Importanti sviluppi sono in corso per quel che concerne il conflitto Turchia-Pkk in Siria ed Iraq. A voler evitare a tutti i costi una nuova invasione turca in Siria e a voler stoppare gli incessanti bombardamenti turchi sulle basi di Ypg e Pkk nella stessa Siria ed in Iraq non sono gli USA, ovvero i teorici alleati militari delle milizie curde, bensì l’Iran.
Nell’ambito dei vertici a tre svoltisi a Teheran fra Russia, Iran e Turchia a metà luglio, è sceso in campo l’Ayatollah Ali Khamenei in persona, guida suprema della teocrazia iraniana, ad intimare l’omologo turco a rinunciare ad ogni proposito di nuova operazione militare in Siria: “L’Iran coopererà sicuramente nella lotta al terrorismo con la Turchia, ma una nuova offensiva [turca] in Siria andrà sicuramente a beneficio dei terroristi”.
Non capita spesso che la guida suprema si esponga in maniera esplicita su una questione così particolare di politica estera; quando lo fa, è un segnale di grande determinazione e perentorietà da parte dell’Iran.
Nei successivi incontri con il Presidente Raisi, Erdogan ha replicato che resta ferma la sua determinazione a stabilire una “safe-zone” profonda 30 chilometri all’interno del territorio siriano ai propri confini libera dalle Ypg, per andare a completare la missione che si era prefisso con l’offensiva del 2019, che assicurò tale “safe-zone” solo per una porzione limitata del confine. Nelle conferenze stampa finali di rito, fra l’altro, Erdogan ha citato nel novero delle minacce terroristiche anche il PJAK, l’ala iraniana del PKK, in un tentativo di ingraziarsi gli interlocutori.
Contemporaneamente, il capo militare delle Ypg/Ypj Mazloum Abdi, ha tenuto una conferenza stampa in cui ha configurato uno scenario inedito in caso di nuova invasione, minacciando Ankara di aprire fronti su tutto il territorio siriano. “Questa battaglia è diversa da quelle precedenti ad Afrin e Ras al-Ain. Questa volta non sarà la guerra delle SDF e dei curdi, diventerà tutta la guerra siriana. La guerra sarà per tutti coloro che non vogliono che il territorio siriano venga invaso”, ha dichiarato Abdi, chiamando in causa esplicitamente l’esercito siriano, al quale è stato consentito di schierarsi anche in alcune aree controllate dalle Ypg al fine di prepararsi assieme a fronteggiare l’invasione turca. “Rivendichiamo che le nostre forze non hanno perseguito l’obiettivo di fare a pezzi la Siria ed impedire una soluzione del conflitto” ha continuato.
Al di là del fatto se si avvereranno o meno gli auspici di Mazloum Abdi in caso di nuova invasione, è la prima volta che un membro della leadership curda fa esplicito riferimento ad un fronte comune con Damasco con lo scopo politico e strategico di mantenere l’integrità territoriale della Siria. In occasione delle altre invasioni della Turchia, infatti, su pressione americana, le Ypg/Ypj si erano limitate a chiedere l’aiuto dell’esercito di Damasco, limitatamente alle aree attaccate e anche in maniera molto tardiva.
Questo nuovo dispiegamento militare dell’esercito siriano, ovviamente, potrebbe portare sovrapposizioni con le basi militari americane presenti nei territori creati dalle Ypg, dando luogo a schermaglie. Nonostante ciò, gli USA continuano a balbettare sulla questione in quanto stanno mettendo in atto un tentativo di ricompattare la NATO ed espanderla che ha bisogno dell’appoggio della Turchia. Così, se in pubblico esternano qualche timida dichiarazione di contrarietà ad una nuova operazione militare turca in Siria, nei colloqui privati con le Ypg, secondo il giornale libanese Al-Modon, hanno proposto loro di abbandonare spontaneamente alcuni territori per evitarla.
Un altro fronte sul quale le milizie curde stanno stringendo alleanze inedite è quello del nord-est dell’Iraq, dove è da tempo in corso l’operazione turca denominata “claw-lock” contro le basi del PKK, da aprile bersaglio di costanti bombardamenti.
In tale area, infatti, le milizie curde stanno collaborando con le milizie sciite filo-iraniane che da qualche giorno stanno dando corso agli ammonimenti dell’Ayatollah Khamenei ad Erdogan effettuando una raffica di attacchi verso basi militari ed obiettivi turchi; tali attacchi consistono in colpi di artiglierie o lancio di droni suicidi di fabbricazione iraniana. Dal 22 luglio ne sono stati documentati almeno cinque esplicitamente rivendicati da sigle afferenti alla vasta galassia delle milizie sciite presenti in Iraq, mentre un altro che ha colpito il consolato turco a Mosul non è stato rivendicato.
Queste azioni militari vanno, ovviamente ad aggiungersi a quelle di autodifesa delle milizie del PKK sulle montagne irachene che stanno già dando filo da torcere ai militari dell’esercito di Ankara. È da rimarcare che questa cooperazione fra milizie filo iraniane e PKK avviene nonostante in Iran il conflitto fra lo stato e il PJAK sia ancora aperto.
A quanto pare, dunque, il rinnovato attivismo militare turco nell’area potrebbe avere come conseguenza indesiderata il tanto atteso spostamento dell’asse delle alleanze dei Curdi, come via di uscita necessaria rispetto al consueto atteggiamento di tradimento nei confronti dei propri alleati che gli USA stanno avendo anche sullo scenario siriano con le Ypg/Ypj.
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