Appena un’ora di “udienza”, nella pausa tra una partita di golf e un pennichella, è bastata all’imperatore statunitense per registrare la resa totale dei valvassini europei, ben rappresentati dal peggior esempio di “politico” selezionato in base al “pilota automatico” della UE.
Perciò viene chiamato “accordo sui dazi” quello che a tutti gli effetti è un’estorsione in stile mafioso. Bisogna ricordare infatti che si partiva da dazi pressoché zero negli scambi commerciali tra Usa e Unione Europea, fin quando Trump non ha annunciato una tariffa del 30% a partire dal 1 agosto.
Un atto unilaterale e di imperio, senza altra giustificazione che la crisi devastante che stanno vivendo gli Usa, la cui unica “industria” davvero redditizia è la finanza di rapina, seguita dagli armamenti e dall’estrazione di idrocarburi con la tecnica del fracking (che equivale a raschiare il fondo del barile...).
Il “successo” europeo consisterebbe teoricamente nella riduzione dello schiaffo al 15%, cui va però aggiunto – ai fini del calcolo dei danni – anche una svalutazione competitiva del dollaro di circa il 13% da quando The Donald è tornato alla Casa Bianca. In pratica il livello del 30% è raggiunto lo stesso.
Ma non è finita qui. “In cambio” di tanta generosità la UE si impegna ad acquistare armi statunitensi per centinaia di miliardi di euro, in pratica quasi tutto il “Ream Europe” appena abbozzato. In aggiunta ci si impegna ad acquistare gas e petrolio da Washington per circa 750 miliardi, con il vincolo ulteriore di farlo entro la scadenza del mandato di Trump, ossia entro tre anni e mezzo. Gli idrocarburi russi venivano pagati un terzo di quel prezzo, ma chissenefrega, no?
Siccome non bastava ancora, ecco che dall’Europa sotto un treno usciranno altri 600 miliardi per investimenti negli Usa. Per non far sudare le povere menti del Vecchio Continente, quei 600 miliardi verranno gestiti direttamente da Washington, che deciderà in quali settori impiegarli per sistemare i propri problemi. Se poi non saranno redditizi, beh, in fondo sono soldi europei, mica statunitensi...
Altri dettagli verranno fuori nei prossimi giorni, probabilmente, ma intanto è sicuro che le piattaforme più importanti (Amazon, Facebook, Microsoft, Google, ecc.) saranno esentate da qualsiasi forma di tassazione anche “mini” da parte europea (era stata pensata una “web tax”, subito archiviata).
Resta poi aperta la partita oscura sulle stablecoin, le criptomonete denominate in dollari che Trump vorrebbe imporre come regola inter-occidentale, vietando al contempo l’eventuale utilizzo dell’“euro digitale” cui sta lavorando da anni la Bce.
Per saperne di più basta rileggere quello che ne scriveva persino un atlantista sordocieco come il vicedirettore del Corriere, Federico Fubini, costretto per una volta a diventare “anti-americano”.
Per l’economia capitalistica europea, stagnante da quasi un ventennio per il prevalere delle politiche mercantiliste tedesche (bassi salari, zero investimenti pubblici, produzione orientata alle esportazioni e distruzione della domanda interna) è una mazzata di proporzioni post-belliche.
Ossia equivalente a quel che accade quando si perde una guerra e si devono accettare condizioni devastanti che riducono a ben poco il futuro di un paese o di un’area economica.
Di fatto viene incentivata l’aggressività europea nei confronti del resto del mondo “non euro-atlantico” (Russia, Medio Oriente, Africa, ecc.) per recuperare le risorse e i capitali che vengono “regalati” sotto ricatto agli Stati Uniti. Da questo punto di vista il “Rearm Europe” assume una valenza non solo tattica (la guerra in Ucraina e l’enfatizzazione dell’inesistente “minaccia russa”), ma diventa l’ultima soluzione a un declino inarrestabile.
Peccato che sia anche una soluzione suicida...
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