La Cina non allenta la stretta intorno a Taiwan. Questa mattina le navi da guerra e gli aerei militari cinesi hanno nuovamente valicato la linea mediana dello Stretto di Taiwan.
Già dall’alba di ieri le forze cinesi hanno condotto intense esercitazioni militari in sei diverse zone marittime intorno all’isola, poi diventate sette nel corso della giornata. Le manovre sono eseguite anche in tratti delle acque territoriali taiwanesi e andranno avanti fino al 7 agosto, e si prolungheranno all’8 agosto nel caso della zona di esercitazioni annunciata ieri.
Non solo: le forze navali cinesi hanno oltrepassato in diverse occasioni la linea mediana dello Stretto, arrivando quasi al confronto diretto con quelle taiwanesi, e nella notte due droni in formazione hanno sorvolato l’area di Kinmen, un piccolo arcipelago pesantemente fortificato e controllato da Taipei al largo della città cinese di Xiamen.
Analisti della difesa taiwanesi ritengono che le vaste esercitazioni militari intraprese da Pechino dopo la visita della presidente della Camera Usa Nancy Pelosi costituiscono la prova generale di un blocco armato dell’isola.
C’è stato anche un lancio di missili balistici nelle acque attorno all’isola, iniziato nella mattinata di ieri. Missili Dongfeng sono caduti al largo delle coste nord-orientali e sud-occidentali di Taiwan a partire dalle 13:56 ora locale, le 7:56 in Italia. Il ministro della Difesa giapponese, Nobuo Kishi, ha fatto sapere che alcuni dei proiettili (cinque su nove) sono in realtà caduti all’interno della Zona economica esclusiva (Zee) del Giappone. Altri missili sono finiti nei pressi delle isole Matsu, situate anche in questo caso a poca distanza dalla costa cinese.
Il Giappone ha protestato formalmente con il governo cinese. “Si tratta di una questione grave, che riguarda la nostra sicurezza nazionale e quella della nostra gente”, ha spiegato Kishi. Già prima dell’incidente, però, nella giornata di mercoledì il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Hua Chunying, aveva sottolineato come la Cina non riconosca la Zee del Giappone, dal momento che i due Paesi non hanno mai “definito il proprio confine marittimo”. Il lancio di missili balistici verso il Giappone potrebbe dunque essere deliberato.
Il ministero della Difesa cinese ha confermato i test missilistici in un comunicato, precisando che essi mirano a contrastare la “collusione” tra Stati Uniti e Taiwan. La dichiarazione afferma che le forze cinesi hanno condotto operazioni nei mari e nei cieli intorno all’isola, esercitazioni che includono test missilistici di precisione in diverse zone marittime al largo dei principali porti di Taiwan. Gli attacchi missilistici sono stati “un solenne deterrente contro la collusione Usa-Taiwan”, afferma la nota.
“Anche se un conflitto imminente è improbabile – scrive oggi il New York Times – le esercitazioni stanno mettendo la regione in crisi. E le tensioni potrebbero aumentare pericolosamente, soprattutto se qualcosa va storto, con i missili che atterrano vicino al Giappone visti come un messaggio che la Cina potrebbe colpire le forze statunitensi di stanza lì e come avvertimento al governo di Tokyo del costo della sua alleanza con gli americani”.
In un editoriale, il quotidiano cinese China Daily scrive che “se Taiwan resta una questione di riunificazione nazionale, la Cina continentale può permettersi una pazienza strategica e perseguire una riunificazione pacifica”, ma “se si trasformerà in una minaccia alla sicurezza nazionale e diventerà sempre più allarmante a causa delle macchinazioni statunitensi, il calcolo strategico di Pechino cambierà drasticamente” e “l’imperativo principale sarà rimuovere permanentemente Taiwan come minaccia alla sicurezza nazionale con tutti i mezzi necessari”.
La tensione si è alzata anche sul piano diplomatico. Il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha criticato duramente la dichiarazione congiunta con la quale mercoledì il G7 aveva invitato Pechino a “non usare la visita di Pelosi come pretesto per attività militari aggressive” nello Stretto. Secondo Wang, il comunicato del G7 ignora platealmente la provocazione degli Stati Uniti. Il documento “critica senza alcun fondamento la Cina per misure che sono ragionevoli e legittime, volte a salvaguardare la sua sovranità e integrità territoriale”, afferma il ministro in un comunicato. “Chi ha dato al G7 tale prerogativa? È inspiegabile proteggere chi infrange i diritti e puntare il dito contro chi si difende”.
Sulla gravissima tensione nel Mar Cinese, ha preso parola anche l’Asean (Associazione delle nazioni del sudest asiatico). L’associazione ha diramato un comunicato nel quale ha avvertito che le forti tensioni nello Stretto di Taiwan potrebbero portare a “errori di calcolo”, a “un serio confronto” e finanche a “un conflitto aperto” tra le grandi potenze dalle conseguenze “impredicibili”. “L’Asean – si legge in una dichiarazione congiunta – è pronta a giocare un ruolo costruttivo nel facilitare un dialogo pacifico tra tutte le parti”. Il blocco ha invitato dunque le parti alla “massima moderazione” e ad “astenersi da qualsiasi provocazione”. In Cambogia è in corso il vertice dell’Asean al quale partecipano sia il ministro degli Esteri cinese Wang Yi che il Segretario di Stato Usa Blinken.
Gli Stati Uniti hanno portato fino in fondo la provocatoria forzatura contro la Cina, ma adesso non sembrano avere mezza idea di come uscirne fuori, esponendo e trascinando nel panico anche il Giappone e l’intera regione.
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