tuttavia, hanno consolidato la loro posizione di dominio in termini di capitalizzazione. La loro quota di produzione industriale è diminuita, ma a un ritmo progressivamente decrescente, che sembra puntare a una sostanziale stabilizzazione intorno al 48% del totale. Anche la loro quota di profitti e occupazione industriale si è stabilizzata a circa il 40%. Semplici elaborazioni di altri dati ASC, inoltre, mostrano che il grado di capitalizzazione delle INCOM industriali è superiore a quello delle imprese straniere e più che doppio rispetto a quello delle IP. Dalla metà degli anni 2000 le INCOM superano anche le imprese capitaliste sia nazionali che straniere in termini di produttività del lavoro. Anche il loro livello di redditività media è buono, sebbene non tanto quanto quello delle imprese capitaliste. Questa performance complessiva delle INCOM è il risultato di tendenze abbastanza diverse manifestatesi nelle due sottocomponenti. Il rapporto capitale / lavoro delle imprese a controllo statale diretto è più che raddoppiato rispetto alla media dell’industria e ha continuato ad aumentare, poiché queste imprese hanno l’onere strategico di spingere l’accumulazione di capitale della Cina oltre la soglia che sarebbe normale in un paese capitalistico. Poiché devono portare questa croce per il bene di tutto il paese, le imprese controllate direttamente dallo Stato pagano un prezzo in termini di indicatori di produttività e redditività.
Anche i dati sull’occupazione confermano che la rilevanza quantitativa della componente capitalista dell’economia cinese viene spesso sopravvalutata. La percentuale di lavoratori occupati da IP è in aumento, e nel 2018 ha raggiunto oltre ¼ del totale nazionale[viii]. Tuttavia, oltre il 70% degli occupati lavora nelle INCOM, nelle organizzazioni pubbliche non commerciali i.e., (i.e., sanità, scuole, università, pubblica amministrazione, esercito, etc.) o autonomamente. La grande maggioranza dei lavoratori cinesi non è direttamente impiegata dai capitalisti (vedi Gabriele 2020).
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Il “socialismo con caratteristiche cinesi” non è certo un esempio di perfezione. Da molti punti di vista, anzi, è talmente lontano dagli ideali socialisti che non si può nemmeno considerarlo socialista in senso compiuto e “forte” (tenendo conto, ad esempio, dei risultati ancora inadeguati degli sforzi in corso per combattere la disuguaglianza[ix] e il degrado ambientale). Ma, sicuramente, in Cina si sta sviluppando una FES radicalmente differente dal classico modello capitalista, nella quale il MP socialista è strutturalmente, stabilmente e crescentemente dominante.
Riferimenti bibliografici
Abalkin, L., 1988, For a New Economic Thinking. Nova Mysl and Kommunist Roundtable, n. 15, pp. 59-71, 1988.
Abalkin, L. 1989, Market in the Socialist Economic System. Moscow, USSR: Academy of Sciences, Institute of Economics, 1989.
Annuario Statistico della Cina (ASC), vari anni.
Barbero A. (2022), Perché Fascismo e Comunismo non sono uguali, intervista on line in “Youtube”.
Bellando E., 2020, “From each according to his ability, to each according to his needs”:what could it possibly mean, and what lies behind this Marxian principle?PhD Dissertation, The Graduate School, Stony Brook University (non pubblicato)
Gabriele A., 2020, Enterprises, Industry and Innovation in the People’s Republic of China – Questioning Socialism from Deng to the Trade and Tech War, Springer.
Gabriele A. e Jabbour E., 2020, La Cina non è capitalista, La Fionda, 5 Maggio 2020.
Gabriele A. e Jabbour E., 2022, Socialist Economic Development in the XXIth century Challenges One Century after the Bolshevik Revolution.
Goodman J. 2021, Has China lifted 100 million people out of poverty?, BBC 28 February 2021.
Huaxia (2021a) (ed.), Xi declares “complete victory” in eradicating absolute poverty in China, on “Xinhua”, February 2.
Huaxia (2021b) (ed.), Poverty Alleviation: China’s Experience and Contribution, on “Xinhua”, April 6.
Jain-Chandra S., Khor N., Mano R, Schauer J.,Wingender P. And Juzhong Zhuang (2018), Inequality in China – Trends, drivers and policy remedies, International Monetary Fund, Washington DC, June 5.
Khan, H., Schettino F. e Gabriele A., 2021,Polarization and the Middle Class in China: a Non-Parametric Evaluation Using CHNS and CHIP Data, 2021, Structural Change and Economic Dynamics, 57C (2021), pp. 251-264
Knoema (2022), China Life expectancy at birth, 1950-2020,
Macrotrends 2022, China Life Expectancy 1950-2022, Retrieved on January 18 2022
Milanovic B. 2020, Es China realmente capitalista?, El Pais, 15-04-2020
Santhanam L. (2021), COVID helped cause the biggest drop in U.S. life expectancy since WWII, PBS, Dec 22, 2021
The State Council Information Office Of The People’s Republic Of China 2021, Poverty Alleviation: China’s Experience and Contribution
The State Council Information Office of the People’s Republic of China, April 2021, in Huaxia 2021 b(ed.)
Twain M., 2022, Frase di Mark Twain
Zhuoran Li (2021), How Successful Was China’s Poverty Alleviation Drive?
China eliminated extreme poverty, a monumental achievement. But the root causes of poverty persist, in “The Diplomat”, September 06
Note al testo
[i] Vedi Twain 2022.
[ii] “Se (secondo giudizi di valore contestabili e falsificabili espressi da osservatori informati) uno specifico sistema socioeconomico nazionale è considerato strutturalmente dotato della proprietà di un’adeguata stabilità, si può sostenere che esso costituisca una FES) (Gabriele e Jabbour 2022, trad. mia).
[iii] L’impossibilita’ di superare pienamente la LV implica naturalmente l’impossibilita’ di realizzare pienamente il comunismo – lo stato di totale libertà in cui vige il principio da ognuno secondo le sue possibilità, a ognuno secondo i sui bisogni. Il comunismo va dunque visto come una utopia positiva, un punto di riferimento ideale al quale nel tempo storico e’ materialmente possibile avvicinarsi asintoticamente (vedi Bellando 2020).
[iv] Questi termini non sono mai stati usati ampiamente, ma la loro origine risale alla metà del XIX secolo. Vedi ad esempio Abalkin 1988, 1989.
[v] Per una analisi del socialismo di mercato in Vietnam e delle analogie e differenze tra il “modello” vietnamita e quello cinese, vedasi ad esempio Gabriele e Jabbour 2022, Part III.
[vi] “Sarebbe come dire, ad esempio, che la Francia del XII secolo era completamente feudale al 100%, mentre quella del XIII non lo era più per niente – o che l’Inghilterra del 1790 non era affatto capitalistica, ma quella del 1820 lo era al 100%.” (Gabriele 2022)
[vii] Questi risultati sono il prodotto di tendenze abbastanza diverse manifestatesi nelle due sottocomponenti delle INCOM. Il rapporto capitale/lavoro nelle imprese a controllo statale diretto è più che doppio rispetto alla media dell’industria e ha continuato ad aumentare, poiché queste imprese hanno un ruolo chiave nel sostenere l’accumulazione di capitale, ben oltre la soglia che sarebbe normale in un paese capitalistico. Non sorprende che, nel perseguire questo obbiettivo macroeconomico di carattere strategico, le imprese controllate direttamente dallo Stato debbano pagare un prezzo in termini di produttività e redditività. Al contrario, le imprese miste controllate indirettamente dallo Stato priorizzano gli obbiettivi commerciali, e pertanto, hanno ottenuto prestazioni migliori a livello di impresa. Anche queste imprese hanno investito molto, e il loro tasso di crescita della produttività del lavoro è stato il più alto di tutta l’industria (maggiore sia di quello delle imprese totalmente pubbliche che di quello delle imprese capitaliste). La redditività delle imprese miste controllate indirettamente dallo Stato si colloca a un livello intermedio tra a quella delle loro controparti controllate direttamente e quella, più alta, delle imprese capitaliste che si dedicano esclusivamente alla massimizzazione del profitto.
[viii] Nel 2016 i lavoratori occupati nelle IP erano oltre 1/3 del totale nelle zone urbane e il 6% in quelle rurali.
[ix] Vedi Jain-Chandra, Khor N., Mano R, Schauer J.,Wingender P. e Juzhong Zhuang (2018); Khan, Schettino e Gabriele 2021
Fonte
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