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13/02/2020

Sulle elezioni in Irlanda

Storiche elezioni in Irlanda. Lo scorso sabato 8 febbraio gli irlandesi si sono recati alle urne per eleggere un nuovo governo. Il partito repubblicano di sinistra Sinn Féin (a livello europeo parte del GUE-NGL) ha ottenuto la maggioranza dei voti (24.5%), seguito dai due partiti di centro-destra che da sempre si alternano alla guida del paese, Fianna Fáil (Renew Europe) e Fine Gael (PPE).

Dal 2016 il Fine Gael governava il paese a capo di un esecutivo di minoranza, sostenuto da un accordo esterno da un altro partito di centro-destra, il Fianna Fáil. Questi due partiti si alternano da sempre alla guida del paese, da soli o in coalizione con altri partiti più piccoli, ma non hanno mai governato insieme. La loro rivalità risale ai tempi della guerra civile di cento anni fa sul “Trattato Anglo-Irlandese”, che sancì la divisione fra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord. Il Fine Gael faceva parte della fazione favorevole al trattato, il Fianna Fáil di quella che vi si opponeva.

Questa peculiare divisione, legata alla dominazione coloniale britannica, ha fatto sì che sin dall’indipendenza l’Irlanda sia stata sempre governata da questi due partiti, con differenze davvero minime.

La sinistra in Irlanda è storicamente piuttosto debole. Il partito laburista irlandese non ha mai raggiunto le dimensioni di quello britannico, e si è limitato a fare occasionalmente da partner di coalizione ad uno dei due partiti di governo, vedendo poi solitamente ridurre i suoi voti alla tornata elettorale successiva. L’ultima disastrosa esperienza di governo del Labour risale al periodo 2011-2016. Dopo aver ottenuto quasi il 20% alle elezioni, i laburisti fecero la scelta scellerata di andare al governo con il Fine Gael e si ritrovarono a dover implementare il programma della ‘Troika’ di FMI-BCE-Commissione Europea, arrivata a Dublino pochi mesi prima. Alle elezioni successive presero il 6%, e da allora hanno fatto fatica a riprendersi.

Una “pasokificazione” in piena regola, come accaduto a tanti altri partiti di centro-sinistra in Europa che durante la crisi hanno implementato misure di austerità seguendo i diktat europei.

La crisi però ha portato anche ad una nuova vitalità nella sinistra irlandese, facendo irrompere finalmente la questione di classe al centro della scena politica. A beneficiare di questa nuova situazione è stato soprattutto il Sinn Féin. Il partito repubblicano di sinistra, ex braccio politico della Provisional IRA, ha registrato una crescita lenta ma costante a partire dalla fine degli anni ’90, presentando una piattaforma politica di sinistra insieme alla battaglia per la riunificazione dell’Irlanda.

Il Sinn Féin si è imposto come partito principale della sinistra irlandese durante la crisi, opponendosi alle misure di austerità imposte dai governi guidati prima dal Fianna Fáil e dai Verdi (2007-2011) e poi dal Fine Gael e il Labour (2011-2016). Alle elezioni del 2016, il partito ha ottenuto il 14% dei voti, divenendo la terza forza dopo Fine Gael e Fianna Fáil.

Oltre al Sinn Féin è cresciuta anche la sinistra radicale di area trozkista, riunita sotto la sigla People Before Profit-Solidarity. A questi due partiti si aggiungono anche alcuni deputati indipendenti di sinistra. Le elezioni del 2016 hanno visto per la prima volta scendere la somma dei voti dei due partiti di centro-destra sotto il 50%, segno di una stanchezza degli elettori nei confronti dello strano bipartitismo irlandese. Ad andare al governo era stato però ancora una volta il Fine Gael, sostenuto con un accordo esterno dal Fianna Fáil.

Le cose potrebbero finalmente cambiare nel 2020. In una campagna elettorale di poche settimane, il Sinn Féin è riuscito ad imporsi come principale partito grazie ad una campagna efficace su due temi cari all’elettorato: la situazione abitativa e la sanità pubblica. Per entrambe il Sinn Féin propone un deciso intervento pubblico finanziato da un aumento della tassazione sui redditi più alti e sulle corporation. Nel corso della campagna elettorale, il Sinn Féin è stato anche particolarmente abile nel mostrare come non ci sia davvero differenza fra Fine Gael e Fianna Fáil, concordi nel sostenere un modello economico come quello irlandese in cui le prime a vincere sono le grandi corporation, attratte da una bassissima tassazione sulle imprese.

La scommessa del Fine Gael di puntare sul buon andamento dell’economia e sulla gestione efficiente dei negoziati sulla Brexit non ha pagato. Una fetta consistente della classe lavoratrice non sente i benefici della ripresa, perché è costretta a pagare affitti altissimi e a subire servizi pubblici spesso disastrosi. Questo è vero in particolare per i giovani, che sono sostanzialmente tagliati fuori dal mercato immobiliare, e che infatti hanno votato largamente per il Sinn Féin.

Quanto alla Brexit, soltanto l’1% degli elettori l’ha indicata come la priorità principale negli exit poll. Il Fianna Fáil per canto suo ha pagato l’appoggio esterno al governo guidato dal Fine Gael. Come ha ricordato costantemente Mary Lou McDonald, la leader del Sinn Féin succeduta a Gerry Adams nel 2018, tutte le decisioni prese Fine Gael negli ultimi anni sono avvenute col consenso implicito del Fianna Fáil.

Oltre al Sinn Féin ha registrato mediamente buoni risultati anche il resto dell’eterogeneo “campo progressista”. I verdi hanno ottenuto il 7% a livello nazionale, sull’onda di un buon risultato alle scorse europee. La sinistra radicale di People Before Profit – Solidarity è riuscita a confermare cinque dei sei deputati uscenti. Il Labour invece ha mostrato ancora una volta un pessimo stato di forma, fermandosi sotto il 5% a livello nazionale. In compenso sono cresciuti i Social Democrats, originatisi da una scissione proprio dal Labour.

Nonostante l’ottimo risultato elettorale registrato, al Sinn Féin mancano parecchi deputati per ottenere la maggioranza. Il partito si è fermato a 37 seggi (anche per la scelta di schierare solo 42 candidati dopo il brutto risultato delle scorse europee), a fronte degli 80 necessari per formare una maggioranza. Il Fianna Fáil è arrivato a 38 deputati (avendo presentato il doppio dei candidati del SF) e il Fine Gael si è fermato a 35.

Per fare un governo sarà dunque necessaria una coalizione, ma fra quali forze? La leader del SF Mary Lou McDonald ha annunciato di voler provare a formare un esecutivo con tutte le forze progressiste, escludendo FF e FG, ma ci vorrebbero anche i voti di molti indipendenti e l’impresa sembra difficile. McDonald – come già dichiarato in campagna elettorale – non ha escluso la possibilità di formare un governo anche con uno dei due partiti di centro-destra, sotto però alcune condizioni, compresa l’indizione di un referendum sull’unità d’Irlanda entro cinque anni.

Benché ovviamente il tema dell’unità d’Irlanda sia importantissimo, governare con Fianna Fáil o Fine Gael potrebbe avere conseguenze disastrose alle prossime elezioni, come già ha dimostrato l’esperienza del Labour. In ogni caso, al momento né Fianna Fáil né Fine Gael si sono detti disponibili ad una coalizione.

Non sono da escludersi quindi nuove elezioni a breve, in cui il Sinn Féin potrebbe presentare più candidati. La situazione si chiarirà nelle prossime settimane, ma certamente queste ultime elezioni rappresentano un segnale positivo per la sinistra in Irlanda, perché finalmente il duopolio Fianna Fáil-Fine Gael sembra non essere l’unica alternativa possibile e perché tematiche di classe stanno finalmente prendendo il centro della scena.

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