Le elezioni andaluse certificano come l’onda nera abbia superato anche i
Pirenei con una formazione semi sconosciuta che, a sorpresa, ha
incassato l'11 per cento. I suoi slogan sono gli stessi di Salvini, Le
Pen e Trump: contro gli immigranti, l’Islam, la globalizzazione, il
femminismo, gli omosessuali e l’Europa. Nel Vecchio Continente si salva,
per ora, solo il Portogallo. Vedremo per quanto.
di Steven Forti
Un fulmine a ciel sereno. Un tuono che annuncia una tempesta. Sì,
perché il risultato di Vox alle elezioni regionali andaluse di questa
domenica segna senza dubbio un cambiamento. Non si tratta del
cambiamento tanto sognato da Podemos, dal neo-municipalismo e dalla
sinistra spagnola. È il cambiamento annunciato da Trump, Salvini,
Bolsonaro, Le Pen e l’immancabile Steve Bannon che, infatti, mesi fa ha
stretto rapporti con il partito di estrema destra guidato da Santiago
Abascal. La Spagna non è più l’eccezione, insieme al Portogallo, nel
Vecchio Continente: gli unici paesi immuni, così si pensava, all’onda
nera degli ultimi anni. Gli anticorpi della società spagnola, uscita
solo quattro decenni fa dalla dittatura franchista, non hanno
funzionato: l’estrema destra, inesistente fino all’altro ieri, mette ora
un piede nel paese iberico.
E non si tratta di una cosa passeggera. Tutt’altro. Lo vedremo
nell’Election Day di fine maggio, quando in Spagna si voterà, lo stesso
giorno, per le Europee, tutti i Comuni e tredici regioni su diciassette.
Senza contare la possibilità delle elezioni politiche anticipate vista
la debolezza dell’esecutivo guidato da Pedro Sánchez. Insomma, quel che
si è visto in Germania con Alternative für Deutschland durante quasi due
anni, con un lento ingresso in tutti i Parlamenti regionali della
formazione di estrema destra tedesca e poi l’exploit alle politiche del
settembre 2017, a Madrid succederà in un sol giorno. Perché su questo
non c’è dubbio: Vox prenderà molti voti. E influirà notevolmente sulla
politica spagnola. Bisognerà solo capire quanto.
Andalusia: debacle del socialismo, vittoria delle destre
Le elezioni in Andalusia, la più popolosa delle regioni spagnole, erano
state convocate alcuni mesi prima del termine della legislatura dal
PSOE, che governa ininterrottamente da quasi quarant’anni la regione,
con la convinzione di ottenere un buon risultato e mantenersi al potere,
sfruttando l’onda lunga dell’arrivo di Sánchez al governo a Madrid.
Così non è stato. Con la partecipazione più bassa della storia (58,6%),
la debacle del PSOE, guidato dalla presidentessa regionale Susana Díaz, è
stata senza se e senza ma: perde oltre 400mila voti, 14 deputati
regionali e oltre il 7% dei consensi, fermandosi al 27,9%. Può sembrare
un risultato non così negativo comparato con la situazione della
socialdemocrazia nel resto dell’Europa, ma si tenga conto che prima del
2012 il PSOE non era mai sceso al di sotto del 40% e nel 2015 aveva
ottenuto il 35,3%. Per di più i voti persi dai socialisti non sono
andati a sinistra, ossia a Adelante Andalucía, la confluenza formata da
Podemos e Izquierda Unida, da sempre molto radicata nella regione. La
lista guidata da Teresa Rodríguez perde 280mila voti rispetto a tre anni
fa, 3 deputati e più del 5% dei consensi: si ferma solo al 16,2%.
Il Partido Popular (PP) sorride solo a metà: perde oltre 300mila voti, 7
seggi e quasi il 6% dei consensi, ottenendo il 20,8% dei voti. Chi ha
vinto davvero sono le altre destre: quella liberal, ma sempre più
piegata verso un duro nazionalismo spagnolo, ossia Ciudadanos che
duplica i suoi voti (18,3%, +12 seggi) e, soprattutto, Vox che dallo
0,46% del 2015 fa un balzo fino all’11%, eleggendo 12 deputati. 400mila
voti. Un’enormità. Con punte di quasi il 17% nella provincia di Almería:
nel comune di El Ejido, terra di agricoltura intensiva e alta presenza
di immigranti, si converte nella prima forza con quasi il 30% dei voti.
Morale della favola: le sinistre perdono la maggioranza assoluta,
superate dalle destre, divise e in competizione sì, ma per la prima
volta maggioritarie. Non ci sarà un governo di sinistra: è la fine di
un’epoca.
Che cosa succederà ora è un’incognita. In primo luogo
in Andalusia. Il PP ha già aperto a un dialogo con Vox, Ciudadanos
prende tempo: Gui Verhofstadt, leader dei liberali europei del cui
gruppo è membro il partito di Albert Rivera, ha avvisato in un tweet il
preoccupante risultato di Vox. Potrà Ciudadanos arrivare a un accordo di
governo con Vox, i cui voti sono indispensabili? La voglia di scalzare i
socialisti dal governo regionale è immensa, ma far entrare l’estrema
destra nel governo di una regione tradizionalmente rossa è una questione
delicata per chi vuole essere il referente del macronismo in Spagna.
L’altra opzione è un patto tra Ciudadanos e i socialisti, che si sono
detti disponibili a valutare qualsiasi ipotesi pur di evitare che Vox
metta un piede nel governo (o lo condizioni da fuori). In fin dei conti,
il partito arancione ha appoggiato nell’ultima legislatura il PSOE. A
cambio Ciudadanos potrebbe chiedere la testa di Susana Díaz, oltre alla
presidenza della regione. Servirebbe però l’appoggio di Adelante
Andalucía, una gatta da pelare per Pablo Iglesias che è subito
intervenuto a caldo, dichiarando necessaria una mobilitazione
antifascista per frenare l’estrema destra e proteggere la democrazia.
Il fondo della questione è dunque che cosa farà la destra conservatrice
e liberal: seguirà il modello austriaco in cui Kurz governa con
Strache? O eviterà di aprire le porte all’estrema destra? Dalla risposta
che si darà dipenderà anche quel che succederà a Madrid: Pedro Sánchez
sarà costretto a convocare elezioni anticipate? L’esecutivo socialista,
al governo in minoranza da inizio giugno dopo la vittoriosa mozione di
sfiducia contro Mariano Rajoy, è in una situazione difficile e con la
spada di Damocle della legge di bilancio. Servono i voti degli
indipendentisti catalani che si negano a votare a favore a causa dei
processi ai dirigenti indipendentisti in prigione preventiva da oltre un
anno (due dei quali nel frattempo hanno iniziato uno sciopero della
fame). Tutto è legato a doppio filo. Anche perché la Catalogna è stata,
più dell’immigrazione, il tema al centro della campagna elettorale
andalusa: tutte le destre hanno caricato contro Sánchez per considerarlo
un ostaggio di chi “vuole rompere la Spagna”, in allusione agli
indipendentisti. Si annunciano settimane di fuoco.
Le cause del successo di Vox
Il successo di Vox è innegabile. Le sue cause? Senza dubbio tutte
quelle che spiegano l’auge dell’estrema destra in Europa: immigrazione e
globalizzazione, soprattutto. Gli sbarchi sono aumentati quest’anno,
arrivando a quota 50mila, il doppio del 2017. E soprattutto sulle coste
andaluse che sono state al centro dei riflettori. L’Andalusia è una
regione povera, con una disoccupazione più alta della media (22,9%
contro il 15,2% a livello nazionale) e dove la ricchezza della
popolazione è calata ancora rispetto agli anni scorsi, per quanto
l’economia spagnola viaggi da tre anni sul +3% del Pil. Si aggiunga poi
il fatto che il PSOE governa da quasi quarant’anni ed è coinvolto in
alcuni importanti scandali di corruzione: i socialisti sono percepiti
come la casta, l’elite di governo. E la presidentessa Susana Díaz è poco
amata, come Renzi in Italia.
L’indignazione della popolazione è dunque passata dalla sinistra all’estrema destra. Non si è votato Adelante Andalucía: gli enragés
hanno scelto in gran misura la scheda elettorale di Vox. Si unisca il
tutto all’alta astensione che ha lasciato a casa molti elettori di
sinistra, sia socialisti sia di Podemos e Izquierda Unida, mentre il
voto radicalizzato (di estrema destra) si è mobilitato. Mancano ancora
degli studi per capire da dove proviene il voto a Vox: dai quartieri
operai, dagli sconfitti della globalizzazione, dalle aree rurali? O
dalle classi medie e benestanti? O è un voto trasversale, visto che Vox
ha eletto deputati in tutte le province andaluse? In ogni caso, è
indubbio che si sta dando un processo di “lepenizzazione sociale”, come
lo ha definito Carlos Marmol.
E non si perda di vista quello
che è stato senza dubbio l’elemento centrale: la Catalogna. Nel voto a
Vox, ma anche a Ciudadanos, si ha la reazione spagnolista alla
rivendicazione indipendentista catalana. Solo gli ingenui potevano
pensare che non ci sarebbero state ricadute in questo senso. Soprattutto
quando le destre – tutte le destre: il PP, Ciudadanos e ovviamente Vox –
hanno fatto dell’unità della Spagna e della lotta all’indipendentismo
la loro ragion d’essere, arrivando a tacciare Pedro Sánchez di
“golpista” per voler dialogare con l’indipendentismo. Chi semina vento,
raccoglie tempesta.
Vox, tra Bannon, Le Pen e Bolsonaro
Nessuno si aspettava che Vox ottenesse 400mila voti. I sondaggi
avvertivano di un probabile ingresso dell’estrema destra con uno o due
deputati. Alla fine sono stati dodici. Ma Vox non è nata l’altro ieri.
Questa domenica ha avuto la sua consacrazione. Il partito è stato
fondato a inizio 2014 dal quarantenne Santiago Abascal che fino all’anno
precedente era iscritto al PP. Nel partito conservatore ha ricoperto
diverse cariche nei Paesi Baschi: è stato consigliere comunale a Llodio
per quasi un decennio e deputato regionale per un lustro, fino al 2009.
Proveniente da una famiglia di destra – il nonno fu sindaco durante il
franchismo, il padre leader regionale di Alianza Popular – Abascal
decise di rompere con il PP per i casi di corruzione che stavano
colpendo il partito e, soprattutto, per la risposta troppo morbida che,
secondo Abascal, Rajoy stava dando all’indipendentismo catalano.
Alle Europee del 2014, quando Podemos superò il milione di voti, Vox
ottenne l’1,5% presentando come candidato l’ex europarlamentare del PP
Alejo Vidal-Quadras. Pochi mesi prima Abascal aveva pubblicato un libro
intitolato sintomaticamente “Non mi arrendo”. Caricava soprattutto
contro l’ETA, che lo aveva minacciato negli anni precedenti: per questo,
ha dichiarato recentemente, ha sempre con sé una pistola Smith and
Wesson per proteggere i suoi figli. Nel 2014 Vox non ottenne deputati,
ma si iniziò a parlare del rischio di un partito di estrema destra in
Spagna. Negli anni successivi però il partito di Abascal sembrava
destinato a scomparire o, al massimo, a convertirsi in un gruppuscolo di
estrema destra extraparlamentare: alle comunali del 2015 fu un flop –
anche se riuscì a conquistare due piccoli Comuni – e alle politiche del
2015 e alla ripetizione del 2016 si fermò a un misero 0,2%, ottenendo
meno di 50mila voti.
Il cambio, inaspettato, è venuto ora. In
realtà, gli allarmi erano suonati già lo scorso 7 ottobre quando Vox
aveva organizzato un meeting nel Palacio de Vistalegre a Madrid. Si
erano contate 9mila persone. Tutto esaurito. Per di più nel luogo
simbolo delle sinistre spagnole: prima del PSOE e poi di Podemos, che
nell’ultimo congresso del febbraio 2017 non era riuscito a riempire il
palazzetto dello sport. Si era iniziato a parlare di Vox, segnalando che
si stava radicando in tutta la Spagna: il partito dichiara ora di avere
16mila iscritti. Pur non avendo visibilità mediatica, a parte quella
che gli hanno dato le altre formazioni parlando del rischio del suo
ingresso nel Parlamento andaluso, Vox è riuscito a convincere molti
elettori. Ha operato in parte dal basso organizzando incontri e raccolta
firme a favore della sicurezza nei quartieri operai delle grandi città,
ma soprattutto ha usato le reti sociali: come Bolsonaro sembra che
nelle regionali andaluse i messaggi su Whatsapp siano stati chiave con
una campagna intitolata “Sei di Vox e non lo sai”. Si vede la mano di
Steve Bannon che da aprile, infatti, dà appoggio al partito di Abascal.
Bannon non è l’unico degli alleati internazionali di Vox: Marine Le Pen,
a cui Abascal si ispira, si è immediatamente congratulata con Abascal
per il risultato elettorale in un tweet.
Il ricettario di Vox è
bene o male lo stesso di quello di tutti i partiti di estrema destra
esistenti: stop all’immigrazione e deportazione dei migranti;
costruzione di un muro a Ceuta e Melilla, le due enclave spagnole in
Marocco; proibizione dell’insegnamento dell’Islam nelle scuole; chiusura
delle moschee; opposizione all’ingresso della Turchia nell’UE;
indurimento del Codice Penale; appoggio alla famiglia e alla vita;
opposizione alla legge di uguaglianza di genere e alle misure contro la
violenza di genere; condanna della globalizzazione; lotta alle élite
corrotte; tagli ai privilegi; lotta alla corruzione; rivendicazione dei
valori tradizionali (la caccia e i tori, ad esempio); recupero della
sovranità del paese in tutte le politiche, compresa quella estera; forte
limitazione dei poteri dell’UE, ecc. Il tutto ricoperto da una spessa
cappa di ultranazionalismo spagnolo, che si fonda su un
nazionalcattolicesimo autoritario e non si vergogna, ma al contrario
rivendica la dittatura franchista, e richiede mano dura contro
l’indipendentismo catalano, oltre che difendere che Gibilterra torni ad
essere spagnola. Vox chiede la derogazione della legge delle Memoria
Storica approvata da Zapatero e che Sánchez sta rafforzando – con
l’esumazione del cadavere di Franco dal Valle de los Caídos – e la
ricentralizzazione dello stato con la fine delle autonomie regionali e
il commissariamento duraturo della Catalogna. Dal punto di vista delle
politiche sociali, infine, Vox rappresenta bene la copia spagnola del
trumpismo o del salvinismo: meno tasse e favori alle imprese dietro a
una retorica che dice di difendere i poveri. “Sono apertamente
neoliberisti”, afferma lo storico Diego Díaz: “Vox è José María Aznar
che dice quello che realmente pensa”.
Non a caso il lemma di Vox è “España para los españoles”, ossia il Make America Great Again
trumpiano tradotto in spagnolo. Una retorica martellante fatta di
slogan semplici e con un linguaggio grezzo che sdogana i più bassi
impulsi: Abascal ha dichiarato a più riprese che non si vergogna se lo
tacciano di razzista, fascista, omofobo e misogino. Non bisogna
vergognarsene, dice il leader di Vox. Il capolista alle elezioni
andaluse, Francisco Serrano, ex magistrato inabilitato per dieci anni
per aver cambiato unilateralmente la sentenza di affidamento di un
figlio a genitori separati, parla senza mezzi termini di “jihadismo di
genere” e del pericolo del “femminismo radicale”. C’è molto dell’onda
nera che ha colpito l’Europa, ma ci sono anche della peculiarità.
Secondo Carlos González Villa, esperto di estrema destra a livello
europeo, “Vox è un partito chiaramente misogino: più che con i partiti
di estrema desta del nord Europa ci sono analogie con quelli dell’Europa
dell’Est che rivendicano l’esperienza fascista del passato”. Gli altri
nuovi eletti sono totalmente sconosciuti, ma i loro profili sono chiari:
Luz Belinda Rodríguez è un ex militare e ex vigilante, Benito
Morillo è un ex poliziotto. E Javier Ortega, il segretario generale del
partito, è anche lui un ex membro delle forze di élite dell’esercito
spagnolo.
La Spagna inizia a virare a destra. La strada per il cambiamento
difeso da Podemos e dalle sinistre è tutta in salita. E il governo
Sánchez può avere i giorni contati. A maggio avremo la risposta
definitiva sul futuro del paese iberico. Prepariamoci.
Fonte
Qualche appunto all'articolo:
1) l'autore mi pare subisca ancora l'influsso nefasto di quella stagione in cui la Spagna veniva dipinta come baluardo del progresso socialista perchè al governo si trovava Zapatero(che si è ben visto cosa ha lasciato dietro di se, ma questo sembra non ricordarlo nessuno);
2) mi pare manchi un minimo di specificità sulla società spagnola nel propria complessa parcellizzazione, che può sembrare un controsenso ma non lo è. In questo senso considerare la Spagna immune all'estrema destra, quando dall'abbraccio di quest'ultima non è mai uscita visto che il Franchismo con il '78 ha giusto cambiato casacca ma non impianto ideologico (basta vedere come hanno continuato a funzionare gli apparati repressivi - polizia e magistratura -) mi sembra molto fuorviante;
3) in riferimento a quanto appena scritto, trovo poco attinente alla realtà considerare Ciudadanos come una forza di opposizone a Vox, quando è diventato ormai palese che le detsre populiste sono la stampella di quelle liberali in particolare per le questioni serie, ovvero quelle economiche;
4) spiace sembrare menagramo, ma in riferimento al PSOE di Sanchez sarebbe più corretto parlare di puntellamento dell'esistente piuttosto che di cambiamento, e con il passare del tempo la cosa sembra calzare sempre più precisamente addosso a Podemos che mostra seria difficoltà ad affrontare le contraddizioni che ha in seno e nella propria linea, la questione catalana ne è un esempio plastico.
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