Parla Stéphane Alliès, giornalista di MediaPart, autore di due libri sul
personaggio, e massimo conoscitore del frontman di La France Insoumise:
«Vuole dare voce agli arrabbiati». Dalla svolta populista alle rivolte
di questi giorni, si traccia un identikit del leader transalpino che
sogna l'Eliseo, malgrado i sondaggi lo diano in calo: «Si giocherà la
carta del vecchio saggio che salva il Paese. Era già la sua strategia
nel 2017 ed ha funzionato».
intervista a Stéphane Alliès di Giacomo Russo Spena
«Il suo obiettivo è rappresentare gli arrabbiati del Paese, per questo
ha deciso di cavalcare la protesta dei gilet gialli». Stéphane Alliès,
giornalista della rivista MediaPart, è uno dei massimi conoscitori di
Jean-Luc Mélenchon. Nel 2012 ha scritto un primo libro sul leader di La
France Insoumise, nel 2018 un secondo testo. L'abbiamo contattato per
capire veramente chi è e cosa pensa Mélenchon, colui che pur non
indossando il gilet ha mandato le sue truppe a cavalcare la rivolta di
piazza contro il presidente Macron e sul suo blog ha salutato il
successo della «mobilitazione di massa» che «non assomiglia a nulla di
ciò che abbiamo visto fino a oggi».
Da anni, come
giornalista, segue la sua attività politica e ad aprile è uscito un suo
libro “Mélenchon, Alla conquista del popolo” che ha venduto molte copie
in Francia. Ci aiuta ad inquadrare più nel dettaglio questo politico?
Chi è veramente Jean-Luc Mélenchon?
È un personaggio
complesso, al limite del camaleontico. Un grande stratega che, nel
tempo, ha dimostrato anche di saper improvvisare pur di occupare la
scena politica. Pazientemente ha costruito la sua ascesa: dall'ala
sinistra del Partito Socialista (quando è stato eletto, nel 1986, era il
più giovane senatore in Francia), alla federazione «Fronte della
sinistra» del 2012, per terminare con l'essere leader di La France
Insoumise. Di matrice trotzkista, ha costruito intorno a sé un nucleo di
fedelissimi provenienti dalla sinistra socialista – molti suoi attuali
collaboratori erano con lui già da quand'era ministro nel 2000 sotto il
governo Jospin – o dal piccolo esercito di militanti della sinistra
radicale attivi nella campagna per il No al referendum europeo del 2005.
Altri collaboratori, negli anni, sono stati cambiati perché è uomo
restio al dialogo e alle critiche. Preferisce circondarsi di fedelissimi
in una logica binaria: «O con me o contro di me».
Qual è il suo legame con François Mitterrand?
Adora Mitterrand. Tra i suoi fondamenti in politica ci sono regole come
«mai tornare indietro» o «non metterti mai nelle mani dell'avversario»
(una lezione appresa proprio da Mitterrand). Più in generale, Mélenchon
si sente come la continuazione del «socialismo illuminista», della
rivoluzione del 1789, di Jaurès e Blum. La sua grande forza è quella di
essere abbastanza flessibile e audace dal punto di vista politico e di
aver operato un sincretismo ideologico della sinistra francese,
storicamente molto divisa. Per il Paese ipotizza un piano
sociale/ecologista di stampo statalista e, come si è dimostrato nelle
elezioni presidenziali 2017, rappresenta ad oggi la sintesi più ampia e
convincente della sinistra.
Il suo libro è pieno di aneddoti. Ce ne racconti uno, qual è il più emblematico?
Beh, c'è un aneddoto divertente: per aggiornare il libro, ho lavorato
molto sulla sua «svolta populista» indagando i suoi rapporti con Podemos
e l'America Latina. Avevo letto molti dei testi di Chantal Mouffe e
Ernesto Laclau che Mélenchon menziona costantemente nei suoi interventi,
così – dopo vari miei solleciti – sono riuscito ad avere una risposta.
Le sue parole sono state spiazzanti: «Ho scoperto una cosa importante.
Se penso o dico una cosa, nessun giornalista mi fila. Se invece cito
Laclau e quindi Laclau è colui che le pensa mentre io sono soltanto
quello che copia le idee altrui, la stampa mi segue e ne dà notizia.
Funziona!». Questo è Mélenchon.
In effetti si dice che nel 2014 Mélenchon abbia avuto una «svolta populista». Nel concreto, in cosa consiste?
Ha sposato alcune strategie tipiche del populismo: la forte
personalizzazione della politica, il ruolo del leader, la presa del
potere ad ogni costo, la costruzione di un “noi” identitario contro un
“loro” inteso come nemico esterno – e quindi il conseguente abbandono
della dicotomia sinistra / destra – o il tema dell'egemonia culturale
nella società. Rispetto a Mouffe, Laclau e Podemos, Mélenchon afferma
però il suo attaccamento al marxismo. «Ci sono state fornite
interessanti griglie metodologiche e strategiche, ma lui non sposa le
loro tesi in modo massimalista», ha spiegato il suo braccio destro,
Emmanuel Bompard. Per lui, quindi, il populismo è una tattica che lo
incoraggerà a giocare da solo, sfruttando il suo carisma personale, e a
lanciare la sua «rivoluzione dei cittadini»: un socialismo repubblicano
con programma più radicale rispetto ai socialdemocratici e non marginale
come quello dell'estrema sinistra francese.
Una strategia che è
stata premiata alle ultime elezioni presidenziali, a scapito proprio
delle altre frammentate forze della sinistra tradizionale: come un
caudillo dell'America Latina Mélenchon, da leader, ha sfruttato il vuoto
lasciato dalla disintegrazione dei corpi intermedi e delle istituzioni
della Quinta Repubblica, facendo una campagna – favorita dal sistema
presidenziale – tutta centrata sulla sua persona.
Alle ultime presidenziali ha avuto un exploit di consensi giungendo terzo col quasi il 20%. Adesso qual è la situazione?
La buona notizia per Mélenchon è che il resto della sinistra è
permanentemente ridotta a zero, anche se gli ambientalisti stanno
provando a riorganizzarsi in vista delle elezioni Europee. Per il resto,
non ci sono a sinistra soggetti sostanziosi o credibili. Intanto nella
primavera del 2018 Mélenchon ha lavorato per ridurre la distanza con i
sindacati sostenendo alcune manifestazioni contro lo smantellamento dei
diritti sul lavoro. Ultimamente sta flirtando anche con la corrente di
sinistra del Partito Socialista.
Perché, allora, i sondaggi lo danno in leggero calo? Come mai?
Finora si è rifiutato di strutturare il suo movimento, La France
Insoumise, ed ora stanno nascendo le prime frizioni interne: una
corrente difende la strategia chiaramente populista, un'altra – quella
degli anticapitalisti e degli ecosocialisti – guarda con maggiore
interesse all'unità delle sinistre. Il decisionismo di Mélenchon ha
funzionato a livello nazionale, meno quando si tratta di redimere
conflitti interni al partito. E ciò sta portando ad un'emorragia di
voti. Infine, i casi giudiziari hanno fortemente influenzato la sua
flessione nei sondaggi innanzitutto perché le indagini riguardano un
finanziamento illecito – un tema non di poco rilievo – e poi perché la
sua reazione, così rabbiosa, alla perquisizione è stata fin troppo
scomposta. In passato era già uscito dai suoi canoni ed in seguito era
riuscito a far digerire l'accaduto al suo elettorato. Sarà ancora così?
Questo non lo so.
Quindi, a differenza di quanto si pensi, La France Insoumise non è un partito socialmente radicato? Quanti iscritti ha?
La France Insoumise è un partito liquido, volutamente poco strutturato
e con poca democrazia interna che, tramite i suoi rappresentanti, si
prefissa di ascoltare direttamente le richieste del popolo. Non ci sono
federazioni regionali o dipartimentali, i comitati territoriali sono
certificati dalla direzione nazionale (e possono essere “decertificati”
in qualsiasi momento) e non devono superare i dodici membri. Il
movimento afferma di avere più di 500mila sostenitori, che in realtà
sono semplici registrazioni sul sito web. In un voto elettronico per la
nomina di candidati all'Europa, erano solo 33mila a votare realmente.
Dove cattura i maggiori consensi? Tra quali fasce della popolazione?
Per quanto riguarda l'elettorato, oltre ad ottenere il voto di chi
proviene dalla sinistra radicale e repubblicana, nelle ultime elezioni
La France Insoumise ha raccolto molto tra gli astenuti storici. È una
credenza, da tempo, sostenuta da Mélenchon: «E' riuscendo a riportare il
disgustato alle urne che possiamo prendere il potere di disgustare».
Il
presidente Macron è in crisi dei consensi, quei voti a chi stanno
andando? Soltanto alla destra di Marine Le Pen o anche a Mélenchon?
Non è affatto escluso. Oggi il panorama politico francese è in rovina, e
la sinistra in particolare non è mai stata così marginale, mentre i
tassi di astensione hanno già superato il 50% e ora si attestano al 60.
Sarebbe molto rischioso fare previsioni, ma nel Paese si respira un'aria
reazionaria. Lo stesso Mélenchon ha capito il momento e ha deciso
coscientemente di non sposare la politica delle frontiere aperte per i
migranti preferendo il sostegno alla protesta dei gilet gialli, la cui
irruzione e auto-organizzazione in parte convalida le sue intuizioni
populiste (in parte solo, perché il movimento non l'ha riconosciuto come
politico di riferimento).
Passiamo a parlare di
Europa. Mélenchon ha lasciato il partito della sinistra europea e ha
siglato un accordo politico a Lisbona con Podemos e Bloque de Izquierda.
Quanto è consolidata questa alleanza in Europa?
Molto
dipenderà da come andranno le Europee: se questi partiti otterranno un
buon risultato elettorale saranno da traino per tutti gli altri soggetti
in Europa che lavorano per un'alternativa di sinistra. Se, invece, i
dati non saranno soddisfacenti il rischio di frattura è alto anche
perché tra loro persistono sfumature diverse sia nel modo di
relazionarsi con le Istituzioni europee (ad esempio Podemos è meno
propensa alla rottura con l'Ue) sia con i partiti socialisti: ricordiamo
che sia il Bloco portoghese sia la stessa Podemos governano insieme ai
socialisti. Inoltre va detto che Mélenchon ha preferito stringere
rapporti più personali che partitici a livello internazionale. Da quando
ha lasciato il PS, direttamente o tramite il suo stretto consigliere
Sophia Chikirou, ha favorito scambi con altri leader stranieri del
calibro di Kirchner, Chavez, Morales, Correa e Oskar Lafontaine, Alexis
Tsipras, Pablo Iglesias e presto, forse, Jeremy Corbyn, Bernie Sanders e
Lopez Obrador.
Mélenchon è un convinto sovranista ma, veramente, vuole rompere con l'Unione Europea? Ha in mente il piano B o bluffa?
Questo è un grande mistero. La sua scommessa sul piano B è soprattutto
un modo per installare un equilibrio di potere contro i liberal
conservatori europei. Mélenchon crede che una volta eletto la Francia
possa permettersi quello che altri paesi dell'Europa meridionale non
hanno potuto fare, ovvero sottrarsi dalla «dominazione tedesca». Il suo
intento è rovesciare il tavolo e minacciare di andarsene per davvero,
finché non vengono ritrattati i vincoli di Maastricht. Più
concretamente, non sappiamo com'è strutturato questo piano B, né se il
suo progetto di Frexit sia realizzabile o meno. Da quel che si è
intuito, Mélenchon e i suoi collaboratori ipotizzano seriamente l'uscita
dall'euro o la costruzione di un'altra Unione europea, aperta ai Paesi
del Sud Mediterraneo e del Maghreb.
Secondo lei,
sarebbe disposto anche a sostenere forze di destra (e xenofobe) pur di
andare contro Maastricht e rompere con l'Unione Europea?
Non penso, andrebbe contro la sua storia e le sue decennali lotte.
Detto questo, è stato in grado di vedere il crollo della sinistra tra le
fasce popolari, come a Hénin-Beaumont, dove Mélenchon ha gareggiato
alle elezioni legislative del 2012 perdendo da un esponente del Fronte
Nazionale di Marine Le Pen. Da lì, l'abbraccio col populismo fino a
diventare un leader, maggiormente sovranista, che propone la rottura con
l'Ue sulle questioni economiche e politiche di controllo
dell'immigrazione. Ma Mélenchon non è mai stato ambiguo di fronte
all'estrema destra. Mélenchon ha una formula, per spiegare a chi si
rivolge: “Vanno intercettati gli arrabbiati della società, mai i
fascisti”.
L'alternativa a Macron e Le Pen, in Francia, passa per Mélenchon? E se non per lui, per chi altro?
La Francia sta vivendo una fase simile a quella italiana: la scomparsa
duratura di una vera dinamica a sinistra. Sulla scia dell'esplosione del
Partito Socialista, il panorama politico transalpino è in rovina con la
frammentazione di una miriade di partiti e movimenti. Con gli elettori e
attivisti abbandonati a loro stessi. Macron ha vinto rappresentando il
volto giovane e produttivo del Paese, andando a salvare il «blocco
borghese» e l'élite liberal ma la sua è stata una rivoluzione effimera e
adesso è prossimo al tracollo. Mélenchon si potrebbe giocare la carta
del vecchio saggio che salva il Paese. Era già la sua strategia nel 2017
ed è stato in grado di essere convincente. Sarà ancora in grado di
apparire come tale?
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