di Guido Salerno Aletta
Per i conflitti economici e politici che animano il settore dell'energia, si guarda troppo spesso solo all'Europa, al gas che proviene dalla Russia o dal Qatar, al petrolio che viene dall'Arabia Saudita, ai percorsi alternativi che oggi si disegnano per diversificare le fonti di approvvigionamento.
È di queste ultime settimane la notizia della costituzione di un consorzio internazionale per lo sfruttamento di un nuovo grande giacimento scoperto da tempo in Algeria, ma che in passato non veniva considerato utile visto che l'Europa aveva già forniture ampiamente sufficienti provenienti dalla Russia.
Parimenti, dopo decine di anni di discussioni andate a vuoto, i rappresentanti di Nigeria, Niger ed Algeria si sono incontrati per definire la realizzazione del gasdotto che attraverserebbe il Sahara Meridionale che porterebbe in Europa il gas nigeriano.
Insomma, si tratta di fare nuovi investimenti, assai consistenti, sia nel primo che nel secondo caso: i risultati concreti si vedranno solo tra qualche anno, sulla base di contratti di fornitura di lungo periodo, con un orizzonte di almeno quindici o venti anni. È una alternativa, quella del maggior gas che proverrebbe dalla Nigeria e dall'Algeria, che mette fuori gioco l'idea di usare le navi metaniere per rifornirsi dal Qatar o dagli stessi Usa: i costi del trasporto via mare del gas liquefatto, per la costruzione delle infrastrutture di stoccaggio e poi per la rigassificazione sono assolutamente incomparabili rispetto a quelli del trasporto via gasdotto. E sono irrealizzabili, in un caso per ragioni geopolitiche e nell'altro per motivi tecnici ed economici, due gasdotti alternatici che portino in Europa il gas del Qatar o quello degli Usa. Tenuto conto del fatto che quest'ultimo viene prodotto con il sistema del fracking dei depositi di scisto, lo "shale gas".
Ed è di qui che bisogna ripartire: l'indipendenza energetica americana, il fatto che non sono più necessariamente importatori netti di energia, è stata una scelta assai travagliata e soprattutto costosa, che ha messo fuori mercato l'economia americana. In primo luogo va ricordato che da sempre gli Usa hanno fatto affidamento sul petrolio venezuelano: giacimenti enormi ma da cui si estrae un greggio di qualità assai complessa da raffinare e da trasportare. Non è un caso che il mercato petrolifero europeo faccia invece riferimento al Brent ed al petrolio arabo, molto più leggero.
Oltre ai gloriosi e storici giacimenti petroliferi del Texas e dell'area del Mississippi-Missouri, gli Stati Uniti avevano una alternativa immediata: farsi arrivare il petrolio dal Canada attraverso un gigantesco oleodotto, Keystone Pipeline, che avrebbe avuto come terminali le raffinerie a nord nell'Illinois ed a sud nel Texas. Ci sono state controversie incredibili, con stop and go continui, accuse incrociate di devastazioni ambientali, di passaggi inammissibili sui Territori dei Nativi, di incompatibilità con il sistema di raffinazione esistente.
La scelta americana è caduta così sullo sfruttamento dei bacini di scisto, enormi giacimenti nella regione degli Appalacchi, che erano sempre stati considerati non utilizzabili per l'alto costo di sfruttamento e la bassa produttività di ciascun pozzo: bisogna procedere con la fratturazione idraulica, iniettando nel terreno una miscela di acqua addizionata con solventi chimici, perforando la roccia in orizzontale. Il petrolio estratto in questa maniera viene a costare attorno ai 65 $ al barile: una enormità rispetto al costo di quello arabo.
Le conseguenze sistemiche di questa scelta americana a favore dello shale oil/gas sono state considerevoli: se l'indipendenza energetica che è stata così raggiunta ha ridotto i costi dell'import di gas e petrolio, dall'altra parte è aumentato il differenziale di costo per l'intera economia, che ha una elevata intensità energetica. Ipotizzando la concorrenza industriale con l'Europa, un prodotto fabbricato negli Usa ha un costo maggiore per il solo fatto che l'energia usata ha un costo superiore.
Dopo l'invasione della Ucraina da parte della Russia, l'Europa ha deciso di ridurre la propria dipendenza energetica da Mosca: non solo servono tempo e soldi, ma intanto il costo dell'energia è salito vertiginosamente.
A cinquant'anni esatti, si ripete il paradigma della Prima crisi energetica: "Niente più energia abbondante ed a prezzi abbordabili". Negli anni Settanta si avviò la destrutturazione del sistema produttivo europeo, per via del mutato rapporto tra costi dei manufatti e costi delle materie prime, a favore di queste ultime.
Aver aumentato i costi dell'energia non è stato un buon affare, prima negli Usa con lo shale oil/gas interno ed ora in Europa con le sanzioni alla Russia. È una scelta che avvantaggia chi non le impone, ad esempio Turchia, Cina ed India, e tutti gli altri Paesi che hanno giacimenti energetici come Iraq ed Iran.
Non solo per produrre, ma per muoversi, cucinare e riscaldarsi, l'energia è indispensabile: chi la paga troppo cara deve recuperare, tagliando salari e crescita.
Lo shale gas, troppo caro, è stata una scelta perdente.
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