Partiamo dall’“Atto Quinto”, le cifre fornite dal Ministero sul numero dei partecipanti a questa ennesima tappa della mobilitazione (66.000 in tutto il paese) sono di fatto smentite dai puntuali reportage giornalistici della rete informativa “France Bleu” – citati come fonte principale dal sito di giornalismo investigativo “Mediapart” – e dalle varie testate informative locali che hanno documentato le iniziative, oltre che dalle foto condivise da organizzatori e partecipanti alle mobilitazioni.
Appare chiaro che anche i piccoli centri, hanno eguagliato o sono state appena al di sotto dei numeri della mobilitazione cittadina, a parte le riuscite iniziative a Marsiglia, Bordeaux e Tolosa.
Partiamo da un dato: il dispositivo repressivo preventivo messo in campo dal governo si è “affinato” nel corso di questo mese, soprattutto nella capitale dove sono stati dispiegati 8.000 membri delle forze dell’ordine (60.000 nel resto della Francia), i blindati “anti-barricata” della gendarmerie e la squadra a cavallo, mentre le stazioni della metro sono state chiuse.
Senza dimenticare la costituzione di squadre di 20-30 elementi provenienti da varie forze dell’ordine (come la BAC), più mobili ed “aggressive”, finalizzate al fermo dei manifestanti.
I blindati, come lo scorso sabato, sono stati visti anche a Marsiglia, mentre hanno fatto la propria prima comparsa a Tolosa, insieme ad un mezzo munito di idrante, che insieme a 600 membri delle forze dell’ordine hanno tenuto testa ai manifestanti di una delle città che è stata tra gli epicentri del movimento.
A Parigi sono state poste in stato di fermo per essere interrogate 168 persone, mentre 113 sono state poste in “garde à vue”.
Si è consolidato il meccanismo preventivo che permette alle forze dell’ordine di fermare le persone prima che si rechino alla manifestazione nella capitale, grazie all’autorizzazione da parte del Procuratore di Parigi, Rémi Heitz, ad aumentare i controlli, in particolare di coloro che sono sospettati di partecipare “ad un raggruppamento in vista di preparazione di violenze o danneggiamenti”, delitto punito dall’articolo 222-14-2, introdotto nel codice penale nel 2010 con il fine di lottare contro le gang giovanili.
Un codice giuridico pensato per la “criminalità giovanile”, in realtà i giovani delle periferie che si spostano in centro – di fatto negandogli l’accesso alla città – è utilizzato contro i GJ. A conferma che le leggi repressive, anche quando ufficialmente vengono presentate come “mirate” a un fenomeno specifico (una “devianza”), in realtà servono sempre contro l’intera popolazione.
L’evoluzione della strategia repressiva in termini numerici dà un quadro abbastanza chiaro: il 24 novembre su 103 persone poste in stato di fermo per essere interrogate, quasi la totalità – cioè 101 – sono state poste in “garde à vue”; il sabato della settimana successiva su 412 fermate erano 383; mentre l’8 dicembre, su 1082, “solo” 907.
Tra le condanne di coloro che sono stati portati di fronte ad un giudice e giudicati per “direttissima”, si è aggiunto il divieto – generalmente di sei mesi – di potersi recare a Parigi (il “daspo” minnitiano ha fatto scuola, insomma).
L’apparato securitario e quello mediatico hanno lavorato insieme per dare una immagine di un movimento “calante” e di una rinnovata capacità dello stato di gestire la situazione, nel mentre tutto concorre a dare l’impressione opposta se si sposta l’angolo visuale sulla natura capillare e policentrica del movimento, che ha la propria ossatura nella Francia peri-urbana, rurale e delle zone de-industrializzate.
I casi dell’acciaieria Ascoval a rischio chiusura, e quello dello stabilimento Ford di Blanquefort, catalizzano l’attenzione su una questione di stringente attualità...
La riflessione più compiuta sulla strategia mediatica attuale e sul come impattarla, l’ha fatta l’associazione “Acrimed” acronimo che sta per Action Critique Media, composta da differenti soggetti legati all’informazione e ai movimenti sociali nata il 1995 in solidarietà con gli scioperanti per dare una informazione corretta, e monitorare il trattamento che i media riservano ai movimenti sociali.
Per far comprendere l’atteggiamento dei media mainstream, “Acrimed” cita le parole del filosofo reazionario Bernard-Henry Lévi:
“Che Macron parli, o no, che ci si trovi d’accordo con lui o meno, che si sia per le riforme o contro, non ha al momento, alcuna importanza. Di fronte all’avanzare dei fasci, dei faziosi, e dei nemici della Repubblica, una sola opzione è degna: sostegno al Presidente Macron”.
La strategia mediatica sta lavorando su tre punti, secondo questa associazione: “costruire un atmosfera ansiogena; definire le rivendicazioni sociali e politiche ‘legittime’ e restringere il quadro all’interno del quale queste rivendicazioni hanno diritto ad essere espresse; selezionare e promuovere la visibilità pubblica dei portavoce considerati ‘legittimi’ e che quindi hanno il diritto d’esprimersi”.
Questo è un punto importante, tenendo conto che tre delle principali figure della protesta dei GJ, tra cui Priscilla Ludovsky, parlando giovedì nella sala stampa di Jue de Paume, a Versailles – luogo dal grande valore simbolico perché celebre teatro per il discorso dei deputati del Terzo Stato nel 1789 – hanno invitato esplicitamente alla partecipazione all’“Atto Quinto”, giudicando insufficienti gli annunci di Macron, che non ha minimamente considerato le rivendicazioni politiche del movimento: “Voi avete detto, Signor Presidente, di sentire il malessere democratico nel Paese. Ma cosa proponete per risolverlo? Niente.”
Non è solo questione che Macron ha promesso briciole, spacciando tra l’altro come “concessioni” aumenti già previsti – come nel caso dello SMIC, il salario minimo, il cui aumento era già nelle cose – la quota restante dei 100 euro in più “promessi”, invece di essere spalmata su tre anni, verrà data tutta insieme dal primo gennaio – ma il fatto che il cuore delle rivendicazione di giustizia fiscale e rappresentanza politica sono state totalmente ignorate.
La mediatizzazione di alcune figure di spicco del movimento è un fattore importante per comprendere l’interpretazione che ne hanno voluto dare alcuni media, inserendosi nel gioco politico caratterizzato dall’assist macroniano alla destra, all’inizio del movimento, e l’evoluzione attuale di questa strategia.
Sul numero di sabato e domenica 15 e 16 dicembre di Libération c’è un approfondimento a cura dello staff di Check News, che si occupa del costante monitoraggio e della puntale verifica delle informazioni che circolano nei vari media, tra cui la rete.
Delle nove risposte riportate sul cartaceo, sui 150 quesiti su cui CN ha indagato durante questo mese, l’articolo di Pauline Moullot verifica come i GJ sono stati rappresentati e chi è apparso di più in televisione.
È significativo che, nonostante alcune accurate ricerche abbiano “demolito” alcuni luoghi comuni sul movimento (come lo studio del Centre Émile Durkheim, i cui primi risultati sono stati pubblicati da “Le Monde” e del Laboratoire d’études sociales di Tolosa, riportati da “Libération”), uno dei personaggi più mediatizzati – tra i circa 40 qualificati come “portavoce” apparsi in tv in queste settimane – fosse un noto estremista di destra, Benjamin Cauchy (figura marginale escluso dai “messagers” ufficiali e poi fondatore del movimento “citron”, poi scomparso dagli schermi) e Christophe Chalençon, islamofobico, anch’esso presto eclissatosi, che ora chiama il movimento a una “tregua”.
Nonostante la base sociale “popolare”, il peso molto relativo degli “elettori” di destra, la conferma delle rivendicazioni sociali e politiche (confermate dalle due sovra-citate ricerche), i media hanno usato in un primo momento come “utili idioti” questi caricaturali personaggi di estrema destra, ben presto inservibili e ricaduti giustamente nell’oblio.
Lo studio del Laboratoire, che ha “setacciato” la comunicazione online dei partecipanti al movimento, ha identificato due principali tipi di richieste: le revendications doléances di stampo economico e le revendication institutionelles, legate alla partecipazione dei cittadini alla presa di decisioni, rivolte al popolo e alla classe politica per un cambiamento strutturale e politico dei nostri modi di governo.
Alla testa delle rivendicazioni: “il ritorno dell’IDF” (cioè della patrimoniale abolita da Macron) e “l’attuazione di un referendum di iniziativa popolare”, cioè il RIC che compare i numerosi cartelli della protesta.
Da questi pochi dati, si capisce come la destra sia stata ormai di fatto “esclusa” dalla protesta: tanto più che Marine Le Pen ha dichiarato più volte di essere contro l’innalzamento dello SMIC e il ripristino della patrimoniale.
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Concentriamoci invece sulla giornata di sabato.
Si sono svolte manifestazioni partecipate in tutta la Francia, alcune delle quali hanno visto sfilare insieme i gilet gialli e quelli rossi della CGT, come a Marsiglia e a Tolosa, dove è stato bloccato il deposito di Amazon.
Parigi, Bordeaux e Nantes, Caen, Tolosa, tra le altre città, hanno conosciuto momenti di tensione.
Secondo “France Bleu”, a Chambéry hanno manifestato 500 persone, a Pau 800, a La Rochelle 600, a Rochefort 600, a Brest 2000; a Perpignan, sul confine franco-spagnolo, 700 motociclisti GJ hanno cercato di bloccare il confine; a Saint-étienne 500, ad Avignone più di 2000 (il governo ha detto 100), poi 1000 a Limoges, e ancora Bensanson e altre città.
Sono stati mantenuti i presidi nelle rotonde e nei caselli autostradali, mentre sono state fatte alcune azioni di pedaggio autostradale gratuito e di rallentamento del traffico.
Queste e altre informazioni confermano la vitalità del movimento.
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Questa settimana l’UNL, l’organizzazione studentesca degli studenti medio-superiori, chiama alla continuazione dei blocchi degli istituti e delle manifestazioni, in specie nei giorni di martedì 18 dicembre e giovedì 20 dicembre: “#PasDeCadeauPourMacron”, “nessun regalo a Macron”, è lo slogan che è stato coniato.
Gli studenti, che hanno in parte fatto “cambiare pelle” al movimento, si battono per lo stralcio della Loi Lore, l’annullamento della riforma della Bac e della “voie professionale”, oltre che della piattaforma Parcoursup e l’abbandono del progetto “Service National Universel”; tutte misure che penalizzano in particolar modo gli studenti degli istituti periferici, professionali e polivalenti, motori della protesta.
La CGT chiama alla mobilitazione questo martedì; una iniziativa particolarmente significativa è prevista di fronte alla sede centrale del padronato francese, MEDEF, durante la discussione riguardante l’indennità di disoccupazione, a cui il governo intende togliere 4 miliardi nei prossimi tre anni.
Il Comitato di Precari e Disoccupati della CGT monitora costantemente il corrispettivo dei “centri per l’impiego” francesi (Pôle Emplois), lì dove è presente, e propone due rivendicazioni chiave per questa fascia di proletariato: che il 100% dei disoccupati – ora sono meno della metà – ricevano una forma di indennizzo e un “premio” natalizio di 500 Euro per tutti.
La base della CGT vede favorevolmente o partecipa organicamente alle iniziative dei GJ; lo spirito con cui anche coloro che all’inizio erano dubbiosi si sono posti nei confronti dei Gilets Gialli è quello sintetizzato da una militante della CGT che lavora al comune di Bezons (Val-d’Oise), intervistata da Le Monde al corteo parigino di venerdì: “Anche se non sono per la violenza, o il fatto che siano disorganizzati, almeno si parla di loro. Noi è da anni che abbiamo fatto di cortei “pépères” e non abbiamo ottenuto niente”.
Un altro militante della CGT, intervistato sempre venerdì dal quotidiano francese, conferma che avrebbe partecipato alla mobilitazione parigina di sabato: “siamo cittadini. Mettiamo da parte il nostro badge sindacale e ci infiliamo il nostro gilet jaune”.
Sempre martedì 18, sono previste numerose mobilitazioni per la giornata internazionale dei migranti, un modo per affrontare di petto uno dei due nodi proposti da Macron, nel suo discorso di lunedì scorso, come assi di un dibattito pubblico che di fatto intende spostare l’attenzione dalle tematiche diventate finora patrimonio pubblico del movimento verso un narrazione che apre direttamente alla destra lepenista del Rassamblement National (ex-FN), di LR e di France Debout, ormai esterne, per le loro prese di posizione, al movimento.
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In patria ed in Europa – vedi il progetto di budget UE, assai ridimensionato rispetto all’iniziale proposta francese – Macron non sembra riconquistare consensi (i sondaggi più recenti sono veramente impietosi), e l’esecutivo – una volta giocatasi abbastanza male la carta delle parzialissime concessioni – appare sempre più in affanno nei confronti di un movimento che non sembra scemare e all’unità delle opposizioni di sinistra, che ne chiedono le dimissioni.
Appare perciò molto condivisibile il cuore del discorso pronunciato il 13 dicembre dal leader di France Insoumise, Jean Luc Mélenchon, durante il suo intervento per la “motion de censure” all’Assemblea Nazionale, riferendosi al movimento.
“Questo popolo è la nostra bussola. È lui che ci mostra il cammino, è lui che ci dice cosa deve radicalmente cambiare”.
E se qualcuno in Italia fa finta di non capirlo è perché in realtà ha già scelto dove collocarsi: dall’altra parte della barricata.
Fonte
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