Il ritiro di Minniti dalla corsa alle primarie del Pd fa il paio con i rumors sulla tentazione di Renzi di procedere alla scissione del Pd, per dare vita ad un nuovo partito moderato, magari in sincronia con Forza Italia (e in prospettiva anche con Salvini), dando così così una rinfrescata strategica al rimpianto Patto del Nazareno.
L’uomo d’ordine e dei “servizi” nel Pd, Minniti, sembra aver fiutato – il “mestiere” lo conosce – l’aria che tirava e si è sfilato prima di trovarsi impallinato dalla defezione dei renziani. Al momento, tra l’altro, questi sono ampiamente maggioritari in tutti i gruppi parlamentari piddini. Il che ha la sua importanza...
Renzi continua a dire e spergiurare di non voler procedere ad una scissione del Pd, ma sono in tanti a dare questo esito come scontato, affidando a Zingaretti l’aspettativa di mantenere un salvagente che recuperi qualche radice dell’Ulivo o qualche lontana eredità dei Ds, drenando l’area pulviscolare che magari fin qui ha guardato a De Magistris.
Ma se il Nazareno piange, la coalizione di governo ha smesso di ridere.
Salvini ha già lasciato intendere che l’esecutivo insieme al M5S ha una scadenza: le elezioni europee. Dopo maggio il programma di governo “si può ritirare” e quindi anche le alleanze per gestirne uno del tutto nuovo. In un forum all’Ansa, Salvini ha ammiccato esplicitamente a Forza Italia come nuovo compagno di viaggio: “FI ha votato il decreto sicurezza, quindi è un’opposizione costruttiva, positiva con cui governiamo tanti Comuni, tante Regioni. Poi a livello nazionale sono all’opposizione e fanno il loro mestiere”. Se a questi ci aggiungete i renziani del Pd, c’è quasi una nuova maggioranza di governo (cui la Meloni non potrebbe dire “no”).
Decisamente nelle peste è invece il M5S. Ha pagato il prezzo politico e di consenso più salato nel diventare partito di governo; ha fatto donazioni unilaterali di sangue alla Lega e ai suoi obiettivi, a cominciare dall’approvazione dell’infame Decreto Salvini fino ai balbettii sulle grandi opere. E adesso ne paga giustamente le conseguenze
A rendere manifesta questa crisi di identità del M5S è lo stesso Beppe Grillo, che in un videomessaggio la prende alla lontana, da vecchio commediante, ma poi arriva al punto: “nella politica italiana non sappiamo più dove siamo, chi siamo, dove andiamo, cosa stiamo pensando. Aspettiamo questo Godot che non arriverà mai”. Siamo ormai molto ma molto lontani da quel “forza ragazzi, stiamo lavorando bene, stiamo facendo cose meravigliose che nessuno aveva mai fatto”, recitato solo qualche settimana fa.
Il disordine politico dunque è totale. Il brusco rimescolamento della “politica” che avevamo indicato dopo le elezioni del 4 marzo rivela tutti gli effetti – inclusi quelli più pericolosi – della crisi di egemonia delle classi dominanti e delle forze che non hanno testa e coraggio per rompere effettivamente con l’establishment. L’onda lunga della composita e straordinaria rivolta sociale con il giacchetto giallo in Francia lo dimostra materialmente.
Nel nostro mondo e tra la nostra gente è tempo di scrolloni, qualcuno sarà anche doloroso, ma un cambio di passo e di mentalità ormai si impone. La logica secondo sui servono contenitori “di sinistra” su contenuti genericamente “antiliberisti”, ma abbastanza ampi da poter superare magari di un pelo il quorum per accedere in qualche saletta istituzionale (comunale, nazionale, europea che sia), non interessa per nulla il “nostro popolo”; né, da tempo, mostra di essere effettivamente utile, se non altro ai fini dell’“accumulazione di forze”. Anzi... In questi anni è accaduto esattamente il contrario.
Serve invece la capacità e la duttilità necessaria per fiutare il vento, anche senza essere meteorologi (come cantava Bob Dylan). Sporcarsi le mani nel movimento reale, anche quando non sembra corrispondere in ogni angolo ai nostri più intimi desideri, non è più una opzione facoltativa. Allontanare da sé i processi che non si comprendono o che non coincidono pienamente con categorie che la realtà si è incaricata di scomporre in mille tessere, è un atteggiamento subalterno e che porta solo a ulteriori sconfitte.
Dove e quando si metterà in moto un processo anche parzialissimo di rottura, occorrerà esserci, gettando nella mischia tutti gli strumenti e l’intelligenza di cui disponiamo: dai sindacati di base alla comunicazione sociale di massa, dall’attivismo sociale a proposte e idee; quelle capaci di contendere l’egemonia a proposte e idee meno avanzate o devianti.
L’attesa di Godot è finita. Adesso c’è solo da decidere l’atteggiamento con cui ci misureremo con le realtà spurie ma “terremotanti” che la situazione ci metterà davanti: sul piano politico, sul piano sociale e, solo se indispensabile, sul piano elettorale.
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