di Michele Giorgio – Il Manifesto
«Israele
continuerà ad agire con forza contro i tentativi dell’Iran di arroccarsi
in Siria. Intensificheremo gli sforzi e so che lo faremo con il pieno
sostegno ed appoggio degli Stati Uniti». Parole di Benyamin Netanyahu che
suonano come una mezza dichiarazione di guerra dopo l’annuncio di Donald
Trump sul ritiro delle forze militari Usa dalla Siria.
Che l’Isis sia stato sconfitto, come afferma Trump, oppure no, al
premier israeliano interessa davvero poco. Nella testa ha un solo
obiettivo: rendere più aggressivo l’approccio di Israele nei
confronti della presenza in Siria di forze dell’Iran alleato del
presidente Bashar Assad. E il ritiro dei circa 2mila soldati Usa dal
territorio settentrionale della Siria potrebbe facilitargli il compito.
Sono poco aderenti alla realtà i toni apocalittici usati ieri della
stampa israeliana riguardo a un presunto “abbandono” dello Stato ebraico
da parte di Trump dopo che lo scorso settembre, il consigliere alla
sicurezza nazionale Usa John Bolton, aveva assicurato che i soldati
americani non avrebbero lasciato la Siria senza un ritiro iraniano dal
paese.
Israele vuole tornare a colpire con forza in Siria la Guardia
Rivoluzionaria iraniana e il movimento sciita libanese Hezbollah. Lo
penalizza da diverse settimane la piccola crisi nei rapporti con Mosca
cominciata dopo l’abbattimento qualche mese fa di un aereo da trasporto
russo in fase di atterraggio in Siria attribuito da Vladimir Putin e i
suoi generali a una manovra diversiva di cacciabombardieri israeliani.
Un “incidente” che ha spinto la Russia a consegnare a Damasco il sistema
di difesa antiaereo S-300 che ha limitato fortemente i movimenti
dell’aviazione con la stella di Davide nei cieli della Siria.
Netanyahu è impegnato a rinnovare l’intesa con Putin che dal 2015 ha
permesso a Israele, con la benedizione della Russia alleata di Assad, di
poter colpire senza restrizioni in Siria. E i segnali che
arrivano da Mosca sono relativamente incoraggianti per Israele. Il
presidente russo, secondo alcune fonti, sarebbe disposto a dimenticare
l’abbattimento dell’aereo e la morte di 15 avieri russi in cambio di un
atteggiamento più “responsabile” di Israele ma verrebbe frenato dai suoi
comandi militari.
Con il consenso esplicito di Trump e, forse, in futuro anche quello
tacito di Putin, Netanyahu avrebbe la libertà di azione che cerca. Sul
premier peraltro si concentrano nuovamente le pressioni dell’ex
ministro della difesa ultranazionalista Avigdor Lieberman. Ieri,
intervistato dalla radio delle forze armate, Lieberman ha parlato di
«aumenti significativi del rischio di un conflitto generale nel nord,
sia in Libano che in Siria», perché, ha aggiunto, la partenza
dei soldati americani nell’area siriana al confine con l’Iraq significa
creare «un territorio contiguo sciita fra Iran, Iraq e Siria».
In sostanza Lieberman ha fatto capire che, dipendesse da lui, avrebbe
già scatenato l’offensiva militare contro l’Iran, così come avrebbe
attaccato Gaza se Netanyahu non l’avesse fermato.
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