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09/12/2018

La Brexit al bivio. Una radiografia della Camera dei Comuni

Ci siamo. Il fatidico 11 Dicembre sta per arrivare. Il testo dell’accordo raggiunto tra Theresa May ed i leader dei 27 paesi dell’Unione Europea sarà in votazione alla Camera dei Comuni. Sono ore febbrili, per il primo ministro, che non pare disporre di una solida maggioranza parlamentare: l’accordo sulla Brexit pare dunque destinato a naufragare. Addirittura, voci di corridoio lasciavano presagire il rinvio della consultazione a Westminster, poi confermata, qualche ora fa, da un breve dispaccio Reuters.

La strada pare, comunque, tutta in salita per la May: sia i “ribelli” conservatori di Boris Johnson che i partner di coalizione nordirlandesi sembrano irremovibili, insensibili ai tentativi di mediazione ed alle minacce non più velate di disastrose conseguenze in caso di mancato accordo.

Vediamo, comunque, come si presenterà la Camera dei Comuni all’appuntamento di martedì, provando a prefigurare il comportamento di ciascun gruppo parlamentare, e, nel caso di Conservatori e Laburisti, delle diverse correnti interne.

Per quanto riguarda i Tories, Theresa May può contare sull’apporto di una aggregazione interna di Conservatori Pragmatici. La maggioranza dei parlamentari del partito di governo (dai 150 ai 180 deputati) è smaniosa di ratificare l’accordo e passare oltre. L’ex ministro dell’interno Amber Rudd (originariamente schierata per il Remain) guida questo raggruppamento di Conservatori leali a Theresa May. Un raggruppamento certamente ampio, ma che si trova ad operare all’interno di un partito balcanizzato, nel quale il ventaglio di posizioni alternative è molto ampio, e riassumibile come segue:

Brexit-Ultras. Questo gruppo di parlamentari del Partito Conservatore (stimato intorno alle 50 unità, con un potenziale di 80), che include anche ex-titolari di prestigiosi ministeri come Boris Johnson, David Davis, Steve Baker e Jacob Rees-Mogg, ha condotto, negli ultimi mesi, una forte campagna contro l’atteggiamento tenuto da Theresa May nei confronti dell’UE, giudicato troppo morbido e complice. Il loro voto contrario pare fuori discussione.

Brexiteers incerti. Si tratta di figure di secondo piano dei Tory, raccolte intorno a James Cleverly, vice-segretario del partito. Un ventre molle di deputati (stimabile tra i 50 e gli 80) tendenzialmente favorevoli ad una “hard Brexit”, non troppo inclini a compromessi con Bruxelles, ma pronti a correre in soccorso della premier qualora la situazione dovesse dimostrarsi critica. Ad essere determinanti saranno le trattative a livello individuale, visto che non si tratta di una corrente organizzata.

Conservatori Europeisti incerti. In questo raggruppamento (stimato intorno alle 20 unità) possono essere inclusi tutti i Conservatori che, nel corso dei dibattiti parlamentari, si sono caratterizzati per voti favorevoli ad emendamenti pro-UE, senza, tuttavia, far parte di alcuna corrente formalizzata. Si tratta di deputati che non hanno ancora esplicitato la propria intenzione di voto, cui Theresa May sta facendo appello, in queste ultime ore, per allargare la propria base di supporto. Molti potrebbero votare in favore dell’accordo, nel nome della ragion di partito.

Conservatori Europeisti per un Voto Popolare. Questa minoranza interna ai Tory rappresenta l’ala più convintamente europeista del partito, decisamente contraria all’accordo e sostenitrice della necessità di un secondo passaggio referendario. Anche in questo caso, gli animatori della corrente sono ex ministri quali Anna Soubry, Justine Greeining, Philip Lee, Jo Johnson e Guto Bebb. Tuttavia, si tratta di un gruppo con scarso radicamento tra i backbencher (i parlamentari comuni), la cui consistenza si esaurisce nella conta delle proprie figure chiave (5-6 unità).

Anche il Partito Laburista si presenterà al voto con una grande articolazione di posizioni interne. Tuttavia, il leader Jeremy Corbyn ha già annunciato che darà una forte indicazione di voto contrario a tutti i membri del suo gruppo parlamentare, di concerto con il ministro-ombra per la Brexit, Keir Starmer. L’intenzione del Labour è quella di utilizzare una probabile sconfitta della May per influenzare, con maggior peso, nuovi negoziati con l’UE, e, al contempo, favorire l’apertura di una crisi di governo che potrebbe condurre a nuove elezioni generali. La maggioranza del gruppo (150-180 membri) dovrebbe essere completamente allineata ai dettami della segreteria; tuttavia, possono essere ravvisate le seguenti posizioni che esprimono sfumature leggermente diverse:

Laburisti Europeisti per un Voto Popolare. Questa consistente minoranza interna al Labour Party (stimabile intorno alle 50 unità) ne rappresenta l’ala più centrista e convintamente europeista, decisamente contraria all’accordo e sostenitrice della necessità di una seconda tornata referendaria. Include parlamentari come Chuka Umunna, Stephen Doughty e Stella Creasy, che, in passato, hanno causato problemi a Corbyn votando emendamenti pro-UE nel dibattito parlamentare. Sicuramente in linea col partito nel votare contro il testo proposto dalla May, Umunna e soci (riconducibili ad una impostazione blairista) potrebbero però tentare nuove sortite “indipendenti” in caso di sconfitta di quest’ultima, provando a forzare la mano per un secondo referendum.

Laburisti “Preoccupati”.
Un certo numero di parlamentari laburisti eletti nel Nord dell’Inghilterra, in territori nei quali il Leave prevalse in maniera massiccia nel referendum del 2016, ha espresso forti preoccupazioni rispetto all’intenzione di voto contrario all’accordo manifestata dalla formazione di Corbyn. Secondo figure di spicco come Caroline Flint, questa posizione potrebbe creare problemi al Labour presso il suo elettorato tradizionale, che potrebbe percepire il partito come “sabotatore” della volontà popolare. Corbyn e Starmer contano di convincere la maggioranza di questi compagni di partito; tuttavia, le defezioni (quantificabili attorno alle 5-10 unita’) non sono da escludere, e potrebbero rappresentare un utile, ancorché minimo, “soccorso rosso” per la May.

Veterani anti-UE Laburisti.
Questo raggruppamento include una piccola minoranza di parlamentari laburisti che, da posizioni di “destra” (Kate Hoey) o di “sinistra” (Dennis Skinner) si sono storicamente opposti alla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea. Ad ogni modo, la loro convergenza con il governo sul voto di Martedì è da escludere.

Degna di nota è inoltre la posizione dei cosiddetti Norvegesi, un ristretto drappello di parlamentari in favore della Brexit ma sostenitore di una soluzione simile a quella adottata dal paese scandinavo (non-adesione alla UE, ma partecipazione all’Area Economica Europea). Di questo gruppo (stimabile intorno alle 5 unità) fanno parte Conservatori come Nick Boles e Nicky Morgan, oltre al dissidente laburista Frank Field. Dovrebbero votare in favore dell’accordo.

Per quanto riguarda i partiti minori, l’attenzione è tutta rivolta al Partito Democatico Unionista (DUP). La destra protestante e lealista nord-irlandese rappresenta uno dei principali grattacapi per Theresa May. Il suo esecutivo, infatti, si regge sul supporto esterno di questa compagine, che, tuttavia, ha espresso vibranti proteste nei confronti del progetto di Brexit proposto dal primo ministro. A destare preoccupazione, infatti, è il meccanismo del backstop, in virtù del quale l’Irlanda del Nord rimarrebbe nell’unione doganale europea a tempo indeterminato, sino a nuova soluzione, quale rimedio temporaneo al problema del confine irlandese. Il timore del DUP è quello di una Brexit che, tramite la promozione di uno status speciale per l’Irlanda del Nord, differente da quello del resto del Regno Unito, possa indebolire il legame tra Belfast e Londra (il cui mantenimento rappresenta, essenzialmente, la ragione sociale del DUP). Al momento, dunque, la posizione del DUP è di forte contrarietà all’accordo; la May è, tuttavia, al lavoro per trovare una difficile mediazione.

Le rimanenti formazioni d’opposizione presentano tutte posizioni di contrarietà all’accordo, riassumibili come segue:

Liberal-Democratici. La linea del partito, da sempre caratterizzato da posizioni europeiste, è nettamente in favore di un secondo referendum. I 12 deputati liberal-democratici dovrebbero, dunque, votare in maniera compatta contro l’accordo. Va però osservato con attenzione il comportamento di qualche rappresentante di collegi nei quali ha prevalso il Leave (Norman Lamb, Stephen Lloyd), che potrebbe esprimere posizioni votate ad un maggior pragmatismo e sostenere Theresa May.

Nazionalisti Scozzesi e Gallesi; Verdi. Il gruppo indipendentista scozzese si caratterizza, da sempre, per la propria compattezza nelle votazioni parlamentari. Il SNP è attestato su posizioni filo-europeiste, e voterà quindi in maniera compatta contro l’accordo, assicurando 35 voti al fronte anti-May. Discorso del tutto simile per i 5 deputati del Plaid Cymru (nazionalisti gallesi) e per l’unica rappresentante ai Comuni del Partito Verde.

In conclusione, la radiografia della Camera dei Comuni appena presentata delinea un quadro assai complicato per Theresa May. La strada verso i 320 voti da raggranellare a favore dell’accordo pare essere tutta in salita. I Conservatori possono contare, in totale, solo su 317 parlamentari, reggendosi il governo May sulla collaborazione del DUP (che, come ricordato, ha già espresso la propria volontà di votare contro). La premier controlla, in maniera sicura, un pacchetto di (al massimo) 180 deputati pragmatici all’interno del proprio partito. L’opposizione degli Ultras di Boris Johnson (50-80 deputati) pare certa, così come sembrano improbabili altre forme consistenti di soccorso esterno. Il lungo e accidentato percorso della Brexit, dunque, pare tutt’altro che concluso. Il voto di martedì potrebbe segnare una nuova fase della politica britannica, con una resa dei conti interna al Partito Conservatore e scenari tutti da definire.

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